La proposta di Dante Freddi
Gli intellettuali europei lontani dall’opinione pubblica?
“Per antica consuetudine gli intellettuali europei — specie quelli di sinistra, da settant’anni in strabocchevole maggioranza — sono molto bravi nel trovare i termini appropriati per designare le cose che non gli piacciono usando il marchio dell’infamia ideologica. Questa volta è stato Bernard–Henri Lévy che non si è lasciata scappare l’occasione fornitagli dalla vittoria inglese della Brexit. I cui fautori, ai suoi occhi, non sono altro che «populisti», «demagoghi», «ignoranti», «cretini», seguaci più o meno inconsapevoli di tutto ciò che c’è di peggio al mondo da Le Pen a Putin a Trump, «nuovi reazionari», «incompetenti», «volgari» «sovranisti ammuffiti» (termini testuali che traggo da un articolo del nostro sul Corriere di lunedì scorso).
Mi chiedo come sia possibile, con tutto quello che sta succedendo, non rendersi conto che proprio pensando, dicendo e scrivendo da anni, a proposito di parti sempre crescenti delle opinioni pubbliche del continente cose come quelle scritte da Lévy, non rendersi conto, dicevo, che proprio in questo modo le élite intellettuali (e politiche) europee sono riuscite a scavare tra sé e le opinioni pubbliche di cui sopra un solco profondo di avversione e di disprezzo. A rendersi insopportabili con la loro sicumera e la loro superficialità. …
Dunque è al «popolo» o no, è agli elettori o no che spetta l’ultima parola sulle cose importanti che li riguardano? e ai primissimi posti tra questi non c’è forse la costruzione europea? E se questa con i trattati di Maastricht, di Lisbona e con la moneta unica, ha previsto la cessione proprio di parti rilevantissime della sovranità, è davvero così assurdo pensare che il popolo avrebbe dovuto, o debba, dire la sua? E perché mai, poi, se la richiesta di un referendum su un simile argomento la propone David Cameron — così com’è effettivamente accaduto, ma come troppo facilmente ci si dimentica — allora tanti come Bernard-Henri Lévy non trovano nulla da ridire e osservano il più scrupoloso silenzio, ma se invece il medesimo referendum lo chiede un partito che a loro dispiace allora apriti cielo, è il populismo che stende i suoi tentacoli, la demagogia che vuole sostituirsi alla democrazia? …
Con l’Unione a pezzi, i sistemi politici di mezza Europa alle corde, le loro élite boccheggianti e delegittimate. Non c’è che dire: gli aedi della democrazia possono essere soddisfatti.” (Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della sera, 29 giugno 2016)
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Vecchia questione quella di che cosa sia la democrazia, anzi, di che cosa debba intendersi per democrazia, e di chi lavora per essa e di chi invece ne mina le fondamenta. Perché di democrazia si parla da almeno duemilacinquecento anni nei libri dei filosofi e di realizzazioni pratiche dal secolo scorso ne abbiamo avute diverse, provvisorie e certamente imperfette, comprese quelle scaturite dalla sconfitta delle dittature del Novecento.
Vecchia questione e però questione sempre attuale, anzi, più attuale che mai nell’epoca della montante fortuna di quella forma di essa che si chiama democrazia diretta, anch’essa capace di più e più articolazioni. Democrazia vuol dire che “il potere appartiene al popolo”, però potere con limiti, quelli stabiliti nelle costituzioni. Infatti, in democrazia non esiste l’assoluto: non l’assoluto bene, non l’assoluta certezza. Le dittature sono temporanee, le monarchie assolute si sono trasformate in monarchie costituzionali, figurarsi se in democrazia ci possono essere gli assoluti, le formule perfette. Non lo è la democrazia rappresentativa, non lo è quella diretta. Tutti i democratici lo sanno bene. Solo i demagoghi affermano il contrario. Dunque conviene ricordarsi sempre ciò che della democrazia diceva Winston Churchill.
Oggi, presso certi ambienti un po’ furbetti, un po’ esaltati, un po’ ignoranti, va di moda l’idea che per risolvere problemi intricati bisogna “appellarsi al popolo”, affidarsi alla sua inappellabile decisione, in modo diretto e semplice, un si o un no. Il referendum è eletto quasi a formula magica. Dimenticando, anzi azzerando, tutte le elaborazioni degli ultimi tre secoli, non si considerano i pericoli e si mitizzano le formule, come se il pericolo da evitare non fosse il populismo e la demagogia, ma l’informazione, la riflessione e la decisione consapevole, cioè il sale della democrazia.
Galli della Loggia si arrabbia perché Bernard-Henri Lévy se la prende con una Brexit definita vittoria non del popolo ma del populismo, non della democrazia ma della demagogia, degli opposti estremismi, della xenofobia, delle chiusure, delle paure e dell’ignoranza, la negazione del futuro. Ma ha del tutto ragione ad arrabbiarsi?
Si, certo, B-H Lévy fa parte delle élites politiche e intellettuali europee, quelle stesse che oggi si scagliano contro l’esito del referendum inglese e però si portano tutta intera la responsabilità di essere stati loro a elaborare e attuare (e a giustificare) le politiche miopi che hanno esasperato larghe masse di cittadini. I quali, si sono sentiti non solo colpiti dalla crisi, ma minacciati dalle molteplici insicurezze ed esclusi dalle prospettive di miglioramento, immediate e di prospettiva. Una condizione di esclusione e di estraneità, una sensazione diffusa di futuro minaccioso. Ceti emarginati, classe media impoverita, un mix esplosivo. Le élites hanno pensato a se stesse, non si sono comportate da vera classe dirigente. La realtà sta mettendo a nudo le loro debolezze e le loro incapacità, insieme a tanti altri fenomeni che qui non è possibile considerare.
Ma non per questo possiamo dimenticare che cosa ci insegna il pensiero politico, l’esperienza storica e anche il semplice buonsenso. Cioè, in sintesi, che chi utilizza il popolo non lo fa mai per il bene del popolo, e che le decisioni ottenute con la propaganda ingannevole non possono essere considerate realmente libere. L’abuso della democrazia esiste, ed è uno degli aspetti da cui la democrazia deve difendersi.
Mi sembra giusto affermarlo soprattutto in questa nostra particolare temperie storica, in cui tutto appare in discussione ma più con il taglio dello smontaggio e della distruzione che con quello della riforma, cioè per cambiare ma senza sapere bene come e per dove, senza che ci si preoccupi di sostituire qualcosa con qualcosa di meglio.
E proprio per questo mi piace ricordare che il pensiero liberale si è costruito intorno all’idea della difesa dell’individuo dal pericolo della “dittatura della maggioranza”. Se l’austriaco Norbert Hofer, anche lui, esalta oggi la democrazia diretta perché “gli uomini non sbagliano mai” (così dichiara senza pensarci un attimo), allora c’è davvero da preoccuparsi, perché questo equivale a mettere da parte le regole e le istituzioni, nate a garanzia di tutti gli individui proprio perché gli uomini possono sbagliare. Ma questi discorsi se li fai sei noioso. Anche perché tutti o quasi sono sicuri di aver capito tutto. Mala tempora, credo.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Certe volte ho l’impressione che gli intellettuali, compreso Galli Della Loggia, facciano finta di meravigliarsi per avere qualcosa da scrivere. Che gli intellettuali di sinistra, coi quali se la prende questa volta il professore, siano dei veri democratici ci credono solo loro. Ha scritto lucidamente Nicolás Gómez Dávila: «Quando una maggioranza lo sconfigge, il vero democratico non dovrebbe soltanto dichiararsi sconfitto, ma confessare anche che non aveva ragione». Ora, preferire alle proprie ragioni quelle di una maggioranza elettorale non lo si può chiedere a nessuno, nemmeno agli intellettuali di sinistra. Nessuno è democratico in senso assoluto; e il popolo, quando si comporta da bue, merita di essere definito, da destra e da sinistra, popolo bue. L’unica democrazia possibile non si basa su verità assolute, e nemmeno sull’illusione della saggezza popolare, ma sull’accettazione del fatto che siamo destinati a vivere nell’incertezza e che possiamo circoscrivere e addomesticare i problemi, a cominciare da quello di una civile convivenza, ma non risolverli radicalmente.
La proposta di Barbabella a Leoni
Istituito il distretto turistico culturale dell’Etruria meridionale
Benvenuto al Distretto turistico culturale “Etruria meridionale”
L’opinione di Leoni
Questa è una bella notizia, perché è stato istituzionalizzato uno strumento d’impegno che supera i confini amministrativi, anzi li elude, per focalizzare progetti e interventi su una realtà che rimanda a una storia, molto più antica e illustre di quella che ha prodotto le attuali ripartizioni amministrative pubbliche. Una storia che ha lasciato un’impronta indelebile in un territorio profondamente segnato da quattro grandi civilizzazioni: etrusca, romana, cristiana e rinascimentale. In un mondo dove le comunicazioni si sono sorprendentemente evolute e dove i più grandi spostamenti di masse avvengono per turismo, l’area in questione, infelicemente ma ormai ineludibilmente denominata Etruria Meridionale, ha molto da offrire e valorizzare. Quindi una occasione magnifica per partorire idee e coinvolgere risorse umane e finanziare, anche nella logica della programmazione europea, che si spera abbia un futuro nonostante i venti insalubri che stanno spirando.