La proposta del direttore
Virginia Raggi, un fallimento annunciato?
“Una che scrive “Roma Capitale è portatrice di una visione biocentrica che si oppone all’antropocentrismo specista che nella cultura occidentale ha trovato la sua massima espressione” può scrivere qualunque cosa, e qualunque cosa scriva vale come una torta di compleanno vegana su un barcone fluviale.
Una che fatta sindaco di una grande città legge queste parole, a quanto dicono vergognandosene un poco e con tono burocratico e dimesso, nell’Aula del Campidoglio come suo programma di governo, bè, una così è già bella che bollita. Una che queste parole se le è fatte copiare e incollare da un team di collaboratori un poco idioti e parecchio pigri, e si fa come si dice a Roma “sgamare” senza problemi dal cronista Tommaso Labate del Corriere, non è proprio a capo di un dream team e non sembra avere l’expertise necessaria per governare Roma. Seguono altre citazioni di pensieri digitali sconnessi ma tutti rigorosamente copiati.
Vogliamo aggiungere un’assessora di dubbia qualità dal punto di vista della riforma e rottura politico-amministrativa nel settore decisivo dell’ambiente e della raccolta rifiuti, appena nominata e già al centro di un piccolo pandemonio? Si può trascurare l’assetto della giunta “a digestione lenta”, tra rinvii dimissioni rivalità vendette e personalismi da direttorio, e l’evidente smarrimento della bambolina biocentrica di fronte alla missione impossibile, la sua corsa continua al ruolo di mamma e di baby sitter?
Ci sono cose che non è facile trascurare, ma che si vedevano da subito, che sono parte di una selezione mattoide e presuntuosa della classe dirigente in rete, cose che si raddoppieranno quando verranno applicati i contratti con la Casaleggio Associati per il controllo di fedeltà, a base di sanzioni pecuniarie, del personale politico raccolto tra i rimasugli dell’attivismo municipale retino… Siamo nel palloccoloso (con il pupo da badare), nel grottesco (con le fregnacce da copiare), nel disutile (con le liti da lavandaie e l’atmosfera da vendetta còrsa mai vista nemmeno nelle peggiori stagioni delle peggiori amministrazioni corrotte del passato). Aridatece er sindaco Petrucci!” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 4 agosto 2016)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
L’esplosione del Movimento 5 Stelle, culminato, per il momento, col trionfo nelle elezioni comunali di Roma, ha scatenato emozioni diverse: il panico del Partito Democratico che stava costruendo, con riforme ad hoc, il proprio insediamento al governo per almeno una decina d’anni, e che ora sente sul collo il fiato del Movimento; il sarcasmo del mondo conservatore, di cui Giuliano Ferrara è la punta più “feroce”, che non può nascondere l’irritazione per un fenomeno di entusiasmo collettivo meno effimero di quanto la pochezza culturale dei suoi promotori potesse far prevedere.
È stato detto che si finisce sempre col vergognarsi degli entusiasmi collettivi; ed è per questo che il M5S, sebbene mi diverta e mi incuriosisca, non mi coinvolge. Soprattutto m’infastidiscono il moralismo sferzante e il giustizialismo animoso, che coprono una povertà di valori e di chiare prospettive politiche ed economiche.
Però sono grato al M5S di aver incanalato la protesta contro la corruzione e la pigrizia della classe politica in una reazione non violenta. Ci vuole poco a ritrovarsi coi cadaveri nella strade, invece chi ha inventato il M5S ha rigidamente applicato il sano principio “ballots non bullets” (voti non pallottole). Orbene l’amministrazione comunale di Roma è sotto tiro, perché è evidente che, se essa fallisce, il movimento si sgonfia. Per questo il M5S affiancherà sempre di più alla sindaca Raggi i suoi uomini più svegli e cercherà di farle fare bella figura. Non so se ci riuscirà, ma la situazione di Roma è così disastrosa da far scattare la regola che, toccato il fondo, non si può che risalire. Inoltre la cura degli affari di una città, benché complicata come Roma, non implica dover affrontare problemi di macroeconomia e di politica internazionale. Il PD e i Ferrara potrebbero dover soffrire per un bel po’.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Lo dico chiaro. A una persona che in un discorso ufficiale per la presentazione del programma di governo scrive così: “Roma Capitale è portatrice di una visione biocentrica che si oppone all’antropocentrismo specista che nella cultura occidentale ha trovato la sua massima espressione”, dovrebbero essere chieste le dimissioni per offesa all’intelligenza comune.
Se poi quel discorso fosse stato scritto da qualcuno con il metodo del copia e incolla, colpevole lui/lei ma di più chi l’ha letto senza preoccuparsene prima, la richiesta di dimissioni sarebbe ancor più giustificata. Esagero volutamente, perché è diventato ormai difficile sopportare anche le violenze linguistiche, quelle fatte alle persone e quelle fatte alla lingua stessa, da chiunque fatte e quali che ne siano i motivi e le circostanze.
È ben vero che ormai il “copia e incolla” per comporre discorsi (che in genere così fatti sono solo “suoni della voce”) è costume diffuso (tanto che si possono trovare in giro per il web anche appositi manuali) e legittimato anche da noti personaggi (Melania Trump che copia Michelle Obama; Marianna Madia che copia le disposizioni già esistenti sul licenziamento dei dirigenti e le lancia come originale innovazione), ma questo non giustifica chi aggrava il già grave malcostume quando addirittura si sia presentato come alfiere della purezza moralizzatrice.
Si tratta di dire senza infingimenti come stanno le cose, evitando se possibile di cadere nella trappola della cieca partigianeria che connota la gran parte delle discussioni di oggi trasformandole in stupide inutili polemiche. Sabato scorso Mario Sechi, credo insospettabile di estremismo fazioso, scriveva un pezzo il cui contenuto è ben riassunto dal titolo “La politica estera dei Cinque stelle non solo è inattuabile, ma è anche pericolosa”.
E Francesco Merlo subito dopo, proprio a proposito delle vicende romane dei Cinque stelle, metteva a fuoco le contraddizioni eclatanti del Movimento in un articolo intitolato “I grillini romani alla scoperta del ‘non penalmente rilevante’”. Dire come stanno le cose significa semplicemente fine del tifo, cioè uso critico della ragione. Senza tuttavia pretesa di avere ragione.
Si dirà naturalmente che in giro tutti i conservatori delle diverse sponde si sono coalizzati per impedire al movimento rinnovatore di fare piazza pulita del vecchio e decrepito sistema. E non c’è dubbio che un merito i pentastellati ce l’hanno, quello di aver catturato, istituzionalizzandola, la montante protesta per le numerose ferite inferte al Paese Italia da classi dirigenti affamate di guadagni illegittimi, carriere facili, prebende e vantaggi di ogni tipo. Ma è anche vero che parecchi di loro, come Renzi, hanno poi adottato più la via facile della rottamazione proclamata che il vero cambiamento strutturale, le rapide carriere prima che la decisa e faticosa costruzione di sfide di governo culturalmente e fattivamente lungimiranti. Ma la logica della rottamazione è povera e miope, chiunque la pratichi, soprattutto se aggravata da un pesante e pedante moralismo.
Non possono stupire dunque le cose che scrive Ferrara, né quelle che scrive Sechi, né quelle che scrive Merlo, anzi. Concludo proprio con questa citazione, che mi sembra sufficiente: “E allora davvero sembra che a Roma il Movimento cinque stelle e Virginia Raggi siano stati colpiti dalla nemesi, dagli stessi demoni che loro avevano evocato con violenza: il giustizialismo cieco, l’ipocrisia della purezza, il moralismo fanatico e cialtronesco, inconsapevole della complicata trasversalità del reale. Il moralismo, impugnato dai partiti, diventa una bandiera faziosa …”.
Non basta nemmeno dire che il moralismo è fonte di corruzione. Oltre a ciò si deve dire che ci vuole ben di più che la sola morale (sempre necessaria, ovviamente) per essere classe dirigente che rinnova sul serio sia i contenuti che il metodo del governare per il bene comune, inteso come interesse pubblico (chi volesse rendersi conto di che cosa significa interesse pubblico consapevolmente e rigorosamente coltivato potrebbe leggere il recente “Servitore dell’interesse pubblico …”, di Andrea Piccone, dedicato a Paolo Baffi, l’indimenticato Governatore della Banca d’Italia, costretto alle dimissioni nel 1979 da accuse naturalmente rivelatesi infondate, come tante volte è successo nel nostro martoriato Paese).
Sennò il bene comune diventa quello di chi lo predica moralisticamente a favore di sé e del proprio clan, come dimostrano, oltre che oggi i pentastellati, anche i diessini romani, diventati all’improvviso le poco credibili verginelle che accusano di stupro quelli che, inconsapevoli, loro stessi hanno chiamato. Il tutto innanzitutto pensato e realizzato come luccicante quotidiano spettacolo massmediatico per tutti coloro che felicemente godono delle parole che seguono altre parole.
La proposta di Leoni a Barbabella
Orvieto candidata congiuntamente a Chiusi e Viterbo a Capitale Italiana della Cultura 2018. Qual è la logica della “congiunzione”?
Il Ministero dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo ha reso note le 21 città in corsa per il titolo a Capitale Italiana della cultura 2018. La procedura di valutazione si concluderà entro il 31 gennaio 2017 e come nelle precedenti edizioni, la Capitale Italiana della Cultura 2018 riceverà dal Governo un contributo pari a un milione di euro per la realizzazione il progetto.
Le località in lizza sono 21. Tra queste figura anche Orvieto insieme a Chiusi e Viterbo.
Le 21 candidate sono:
Alghero, provincia di Sassari
Aliano provincia di Matera Basilicata
Altamura, provincia di Bari
Aquileia, provincia di Udine, Friuli Venezia Giulia,
Viterbo – Orvieto (Tr) – Chiusi (Si), Lazio/Umbria/Toscana candidatura congiunta
Caserta Campania
Comacchio, provincia di Ferrara, Emilia Romagna
Cosenza, Ercolano provincia di Napoli
Iglesias Sardegna
Montebelluna provincia di Treviso
La Spezia Liguria
Ostuni, provincia di Brindisi
Palermo, Sicilia
Piazza Armerina provincia di Enna
Recanati provincia di Macerata
Settimo Torinese provincia di Torino
Spoleto provincia di Perugia
Trento Trentino Alto Adige
Unione dei Comuni Elimo Ericini (Buseto Palizzolo, Custonaci, Erice, Paceco, San Vito Lo Capo e Valderice), provincia di Trapani, Sicilia Vittorio Veneto, provincia di Treviso.
[www.orvietosi.it 5 agosto 2016]
L’opinione di Barbabella
Mi sembra che si tratti di una iniziativa lodevole. A quanto si capisce, essa è lo sviluppo di una serie di accadimenti che partono dall’idea del rilancio della “Dodecapoli Etrusca” che qualche anno fa (2012) fu proposta dal periodico “Primapagina” e prese poi provvisoriamente consistenza in un convegno a Chiusi nel 2014 (in quell’occasione Orvieto non rispose all’appello) con l’intento di presentarne la candidatura all’Unesco come “Patrimonio culturale dell’Umanità”.
Seguì poi nel 2015 la creazione di “Experience Etruria”, nata per iniziativa di privati in occasione di Milano EXPO 2015 e presentata nell’ottobre di quell’anno nella sala consiliare del Comune di Orvieto alla presenza, oltre che di quelli orvietani, degli amministratori di Viterbo e di Chiusi. Da ultimo la nascita (maggio 2016) del “Distretto turistico-culturale dell’Etruria Meridionale”.
Ora viene avanzata questa candidatura in alleanza con Viterbo e Chiusi. Non so se è una svolta pensata e voluta, ma comunque nei fatti lo è, giacché la volta precedente (primavera 2015) Orvieto si candidò in pompa magna insieme a Todi, dunque restando all’interno dell’Umbria e anzi in concorrenza con altre due città della stessa regione.
Si sa poi come andò a finire: la candidatura non passò nemmeno la prima fase di selezione. Questa volta speriamo che vada meglio. Parlo di una svolta perché i riferimenti istituzionali contano, come contano i significati evocati dallo spostamento degli assi geografici e dai richiami culturali presenti nelle motivazioni ufficiali e nelle stesse interpretazioni.
Ad esempio questa che riporto di seguito: “E’ stato firmato oggi (10 maggio 2016) a Viterbo, alla presenza della ministra Giannini, un protocollo d’intesa tra i comuni di Viterbo, Chiusi e Orvieto, per la nascita del “Distretto turistico-culturale dell’Etruria Meridionale”. Un accordo con la benedizione del ministero che prevede iniziative e contributi statali a favore dell’imprenditorialità nel settore e anche una serie di altre iniziative (verso le scuole di tutta Italia, per esempio) per far conoscere e valorizzare la cultura degli etruschi. Dopo il protocollo firmato qualche mese fa con Murlo e Volterra, Chiusi incontra adesso anche Orvieto e Viterbo (due città che portano lo stesso nome derivato dal latino Urbs Vetus, città vecchia…), altri capisaldi della antica Dodecapoli. Ma i due protocolli non sono “integrati”. Potranno forse esserlo in futuro, forse.”
Il successo dipenderà da molte cose, soprattutto se, come ho detto, sarà una svolta, per il riferimento territoriale interregionale (finalmente!!!!) e per il modo di fare. Dipenderà infatti innanzitutto dai progetti che verranno presentati e quindi dalle idee che li ispirano, oltre che dalla credibilità delle strategie di realizzazione in conformità con le richieste del bando. Ma dipenderà, credo, anche dalla capacità di far emergere una visione originale del futuro di un’area dal substrato culturale e vocazionale fondamentalmente riconoscibile come proprio marchio di qualità. In questo senso sarà importante dimostrare di saper valorizzare le esperienze che nel frattempo sono maturate, magari indipendentemente le une dalle altre, nelle diverse realtà dell’Etruria.
Tra queste segnalo la nascita dell’Associazione “In…Etruria”, avvenuta in Civitavecchia poche settimane fa (con la partecipazione di rappresentanti delle diverse zone compresa la nostra), che ha già al suo attivo (avendola iniziata ben prima della sua formale costituzione) una mappatura digitalizzata delle emergenze culturali e ambientali, delle tipicità produttive e dei servizi turistici proprio del territorio dell’Etruria Meridionale, mappatura che può essere utile quale supporto significativo per un certo tipo di progettazione. Ad esempio quello che delinea una strategia di largo respiro tendente a costruire le solide basi di un nuovo modello di sviluppo fondato su cultura-ambiente-turismo-produzioni tipiche e trattato con metodi di intelligente modernità. Ammesso che le si voglia giocare, questa volta le carte sembrano buone.