L’incontro de li sovrani
Elzeviro di Pier Luigi Leoni
Ho scoperto di essere inadeguato a capire il senso di eventi come l’incontro di Ventotene, in cui tre statisti si sono riuniti per occuparsi di problemi europei dando uno schiaffo alle altre nazioni non invitate e producendo ambigui e inutili documenti. Mi sono ricordato che Trilussa aveva messo in rima analogo stato d’animo. Resto però umilmente a disposizione di chi avrà la bontà di spiegarmi che Renzi, Merkel e Hollande non ci stavano prendendo in giro e non si stavano prendendo in giro fra di loro.
Bandiere e banderole,
penne e pennacchi ar vento,
un luccichìo d’argento
de bajonette ar sole,
e in mezzo a le fanfare
spara er cannone e pare
che t’arimbombi dentro.
Ched’è? chi se festeggia?
È un Re che, in mezzo ar mare,
su la fregata reggia
riceve un antro Re.
Ecco che se l’abbraccica,
ecco che lo sbaciucchia;
zitto, ché adesso parleno…
-Stai bene? – Grazzie. E te?
e la Reggina? – Allatta.
– E er Principino? – Succhia.
– E er popolo? – Se gratta.
– E er resto? – Va da sé…
– Benissimo! – Benone!
La Patria sta stranquilla;
annamo a colazzione… –
E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
– Evviva, evviva, evviva… –
E guarda la fregata
sur mare che sfavilla.
Provo a esprimere la mia opinione, “spiegarti” mi sembra eccessivo. Penso che nelle organizzazioni politiche e nelle istituzioni, come quella europea, i leader hanno necessità di manifestare le proprie idee di sviluppo della comunità anche al di là di incontri istituzionali, che si svolgono nelle sedi appropriate, per confrontarsi, per approfondire gli eventi, per conoscersi, per trovare punti salienti su cui tentare di indirizzare anche gli altri membri dell’organismo. La Merkel e Sarkozy lo facevano spesso e quando c’era anche Berlusconi si guardavano con quei famosi risolini che tanto ci hanno indignato. Questa volta mi è sembrato un passaggio positivo per spingere l’Europa verso l’Europa ideale, una piccola folata di vento a poppa. C’è bisogno di Europa politica, per chi ci crede, come me, e l’incontro promosso da Renzi con Francia e Germania credo abbia avuto certamente un senso, per rivalutare insieme a due partner importanti gli uomini che hanno originato l’idea di Europa. Un messaggio lanciato agli altri paesi europei, oltre che all’interno. La sera dell’incontro, non ricordo su quale canale, è stato trasmessa anche una discreta fiction su Altiero Spinelli, per sostenere ulteriormente questa iniziativa politica in forma più popolare. Spero sia diffusa in tutta l’Unione. L’incontro mi è sembrato un impulso concreto, un minimo di contrasto ideale alla battaglia contro l’Europa che sta combattendo, in Italia, gran parte della destra, la Lega, i Cinque stelle, con motivazioni fondate su ritorni di nazionalismo e su critiche funzionali che tutti sappiamo vedere, che speriamo di correggere, ma che certo non giustificano un ritorno ai nazionalismi. Non so se il mio ragionamento possa costituire un piccolo contributo per incrinare il tuo pessimismo, che, lo comprendo, è stratificato dalla frequenza quarantennale con la politica e i politici. Ci ho provato.
Commento di Franco Raimondo Barbabella
Naturalmente, caro Pier, tu hai capito benissimo. Il trilaterale di Ventotene è stato un evento mediatico nel quale non contano tanto i contenuti reali, che pure magari ci sono (più nei momenti riservati che in quelli ufficiali, ovviamente), quanto piuttosto quelli simbolici, di messaggio. E questo aspetto ha funzionato, con una preparazione e una gestione comunicativa sapiente, tra il detto e l’immaginato. In un momento di grave crisi dell’Europa, con gran parte dei governi alle prese con imminenti appuntamenti elettorali pericolosi, non essendo d’accordo quasi su nulla e non potendo fare scelte drastiche né lanciare progetti futuribili, che poteva esserci di meglio che evocare uno spettacolo affratellante nel luogo in cui fu partorito in pieno secondo conflitto mondiale, da quelle menti lucidamente sognatrici di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il manifesto per l’Europa unita detto appunto di Ventotene? Perché solo tre? Ma tre è un numero evocativo, e poi in tre si può anche giocare a tressette … col morto ovviamente! Grazie per averci ricordato la simpatica graffiante poesia di Trilussa, il nostro Vincino di ieri. Ma ora anche tu te la prendi con i re?, voglio dire con chi oggi si atteggia a re? E non è che vorresti dire che il popolo di oggi guarda da lontano, bofonchia, “magna le nocchie e strilla evviva”, proprio come allora! Perché, se vuoi dire così, gli hai dato una bella accostata, basta che ti leggi, se ancora non l’hai fatto, “Dare i numeri”, l’ultimo libro di Dario Pagnoncelli. Lì si chiarisce, dati alla mano (indagine IPSOS), che gli italiani, beatamente malati di “analfabetismo numerico, non hanno dimestichezza con i numeri e le percentuali, faticano ad orientarsi e a formulare stime corrette, finendo spesso col generalizzare, amplificando o attenuando significativamente la portata della realtà”. Peggio, si formano le loro opinioni per “sentito dire”. Davvero? Ma no! E credono pure alle bufale, come quella, bellissima, dell’inesistente senatore Cirenga, messa on line alla vigilia delle elezioni del 2013 e diffusasi in modo virale con relativa straripante indignazione. Non ti dico di che si tratta. Leggi il libro. Ovviamente i politici, furbi, se ne approfittano. Ah, questo popolo, quante ne ha viste, lui stesso complice, e quante ne vedrà ancora! Altro che Renzi, Merkel e Hollande in gita a Ventotene in cerca di consensi!
Terremoto, conoscenza, cultura e politica ambientale.
Elzeviro di Franco Raimondo Barbabella
Mentre abbiamo ancora negli occhi i paesini rasi al suolo e il dramma delle popolazioni di Amatrice, Accumoli e Arquata e mentre il nostro cuore è strizzato da un sentimento di umana solidarietà, il nostro cervello ci comanda di fare qualche ragionamento in omaggio al principio di responsabilità civica e al conseguente dovere di contrasto della cultura della paura e della rinuncia.
Si conoscono natura e cause del rischio sismico e di quello idrogeologico del nostro Paese. Possediamo le conoscenze e le tecniche per affrontarli, ma non li applichiamo. Come dice Carmine Galasso, docente di Ingegneria antisismica all’University College di Londra, sappiamo come proteggerci ma tardiamo a farlo. Perché? Il discorso sarebbe lungo e complesso. Cerchiamo però con un po’ di compressione di pensiero e parola di ridurlo all’osso.
C’è anzitutto il complesso dei vizi nazionali, che purtroppo fanno aggio sulle virtù, che pure esistono e si manifestano soprattutto nelle circostanze estreme. Ne rammento solo alcuni di questi vizi, i principali, anche se sono noti e abusati. Anzitutto la rassegnazione atavica del destino segnato ab aeterno, poi l’idiosincrasia per la progettazione e la programmazione a lunga scadenza, e ancora la preferenza per la ricostruzione piuttosto che per la prevenzione, ciò che rende tutto più allettante per gli interessi di vario tipo, leciti e illeciti, tutti però lontani dal bene pubblico e contrari all’interesse comune.
Si sa da decenni che si potrebbe e si dovrebbe fare un piano nazionale straordinario di prevenzione del rischio sia sismico che idrogeologico. Perché si sa che con cento miliardi di euro in un arco di tempo umano si sarebbe risanato il Paese e che invece dal 1968 (terremoto del Belice) ad oggi sono stati spesi centoottanta miliardi a prezzi attualizzati, come si sa che un euro speso in prevenzione ne fa risparmiare cinque in ricostruzione. Ma, come si è pure detto, la vulgata di miopi classi dirigenti dice che le elezioni non si vincono con la prevenzione ma solo con la ricostruzione. Per cui il disastro non è certo programmato, ma quando viene consente retorica, popolarità e, per chi ne approfitta, anche successo.
Dunque torniamo alla nostra domanda: perché non si fa ciò che si saprebbe e dovrebbe fare? Per quello che ho detto ora su alcuni vizi nazionali e però io credo anche per il tipo di cultura diffusa, spesso artatamente, nel popolo e ben presente nelle classi dirigenti. È la cultura del sospetto antiscientifico e antitecnologico che si sposa bene con quello anti-economia e anti-impresa, per cui tutto ciò che è sviluppo, anche quando è impostato e condotto secondo regole trasparenti e garanzie di sicurezza, è comunque generatore di sospetto di cose losche, perché il guadagno frutto dell’ingegno e del coraggio del rischio non appartiene all’orizzonte della raffinatezza intellettuale. Soprattutto, mentre rovina il sogno del ritorno alla natura incontaminata e amica descritta dalla grande letteratura che ci affascina nei ricordi e nelle sere d’inverno, e per di più contrasta l’aspirazione ad una vita perennemente sana che ci predispone al traguardo della vittoria sulla morte, dà anche fastidio alla difesa dei nostri ambienti domestici che meritano certamente (ci mancherebbe!) il sacrificio (chi se ne frega!) di tutti gli altri.
E così non ci si ferma di fronte a niente. La coltivazione delle paure diventa molto utile per un po’ di popolarità e qualche carriera strappata alla vanga. Qualche esempio? Ce ne sono a iosa, per tutti i gusti. Si può spaziare dall’inquinamento elettromagnetico agli OGM e alle scie chimiche, dal mercurio da discarica al terremoto da geotermia. La cosa importante è ignorare la ricerca della verità, le competenze conclamate, le evidenze scientifiche, il rischio calcolato e la corregibilità dell’errore, l’onestà intellettuale, la razionalità dei ragionamenti meditati.
Ciò che meraviglia, e dovrebbe anche meravigliare tanta gente che ne ha gli strumenti, non è tanto l’azione di ambienti e personaggi piccoli e grandi interessati a generare paure e ignoranza a proprio vantaggio, quanto l’avallo che ne hanno dal potere pubblico sotto diverse forme, per ignoranza, noncuranza, presuntuoso furbismo o interessata demagogia. Che succede ad esempio quando si scopre l’inganno? Niente. Che succede quando c’è chi richiama tutti al senso di responsabilità, al culto delle verità pubbliche, alla priorità dell’interesse generale e alla politica della visione programmabile e dello sguardo lungo? Niente, anzi no, qualcosa accade: scatta l’istinto di conservazione attraverso l’idea che chi lo fa è solo uno che rompe le scatole e guai a dargli spago. Si romperebbe il giochino e chiuderebbe i battenti la fiera degli inganni.
Pochi giorni fa, il giorno di Ferragosto, è morto Mario Signorino, il fondatore, insieme a Rosa Filippini, dell’associazione “Amici della terra”. È stata proprio Rosa Filippini, anche lei storica esponente del movimento ecologista, a ricordare come Mario Signorino avesse in disprezzo, lui ambientalista dalla mente aperta e dallo sguardo lungo, il fondamentalismo ambientalista, di cui ad esempio diceva: “Quando si battono contro qualsiasi tipo di impianto industriale lavorano contro l’ambiente”.
C’è da chiedersi quanti di coloro che un giorno sì e l’altro pure predicano e moraleggiano, strasicuri della loro fede ideologica, studino o si informino non solo del pensiero di ambientalisti storici e di spessore come Mario Signorino o ricordino l’opera preziosa di uomini del calibro del fisico e matematico Tullio Regge, ma siano semplicemente (si fa per dire!) interessati ad aggiornare le loro conoscenze anche a rischio di dover mettere in discussione le loro convinzioni così scarsamente rischiose e così sapientemente vantaggiose. Per esempio, ma solo per esempio, leggendo libri e documenti che riferiscono di studi sugli OGM (che ne so, Pane e Bugie di Dario Bressanini) oppure sulla comparazione degli effetti sulla salute di cibi normali e di cibi biologici (tiè, il rapporto del Center for Health Policy dell’Università di Stanford).
A me però basterebbe che quando c’è un problema da affrontare non se ne discutesse facendo a gara a chi strilla di più e ricatta meglio per imporre soluzioni di sapore magico, ma si ragionasse avvalendosi delle competenze che ci sono in giro per adottare senza paura e con cognizione di causa le soluzione migliori che ci dettano scienza e coscienza. In fondo la ragione ci è stata data (o dal Creatore o dall’evoluzione) per essere usata. Ne beneficeremmo tutti noi e nel contempo contribuiremmo a migliorare il nostro amato Paese.
Il termine più usato e abusato è generalamente “disastro annunciato”. Sia che si tratti di terremoto, di alluvione, di dissesto in generale. Viviamo in un ambiente straordinario e delicato, su cui bisogna operare con conoscenza, consapevolezza, programmazione, sapienza. La scienza ha aiutato a costruire meglio e a ottenere abitazioni più sicure, ma questo sembra un valore che conta poco, sia in termini venali che psicologici: meglio un bel terrazzo o un giardinetto. Avete mai visto una annuncio di vendita o di ricerca di abitazioni in cui risalta come caratteristica importante “costruzione antisismica”? Pensiamo che i terremoti riguardino soltanto gli altri e chissà quando, come tutti gli eventi traumatici, e andiamo avanti, perché non possiamo fare altro. Ci raccontano di un futuro in cui bisogna limitare l’emissione di gas serra disegnando scenari catastrofici, ma noi ci impegniamo in dibattiti ideologici, pro o contro, giacché in gran parte siamo privi di conoscenza scientifica e quindi è più facile essere contro tutto quanto possa disturbare il paesaggio, dalle pale eoliche ai pannelli solari, perché preferiamo un “bel balcone o un giardinetto”. Oppure siamo ideologicamente contro quanto possa abbassare i nostri stili di vita. E tutti senza disponibilità a ragionare per trovare un equilibrio, estetico e funzionale, tra ciò che è utile e possibile e quanto non lo è. L’ambientalismo ha salvato il Paese dal disastro della speculazione che avanzava, ha contribuito a creare un più evoluto rapporto con la natura, ora deve aiutare a farlo vivere il Paese, scoprendo un più complesso metodo di elaborazione del pensiero.
Commento di Pier Luigi Leoni
Una occasione, l’ennesimo terremoto catastrofico, per fare il catalogo dei vizi nazionali e per ricordare ciò che andrebbe fatto per mettere in sicurezza gli edifici fragili e che invece non viene fatto. Sennonché i vizi nazionali sono solo una variante dei vizi umani. E non si porti come esempio il Giappone, dove i terremoti sono più forti e quasi quotidiani, nonché, data la collocazione oceanica, sono frequenti i tifoni. Ma dov’era la saggezza e la prudenza dei Giapponesi quando si svenavano per costruire armamenti coi quali sfidare addirittura gli Stati Uniti d’America? Ma gli Italiani esagerano anche quando fanno esercizio di somma prudenza risparmiando più che ogni altro popolo al mondo per dotarsi di un patrimonio o per incrementarlo. Fanno grandi sacrifici per il loro “particulare” (come lo chiamava Francesco Guicciardini) tanto da rimpinzare di soldi una miriade di banche e banchette e ingrassare un branco di paraculi che trovano mille modi per truffarli. E investono i loro soldi in muri fragili sia vecchi che nuovi, fregandosene della sismicità e dei relativi accorgimenti previsti dalle leggi o semplicemente raccomandati dagli esperti. Quindi diamoci da fare con parole e opere, e senza omissioni, perché gli Italiani diventino più saggi e si affidino a una classe dirigente più seria, ma senza illudersi troppo sul loro equilibrio mentale.
La foto in home è di Albero Bellini