di Mario Tiberi
Non vorrei, nemmeno per un attimo, vestire gli odierni panni del Renzi, inzuppati di pioggia acida, e da lui caparbiamente ricercati: panni lisi e sfibrati dalle sue ormai manifeste vulnerabilità.
Le recenti elezioni amministrative hanno infatti provato, senza tema di smentita, che il provvisorio Capo del Governo non è affatto invincibile, anzi tutt’altro. Ed è lui stesso che, da solo, si sta scavando con le sue stesse mani la fossa nella quale, presto, è prevedibile che precipiterà. Chi, difatti, pensa di essere così potente e titanico tanto da sfidare tutto e tutti e di porsi nella condizione di potersi atteggiare da “uno solo al comando” che nulla teme e che, paradossalmente, si propone di ridisegnare la realtà politica e sociale a sua immagine e somiglianza, o è in forsennata isteria o è in paranoia dissociativa. Chi, poi, annuncia proclami programmatici e, nella sua mente, già arzigogola indirizzi direzionali tutti all’opposto, o è un venditore di fumo o è un mentitore seriale.
Chi , infine, distrugge politicamente, gli uni dietro gli altri, i suoi iniziali “compagni di avventura”, le femminucce Serracchiani- Moretti-Picierno-Bonafé e i maschietti Esposito-Giachetti-Romano-Orfini, o è un sicario o è un masochista. Quanto sopra, e molto altro, pone sul banco degli imputati il segretario nazionale del PD, il Renzi per l’appunto, con l’accusa gravissima di accingersi a recitare il “de profundis” per l’esplodente PD medesimo. La spiegazione filosofico-antropologica degli accadimenti in corso, tentai di fornirla tempo addietro e, siccome ciò che scrissi si sta puntualmente avverando, mi concedo la facoltà di riproporla nei suoi tratti salienti.
E’ indubbio che l’attuale contesto socio-politico non ci soddisfi affatto e, quindi, è ampiamente diffusa la percezione che la italiana è solo una democrazia apparente, celante demagogici calcoli elitari o addirittura totalitari in funzione dei quali, chi ne è al vertice, coltiva la strategia di professare idealità, tanto intellettuali quanto morali e politiche, valide e benefiche, quando invece l’unico scopo è affaccendarsi per la supremazia di potere con l’inevitabile tentativo di annientamento ed eliminazione di coloro che la intendono contrastare.
In codesta disputa al massacro non prevalgono le idee, i valori, i progetti finalizzati al conseguimento del miglior bene possibile per intere collettività bensì, in un meccanismo insano di tal fatta, dominano le singole persone: la loro prepotenza, la loro aggressività, il loro saper incantare, adulare, raggirare, confondere la realtà con l’apparenza.
Ciò che sembra caratterizzare il “renzismo” è il prototipo del vincente. Ma tale è l’ideale cui tendere? E’ questo l’obiettivo principe, il massimo a cui si può aspirare? Si deve veramente concedere fiducia a personaggi per il solo fatto che incarnano surrettiziamente il simbolo della forza, del potere, del successo e della vittoria?
Ebbene sì: per alcuni, non so quanti e spero ormai in irreversibile diminuzione, questo è ciò che conta e, basta e avanza, per tuffarsi nelle braccia di un momentaneo vincitore. Senza porsi troppe domande, senza mettere in discussione troppe fatue certezze, si segue ciecamente un’unica direzione: quella che porta alla vittoria, non tanto perché ci si creda per davvero ma, semplicemente, perché è la vincente. Ed ecco le “pecorelle”, unite e tenute insieme in un unico gregge soltanto dal desiderio di sovrastare e sopraffare gli altri, che mettono in mostra la loro illusoria forza promanante dalla potenza, anche se caduca, di un solo uomo e dalla sua immancabile vittoria.
Ma risiede proprio in questa caducità l’anello debole dell’intera catena: il capo-gregge infatti, superbamente e senza mai voltarsi indietro, percorre così la sua personale strada a prima vista trionfante non avvedendosi, però, che la stessa, giorno dopo giorno, lo convoglierà inesorabilmente verso la propria autodistruzione.
Sono, dunque, davvero queste le contese della vita che si vogliono disputare? Quelle disoneste, in cui si tradisce prima di tutto se stessi e la ricchezza della propria umanità, oppure quelle semplicistiche e, in fin dei conti, false e frustranti poiché conducono soltanto a conquiste effimere e apparenti, destinate a scomparire col passare del tempo? Ciò che rimane non è la fama, il successo, il potere, in sé fuggevoli in quanto meteore passeggere che non rifulgono di luce propria, quanto la disperazione di essersi perduti per niente.
Forse, al Renzi, non è ancora ben chiaro che nessun uomo nasce privo di “talloni d’Achille”!