Riceviamo e pubblichiamo la nota diffusa dal Prof. Fabrizio Figorilli, Consigliere di Amministrazione Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto.
I recenti interventi apparsi sulla stampa locale e, più in generale, le interviste rilasciate da alcuni esponenti della società civile orvietana, ivi compresi alcuni titolari di incarichi istituzionali e portavoce di associazioni e comitati, mi spingono ad intervenire – a nome e nell’interesse dell’intero Consiglio di Amministrazione della Fondazione CRO – per precisare alcuni aspetti che l’opinione pubblica deve conoscere prima di formarsi un libero ed autonomo giudizio sulle vicende che hanno interessato, da un lato, la quotazione delle azioni della Banca Popolare di Bari collocate anche dalla Cassa di Risparmio di Orvieto spa, dall’altro, il ruolo della Fondazione medesima.
Prima di affrontare direttamente tali profili, occorre ricordare come l’intera vicenda sia scaturita dall’operazione (avviata nel novembre 2008 e conclusasi nel marzo 2009), promossa dalla Cassa di Risparmio di Firenze (poi confluita in Intesa San Paolo), che ha determinato la cessione della partecipazione di controllo da essa detenuta nel capitale sociale della Cassa di Risparmio di Orvieto alla Banca Popolare di Bari. Tutto ciò nell’ambito di un progetto maturato da quest’ultima e volto a realizzare l’integrazione fra più banche attraverso la creazione di una holding nazionale. All’interno di tale programma veniva riservato alla Cassa di Risparmio di Orvieto un ruolo di rilievo, come Banca dell’Italia Centrale. In questo quadro, nei primi mesi del 2009, era altresì condotta a termine l’impegnativa acquisizione di alcuni sportelli bancari dislocati in Toscana da parte della medesima Cassa di Risparmio di Orvieto.
Non essendo questa la sede per soffermarsi su dettagli di natura tecnica, sono sufficienti tali sintetiche premesse per comprendere il vero ruolo che spetta oggi ad una fondazione bancaria ai sensi della normativa vigente, frutto di una significativa evoluzione nel corso dell’ultimo ventennio. Ed invero, non va dimenticato come fino al 1994 le fondazioni in parola, definite come “enti conferenti”, avessero l’obbligo di mantenere il controllo della maggioranza del capitale sociale delle Casse di Risparmio, dette anche “banche conferitarie”.
A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 474/1994 (c.d. direttiva Dini), tale impostazione è stata rovesciata mediante l’eliminazione dell’obbligo da ultimo ricordato, introducendo, nel contempo, incentivi fiscali per quelle fondazioni che avessero dismesso le proprie partecipazioni nelle società bancarie. Di qui la successiva riforma Ciampi (L. n. 461/1998 e conseguente emanazione del D.Lgs n. 153/1999), la quale ha concretamente contribuito a fornire una qualificazione compiuta delle fondazioni di origine bancaria, classificate non a caso come “persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale”, da ricondurre a pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” secondo un ben noto passaggio inserito all’interno di due significative pronunce della Corte Costituzionale (intendiamo riferirci a Corte Cost. nn. 300 e 301 del 29 settembre 2003).
In tale occasione, i giudici della Consulta hanno ribadito come le riforme degli anni ’90 avessero inequivocabilmente sancito l’incostituzionalità di quelle disposizioni tese ad assicurare una presenza qualificata delle fondazioni di origine bancaria “della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante” (così ancora, testualmente, Corte Cost. n. 301/2003, cit.). Identico trattamento è stato riservato alle disposizioni che assicuravano la maggioranza nell’organo di indirizzo delle fondazioni agli enti, pubblici, espressivi della realtà locale.
Alla luce di tali puntuali indicazioni, è di tutta evidenza il ruolo autonomo e di terzietà che l’ordinamento ha definitivamente inteso assegnare alle fondazioni di origine bancaria, in linea con la riforma Ciampi e con le precisazioni contenute nella Carta delle Fondazioni del 2012, da intendersi quale codice etico al cui rispetto si sottopongono volontariamente i soggetti sottoscrittori, ponendo le premesse per la riforma degli statuti in corso anche nell’ambito della Fondazione CRO, in conformità al protocollo d’intesa fra Acri e Mef del 2015.
Quanto fin qui ricostruito dovrebbe, pertanto, fornire elementi utili per valutare correttamente l’operato della Fondazione orvietana, ingiustificatamente ritenuta uno dei soggetti responsabili delle situazioni venutesi a creare in conseguenza dell’acquisizione del pacchetto di maggioranza delle azioni di CRO Spa da parte della Banca Popolare di Bari.
Per altro verso, pur comprendendo la preoccupazione manifestata in più occasioni dai tanti risparmiatori che hanno accettato di sottoscrivere l’acquisto di azioni della Banca capogruppo, va tenuta presente l’assenza di meccanismi giuridici idonei a consentire al socio di minoranza (più o meno qualificata) di incidere sulla formazione delle scelte da parte di chi detiene il 73,57% delle azioni. Lo Statuto della Cassa di Risparmio di Orvieto spa consente alla Fondazione di nominare alcuni consiglieri (tre su sette, tra cui il Presidente) del CdA, i quali, una volta scelti, rispondono istituzionalmente al soggetto che sono stati chiamati ad amministrare e non a chi li ha designati.
Ed ancora, a titolo meramente esemplificativo, basti pensare al numero limitato di ipotesi previste dalla disciplina societaria in cui è consentito ai soci l’accesso alle deliberazioni del consiglio di amministrazione, senza che tale possibilità comporti un reale potere di condizionare le decisioni degli amministratori.
Ne discende, in definitiva, l’assoluta estraneità degli organi della Fondazione CRO alle scelte gestorie che rientrano ex lege nella competenza esclusiva delle imprese bancarie, ivi compreso il collocamento delle azioni, nei confronti del quale nessuna iniziativa inibitoria può essere assunta tempestivamente (ad eccezione di un’eventuale condotta illecita, nel qual caso sarebbe esperibile l’azione di responsabilità). Detta impossibilità di intervento da parte della Fondazione è ancor più conclamata in presenza di una partecipazione di minoranza.
Di conseguenza, il problema venutosi a creare in ordine al deprezzamento delle azioni della Banca Popolare di Bari, acquistate dai risparmiatori del territorio, non può essere attribuito al comportamento inerte della Fondazione CRO, facendo leva su una sorta di responsabilità oggettiva per decisioni che non possono coinvolgere chi ha proceduto alla nomina degli amministratori della Cassa di risparmio locale.
Allo stesso tempo, è intento del nuovo Consiglio di Amministrazione prendere atto della situazione difficile venutasi a creare, cercando, in sintonia con il Consiglio di Indirizzo, di adottare le iniziative più opportune per la salvaguardia del proprio patrimonio e degli obiettivi istituzionali della Fondazione CRO, nel rispetto dei ruoli che la disciplina del settore bancario riserva a detti organi, come tali ben lontani dalle scelte di gestione dell’attività bancaria nei termini sopra ricordati.