La proposta di Dante Freddi
L’occidente annaspa nella deculturazione
“Annaspano. La sequenza dopo Trump e la Brexit è impressionante. Referendum in Italia, elezione del Potus (President Of The United States), elezioni in Olanda, in Francia, in Germania (e non dimentichiamo l’Austria). …
Wolfgang Schäuble teorizza: niente visione, puro pragmatismo, no a nuova integrazione, ciascuno pensi a sé ma in quella gabbia di matti il cui perimetro è fissato nella generale insoddisfazione.
Annaspano, appunto. Non si vede neanche un barlume di egemonia politica, dove si fondano in genere le decisioni importanti. …
E Prodi con acume ricorda la boutade di Churchill: il problema del suicidio politico è che uno rimane vivo e ne vede le conseguenze.
Spesso si dice che dobbiamo liberarci dal Novecento. Sì, a patto che si recuperi l’Ottocento, il senso della storia, del paesaggio originale (caro Calasso, è il caso di tradurre subito il “Tableaux de la France” di Jules Michelet), il senso della società e della comunità, il senso dello stato, della lingua, delle classi perfino. Non per retrocedere, ma per essere attrezzati a combattere lo spirito retrogrado dell’epoca che viviamo con mezzi di lettura adeguati. Debellare gli arcaismi con un tuffo nel secolo della cultura e della storia. Possibile che nessuno sia stato in grado di persuadere il cinquanta più zero e uno per cento degli inglesi che si stavano prendendo gioco di sé stessi e di loro, gli dei della Brexit? Possibile che sia così difficile dimostrare che Trump è il profeta mistico e ludico dell’impossibile (“America First, I know the art of the deal”) oltre che un sovrano e divertentissimo buffone da circo? Possibile che l’Europa sia un patrimonio ormai nelle mani di un simpatico e alticcio politico lussemburghese?
Michel Rocard appena prima di morire, ha rilasciato una lunghissima intervista-testamento a Le Point. Anche lui annaspava, il banditore impotente della deuxième gauche, la sinistra riformista, e si buttava sul socialismo scandinavo, addirittura. Ma ha anche detto: “Per dirigere una società bisogna capirla. Ora è chiaro che non possiamo più capire noi stessi”. E ha aggiunto, dopo aver constatato che la stampa scritta si lascia trascinare dall’informazione continua, dalla televisione, dall’Internet: “I politici sono una categoria della popolazione molestata dalla pressione del tempo. Non una sera né un fine settimana tranquilli, non un momento per leggere, quando la lettura è la chiave della riflessione. Non inventano dunque più alcunché”. Si può annaspare con la consapevolezza della circostanza. Ma è così come lui diceva in limine mortis. Come suggerivamo ieri, si può essere “vivi e acuti” piuttosto che “gravi e maturi”, e corrispondere ai criteri della contemporaneità, ma la chiave della conoscenza e della riflessione da qualche parte bisogna trovarla.” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 4 luglio 2916)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Da quando sono comparsi gli storici e il passato è stato espropriato al mito, gli esseri umani si sono sempre più spaventati delle nefandezze commesse in ogni epoca e, per sfuggire a una mortifera disperazione, si sono sempre più rifugiati nel Futuro. Più precisamente, tutto ciò è cominciato nella cosiddetta civiltà occidentale per il dinamismo impresso dal metodo filosofico, inventato in certe località greche dove l’equilibro della natura e la disponibilità di cibo e di schiavi consentì a una classe di intellettuali di passare piacevolmente il tempo a pensare e a discutere. Ma le filosofie occidentali hanno contagiato tutto il pianeta giungendo perfino là dove s’era inventata la polvere da sparo e la si usava per fare i fuochi artificiali, e là dove i samurai, gelosi della raffinata arte della spada, resistettero per secoli all’adozione delle armi da fuoco. Nel Milleottocento, le novità filosofiche emerse nei due secoli precedenti scaldarono talmente alcune menti che ne vennero fuori utopie devastanti che ispirarono le grandi stragi del Millenovecento: un sfoltita del genere umano molto dolorosa. Le bombe atomiche hanno bruciato più di centomila giapponesi, ma anche il feticcio del Futuro. Perciò, pur nel riconoscere con Ferrara che i politici di oggi vanno avanti a tentoni, mi lasciano freddo i grandi ideali del passato, le scintillanti utopie, le ampie visioni politiche. Preferisco queste mezze tacche ai grandi protagonisti politici del passato. Li sento più vicini a me e alle mie paure.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Il punto cruciale di questo intervento di Giuliano Ferrara su quello che potremmo chiamare lo stato di salute mentale dell’occidente è contenuto nell’ultimo periodo: «si può essere “vivi e acuti” piuttosto che “gravi e maturi”, e corrispondere ai criteri della contemporaneità, ma la chiave della conoscenza e della riflessione da qualche parte bisogna trovarla». In sostanza, dice Ferrara, sembra che l’occidente (ma esiste una simile entità?) abbia mandato il cervello (una metafora, meglio, una suggestione) in vacanza.
Si tratta del paradosso principe delle società contemporanee, in particolare di quelle che vivono da protagoniste l’epoca della globalizzazione, segnata questa, com’è noto, dall’essere epoca della conoscenza, della tecnologia e della comunicazione totale: possibilità per tutti di conoscere tutto o quasi e però ignoranza diffusa e decisioni più di pancia che di cervello. Una responsabilità che pesa soprattutto sulle spalle delle élites genericamente intese, ma che non può escludere, né in via teorica né in via fattuale, quella di chiunque abbia la possibilità di accedere alla conoscenza, tanto meno di chi la possiede e però non la usa, per indifferenza, per paura o per interesse.
Con una conseguenza, fino a pochi anni fa non prevista e forse non prevedibile nella sua portata davvero epocale per le democrazie: la diffusione della richiesta di partecipazione alle decisioni e nel contempo l’uso strumentale di tale richiesta da parte di nuove élites ancora più spregiudicate di quelle che esse dichiarano di voler sostituire, fino all’adozione di forme ingannevoli di cosiddetta democrazia diretta spacciate come diritto del popolo a decidere del proprio destino. Come Brexit docet, e non solo. E che i risultati contraddicano clamorosamente le premesse proclamate a gran voce sembra non importare nulla a nessuno dei protagonisti.
Si ha l’impressione che prevalga in gran parte delle democrazie occidentali la vergogna di aver raggiunto conquiste straordinarie, una specie di cupio dissolvi per senso di colpa, quello di aver prodotto i livelli più alti di civiltà della storia, certo con tutti i limiti che sappiamo ma anche con la possibilità di apportarvi modifiche in direzione di maggiore equità e libertà. Lo testimoniano orientamenti e decisioni/indecisioni delle classi dirigenti e mille e mille episodi diffusi nei corpi sociali, dalla ritrosia a difendere i valori fondamentali dell’occidente di fronte all’estremismo islamista (in nome di un politically correct davvero miope) alle timidezze e agli equilibrismi nella lotta all’ISIS, dall’incapacità (di fatto voluta per trionfo degli egoismi) di fronte all’esplosivo fenomeno storico delle migrazioni di massa alla quasi arrendevolezza di fronte al montante ritorno dei populismi e dei nazionalismi.
Dunque, è come se si volesse negare il principale portato storico delle civiltà occidentali moderne, ossia l’essere costitutivamente società liberaldemocratiche, creature politico-sociali-culturali che tendenzialmente assicurano ad ogni individuo il massimo possibile di libertà individuale insieme alla richiesta e all’obbligo della responsabilità sociale, attraverso istituzioni e regole che se non funzionano possono essere modificate con procedure definite per legge. Se poi non lo si fa o lo si fa male è altra questione. Ed è appunto ciò di cui occorre discutere senza l’illusione di facili scorciatoie. Perché le classi dirigenti (si legga almeno Wilfredo Pareto) non si improvvisano né si coltivano in vitro.
Il ribellismo diffuso, guidato da leader improvvisati, in qualsivoglia modo lo si voglia giustificare (ingiustizie, forbice sociale crescente, impoverimento dei ceti medi, insicurezza, ecc.), trae comunque alimento, se non altro come corollario, da un’ignoranza diffusa e a sua volta la alimenta. E dire questo non è questione di puzza sotto il naso di intellettuali separati dal popolo. È piuttosto questione di problemi concreti e insieme di visione della natura e dei doveri dei regimi democratici. La partecipazione fasulla mascherata da democrazia diretta è quanto di più antidemocratico possa immaginarsi. Le élites non solo esistono, ma in una democrazia che funzioni a vantaggio di tutti sono costitutivamente necessarie, solo che devono essere frutto di trasparenti, aperti e rigorosi processi di selezione, e devono avere qualità che le pongano all’altezza del compito.
Torniamo dunque all’inizio: “la chiave della conoscenza e della riflessione da qualche parte bisogna trovarla”. Una classe dirigente figlia dell’improvvisazione e senza spessore culturale, con persone non capaci di riflettere o non abituate a farlo, non può essere realmente ed efficacemente tale. Non si può pensare di trovare una strada immaginata come nuova senza radici, perché le radici ci saranno comunque, solo che mentre in apparenza saranno improvvisate nella realtà attingeranno a ciò che sembrava accantonato, e saranno funzionali, come già appare chiaramente, all’ascesa di classi dirigenti che fanno esattamente il contrario di quello che dichiarano a parole e che inevitabilmente escludono il popolo dal potere reale con il consenso del popolo stesso.
La conoscenza di per sé garantisce la giustizia, la libertà e l’esercizio della responsabilità? No, certo che no, ma ne è la premessa. L’informazione, la lettura, la riflessione, sono sempre e per tutti possibilità, obblighi e necessità? No, certo che no, mille sono le variabili che ne consentono o non ne consentono l’esercizio, ma la loro impossibilità programmata o la loro esclusione di fatto, per insipienza o per calcolo, sono insieme l’antipolitica e l’antiintelligenza. Il guaio è che le élites al potere non sembra ne abbiano consapevolezza, come testimonia il fatto che a porre il problema di sostanziare la democrazia di un sapere diffuso e di una conoscenza puntuale, che equivale anche a un diritto sostanziale, sono a tutt’oggi individui e gruppi minoritari. Per il resto chiacchiere e scie chimiche. D’altronde, come tutti sanno, chi si accontenta gode.
La proposta di Leoni a Barbabella
Il M5s prova a cancellare la gogna riservata alla scienziata Capua. Ma non è possibile.
“Dopo il proscioglimento della virologa, i grillini sostengono di non aver mai chiesto le dimissioni da parlamentare per l’accusa di “traffico di virus”. La deputata Chimienti cancella le accuse da proprio sito, ma restano le tracce e gli atti parlamentari
Con un comunicato ipocrita e falso il gruppo M5s alla Camera scrive: “Ci rallegra la notizia del proscioglimento della deputata e collega e in commissione Cultura Ilaria Capua dall’accusa di essere coinvolta in un presunto traffico illegale di virus. Umanamente non potevamo che sperare che la vicenda si concludesse con un esito positivo”. E ancora: “Al contempo non possiamo condividere alcuni giudizi espressi da Capua nei nostri confronti e rispedire al mittente le accuse che ci sono state rivolte da alcuni suoi colleghi di partito. Quando, nel 2014, la deputata di Scelta civica venne iscritta nel registro degli indagati dalla procura di Roma noi chiedemmo soltanto una cosa: che Capua lasciasse il ruolo di vice presidente della commissione Cultura”, in conclusione nessuna richiesta di dimissioni da deputato, “nessun giustizialismo, attacco violento o ostracismo da parte nostra nei confronti della collega”.
L’onorevole Chimienti, la stessa che privatamente avrebbe chiesto scusa alla Capua, pubblicamente ribadisce il concetto: “Né io né i miei colleghi abbiamo mai chiesto le sue dimissioni dalla Camera ma solo dal ruolo di vicepresidente di commissione Cultura”. Si tratta di un’affermazione falsa, perché i grillini hanno chiesto la testa della ricercatrice con una campagna feroce. Proprio la Chimienti, pochi giorni dopo la copertina dell’Espresso che accusava la scienziata, pubblicava un post dal titolo “Ilaria Capua si dimetta!”, con tanto di foto della ricercatrice a cui si chiedeva “nel dubbio” di dimettersi. La grillina Chimienti, che evidentemente ora prova vergogna per quelle parole, ha cancellato il post dal proprio sito.” (Luciano Capone, Il Foglio, 7 luglio 2016)
L’opinione di Barbabella
Si tratta di un esempio eclatante di come i fatti smentiscano la propaganda. Non è solo la Chimienti a dire bugie, ma il movimento 5s. È lo stesso articolo di Capone a dirlo, e infatti così prosegue: “Altrettanto falsa è l’affermazione secondo cui il M5s non ha mai chiesto le dimissioni della deputata di Scelta civica. L’ha fatto attraverso Sacro blog e in maniera ufficiale con l’on. Marialucia Lorefice, che alla Camera l’11 aprile 2014 dichiarava: “Ci sembra lecito in questa sede chiedere le dimissioni da vicepresidente dalla Commissione cultura, ma anche da parlamentare della Repubblica italiana, della deputata Ilaria Capua. … Nello stesso intervento la parlamentare grillina descriveva la Capua e gli altri accusati come “persone che mettono la propria intelligenza ed il proprio sapere deliberatamente al servizio del male”, persone “prive di scrupoli” che agiscono “in nome del Dio denaro”. Il tutto sulla base di un articolo dell’Espresso, quello di Lirio Abbate sul numero del 3 aprile 2014 intitolato “Il business segreto della vendita dei virus …”, elevato per l’occasione a fonte di verità sia reale che giudiziaria. Davvero si stenta a credere che sieda in parlamento gente di questo livello.
Dopo dodici anni di indagini altalenanti e inconsistenti e due anni di gogna mediatica, Ilaria Capua (ricercatrice di fama internazionale, la prima ad avere isolato il virus dell’influenza aviaria umana) è stata riconosciuta innocente con la formula “il fatto non sussiste”. Chi ripagherà i danni sia a lei come persona che alla collettività? Probabilmente nessuno. C’è un’iniziativa presso il CSM per chiedere conto di questo disastro giudiziario al titolare dell’inchiesta, il giudice Giancarlo Capaldo, se non altro per sapere come sia stato possibile che si sia proceduto con un’accusa così grave e infamante (traffico illegale di virus e associazione per delinquere finalizzata a favorire un cartello di case farmaceutiche) anche quando era già chiaro (fin dal 2007) che essa non aveva alcun fondamento e senza mai, dicasi mai, sentire il dovere di parlare con l’accusata.
Difficilmente qualcuno pagherà. Ce lo fa sapere quanto già accaduto con la vicenda Tortora: lì i giudici, colpevoli di uno degli errori giudiziari più gravi della storia repubblicana e di una collegata massacrante gogna mediatica, sono stati addirittura promossi e chi li ha sostenuti è stato chiamato ad occupare cariche importanti nel sistema giudiziario (lo ha ricordato da ultimo in questi giorni Massimo Bordin). E ce lo fanno pensare anche altre inchieste, alcune già andate e altre prossime ad andare, da quelle di Ingroia a quella intitolata Stato-mafia.
Pagheranno invece il prezzo della loro “intraprendenza” giornalisti e politici come i pentastellati che si sono prodotti in una non inconsueta sospensione del più elementare garantismo a favore di un giustizialismo tanto superficiale quanto forse volutamente ignorante? Certo che no, questo è strasicuro. Anzi, qualche nome illustre del giornalismo nordico ha già preso occasione da una telefonata che Silvia Chimienti sembra abbia fatto a Ilaria Capua qualche mattina fa (scusandosi – si dice – dei suoi giudizi quanto meno improvvisati del 2014) per affermare che “quelli capaci di chiedere scusa guadagnano titoli di merito che rendono le loro posizioni rispettabili”.
Come, come? Sicché per Paolo Mieli, sì proprio lui, basta una telefonata di cui non si sa nulla per azzerare tutto e accreditare come rispettabili coloro che parlano e agiscono per conto di un intero movimento che non ha smentito proprio niente e non ha per nulla chiesto scusa? Si possono capire le manovre dei gruppi che contano nel Corrierone, ma anche per loro vale il rispetto dei fatti. Perciò, quando sono loro a mettere i fatti sotto i piedi, sono le loro posizioni a non essere rispettabili.
Una cosa seria nell’intervento di Paolo Mieli su questa vicenda però c’era, ed era l’incipit: “L’Italia ha scarsa considerazione per la scienza”. Sfido io, certo che sì, ed è lui stesso a dimostrarlo alla fine non tenendo in nessun conto la verità. D’altronde questa è l’epoca delle certezze assolute che durano lo spazio di un mattino, ma che finché durano escludono, appunto in quanto assolute, ogni dubbio. Il contrario della scienza.
Ora, io credo che non si possa pretendere che tutti accettino quanto scrive Telmo Pievani (La Lettura, 10 luglio 2016 n. 241) a proposito della natura della scienza. Nessuno però può ignorarlo. Dice Telmo Pievani: “Ma forse il fascino paradossale della scienza è quello di essere l’unica forma di sapere in cui i punti di domanda, con il tempo, aumentano anziché diminuire. Più sappiamo e più sappiamo di non sapere. E questo è indigeribile per ogni integralista”.
Io direi anche indigeribile per ogni presuntuoso demagogo o assatanato scalatore politico disposto a fare strame del più elementare rispetto umano e delle più elementari regole di convivenza. A meno che non ritenga di essere un giustiziere della notte o più nobilmente un novello seguace di Michail Aleksandrovič Bakunin, per il quale “Il piacere della distruzione è anche un piacere creativo … Saremo felici quando tutto il globo terrestre sarà in fiamme”. Se dura così, anche con l’aiuto dei “furbi” alla Paolo Mieli, non mancherà molto e ci saremo vicini. Però un po’ di pazienza, che diamine! Ci si risparmi almeno di veder sdoganato con troppa fretta chi crede alle scie chimiche, al metodo Vannoni e all’esistenza di mondi paralleli, cioè ad ogni cosa che consenta di evitare la fatica della ricerca scientifica pubblicamente documentata e controllata, tipo quella di Ilaria Capua. E se non si è capaci di pazienza, si abbia almeno un po’ di pietà, dacché siamo già sufficientemente stressati da quella cosa che con felice espressione Emilio Gentile ha chiamato “democrazia recitativa”!