di Franco Raimondo Barbabella
Il prossimo 29 ottobre sarà inaugurato il Nuovo Centro Congressi di Roma progettato dall’archistar Massimiliano Fuxas. Il cuore del Centro è rappresentato dalla Teca, che a sua volta contiene, oltre ad una serie di servizi, la Nuvola, uno splendido auditorium polifunzionale per attività congressuali, spettacoli ed eventi culturali di vario tipo. Alla Teca e alla Nuvola è collegata una grande struttura alberghiera autonoma chiamata Lama. L’intero complesso è definito dalla società proprietaria del Centro (EUR Spa) “Una città nella città”.
Quasi un mese dopo (il 20 novembre) correrà il decimo anniversario delle dimissioni del CdA di RPO Spa, la società con socio unico il Comune di Orvieto a cui lo stesso Comune nel 2004 aveva conferito l’incarico della rifunzionalizzazione del complesso dell’ex Piave nell’Area di Vigna Grande. Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, quelle dimissioni giunsero al termine di un lungo cammino nel corso del quale il Comune, invece di favorire l’attività della “sua” società, l’aveva ostinatamente ostacolata impedendole di proseguire un’attività che pure aveva prodotto, nei tempi stabiliti e nei modi più consoni e trasparenti, un Business Plan (BP) di tutto rispetto.
E che il BP fosse di tutto rispetto sia per i contenuti che per la procedura di elaborazione lo dimostrano i documenti stessi (Progetto Architettonico, Stima dei Costi, Piano Economico-Finanziario), il consenso ricevuto in ambienti diversi (compresi non pochi e non poco significativi soggetti interessati alla sua realizzazione) e indirettamente il giudizio dello stesso TAR dell’Umbria. In particolare non può non apparire tale, anche in termini finanziari, se oggi lo si rapporta all’operazione Nuovo Centro Congressi di Roma, “una città nella città”, e in esso alla “Nuvola di Fuksas”. Alla prova dei fatti le sue previsioni, pur condizionate dai rigidi vincoli di destinazione del Comune, erano senz’altro lungimiranti.
Ecco che cosa prevedeva infatti il Business Plan di RPO Spa:
Polo del turismo e del tempo libero (Hotel 5 stelle e hotel 3/4 stelle; Centro benessere; Vasta gamma di attività commerciali)
Polo dei musei (Parco della memoria: museo della città, museo del corteo storico, archivio di stato; Museo di arte moderna; Servizi culturali)
Polo della scienza agroalimentare (Scuola europea della cucina; Scuola di formazione alberghiera; Centro di ricerca della scienza agroalimentare)
Polo tecnologico e dell’economia della conoscenza (Formazione universitaria; Scuola europea del restauro; Ricerca e sperimentazione; Campus universitario)
Servizi (Centro di produzione musicale; Uffici privati: studi professionali, spazi per attività del terziario, ecc.; Info box; Parcheggi coperti)
Teatro di Vigna Grande
Dunque visione unitaria inquadrata in quella più generale e dinamica del ruolo della città. Criteri progettuali improntati a interconnessione, flessibilità, realizzabilità. Ma che cos’era il “Teatro di Vigna Grande”? Ecco come veniva descritto nell’Introduzione al Progetto di valorizzazione: “Nella piazza d’armi delimitata dall’Edificio Truppa è prevista la realizzazione ex novo di un grande auditorium, il Teatro di Vigna Grande, dedicato ad accogliere spettacoli, concerti, convegni, grandi eventi, per circa 800 persone. Tecnologicamente molto avanzato, dovrà essere in grado di ospitare eventi di elevata qualità e di richiamo internazionale. È ipotizzabile un edificio aereo, dotato di facciate mutevoli e trasparenti, che non entri in contrapposizione architettonica con la struttura preesistente della caserma, ma che neppure vi stabilisca un dialogo imitativo. … Tale condizione, unita al fatto che il Teatro è l’unico edificio di nuova realizzazione di tutto il complesso, induce a suggerire il ricorso ad un concorso internazionale di architettura, in maniera tale da confrontare diverse soluzioni architettoniche, proposte a livello internazionale, coinvolgendo personalità di chiara fama. … Mediante il concorso l’intera operazione di valorizzazione immobiliare dell’ex Caserma Piave avrebbe diffusione a livello internazionale, creando un forte effetto mediatico e di richiamo.”
Una somiglianza evidente con la logica, la qualità, le finalità, del Centro Congressi di Roma e della Nuvola di Fuksas. Eravamo avanti, forse troppo per quel conservatorismo locale che preferisce subire piuttosto che innovare con propria responsabilità. Avevamo una visione, forse un’offesa per chi non accetta che l’interesse collettivo venga prima del proprio tornaconto. Ci affascinava il bello, funzionale, estetico, intellettuale e morale, un peccato per chi è abbacinato da cose molto più concrete. Stavamo dimostrando che si poteva fare, una sfida insopportabile per chi è terrorizzato dall’idea che qualcuno possa dimostrare che la linea dello sguardo corto e della rinuncia è deleteria e perdente.
Quando presentammo il Business Plan ci furono alcuni (ricordo in particolare un amministratore allora in auge) che dissero testualmente: “Ancora altri teatri! Ce ne abbiamo già uno e ci costa troppo”. Questo era il livello dei responsabili del potere pubblico: non tentavano nemmeno di capire la proposta, figurarsi il disegno generale, l’idea di potenziare le funzioni della città, la sua reale trasformazione in una città turistica e culturale. O magari le loro intenzioni erano altre.
E così, per miopia di una classe dirigente con la testa rivolta altrove, fu persa un’occasione bella, ambiziosa e fattibile, per lo sviluppo strutturale, qualificato e permanente, della città e dell’intero territorio. Si prevedeva di realizzare l’intero progetto di rifunzionalizzazione in cinque anni, entro il 2010. Il valore del complesso di Vigna Grande alla fine dell’operazione era calcolato in 140 milioni di euro a fronte di un investimento di circa 40 milioni. Il rendimento per le sole casse comunali sarebbe stato di circa 2 milioni all’anno. La città avrebbe non solo avuto le strutture per attuare le sue naturali vocazioni, ma si sarebbe potuta collocare nel mercato mondiale come una delle punte più avanzate e organizzate delle città a vocazione turistica e culturale.
A distanza di dieci anni sarebbe interessante fare un bilancio pubblico di ciò che si è perso, non solo in termini economici, ma politici, culturali, ideali, di fiducia e di qualità complessiva. Dubito che si farà, ma per intanto è bene tenere a mente alcune cose. Ci fu chi si oppose al Business Plan perché diceva che affidando la gestione del complesso ad una Spa, il Consiglio Comunale avrebbe perso il controllo sull’operazione. Che falsità! Che mistificazione!
Gli stessi poi ovviamente non si sono accorti, o non hanno voluto accorgersi, che è stata proprio l’eliminazione di quella Spa che ha espropriato il CC di ogni potere di controllo, anzi, di ogni voce in capitolo. Loro non hanno fiatato. Sono seguite strategie progettuali e di partecipazione ridicole. Dibattito pubblico zero. Ad un certo punto si è arrivati perfino a rovesciare le cose: la ex Piave, da occasione di sviluppo, è stata trasformata in peso di cui liberarsi. Davvero un capolavoro di insipienza! C’è stato perfino chi ha teorizzato di regalarla.
Diciamolo: in una società normale quella cosiddetta classe dirigente che aveva ostacolato l’azione di RPO fino ad impedire la rifunzionalizzazione dell’ex Piave sarebbe stata costretta ad emigrare. E pensare che al contrario ci fu chi impunemente e in perfetta malafede si sentì autorizzato ad accusare il CdA di RPO Spa di aver sperperato denaro.
Poi si sa come è andata a finire: il TAR sancì la correttezza di quel CdA e condannò il Comune a pagare le spese. Risultato: dei danni fatti dagli amministratori che avevano ostacolato l’azione di RPO nessuno si è preoccupato; i responsabili non hanno avuto conseguenze; il bene sta lì in progressivo degrado; la cultura progettuale è praticamente annullata, ecc. ecc. Forse si spera nel miracolo, chissà! Tutti tacciono. La realtà tuttavia parla. Ci sarà alla fine chi vorrà ascoltarla?