La proposta di Dante Freddi
L’assassinio di Jo Cox, odio velenoso o violenza politica?
“In un commento non firmato, dal titolo ‘Appunti preventivi contro le facili conclusioni’, il Foglio parla dell’omicidio di Jo Cox. “Ieri il Regno Unito si è fermato, agghiacciato dall’omicidio per strada di Jo Cox, una parlamentare laburista quarantenne, arrivata a Westminster un anno fa, molto attiva, molto allegra, molto impegnata, europeista convinta, madre di due bambini.
La campagna per il referendum è stata sospesa, i titoli sull’ultimo intervento della Banca centrale sulla catastrofe indotta dalla possibile Brexit sono scivolati in basso, mentre un testimone diceva in tv quel che nessuno avrebbe voluto ascoltare: ho sentito l’attentatore gridare “Britain first”. E’ così che subito la connessione tra l’omicidio e il referendum si è materializzata, la strumentalizzazione è arrivata immediata e brutale. Vedete? Il populismo è violenza, l’antisistema è violenza, il nazionalismo è violenza, la Brexit è violenza.
I media italiani hanno cavalcato fin da subito il movente referendario, i media anglosassoni noti per la loro cautela no, anche se si interrogavano sul perché di questo omicidio e continuavano a segnalare i messaggi di cordoglio di tutto il mondo politico, unito senza esitazione. La polizia sta indagando, la cautela oggi è una necessità. Il clima nel Regno Unito è esasperato, la campagna referendaria è stata molto dura e arrabbiata e il catastrofismo ha vinto, in entrambi i campi, sull’ottimismo e le opportunità. Ma stiamo pur sempre parlando di un referendum che definirà non soltanto lo status di un paese nell’Unione europea, ma anche la sua visione del mondo, del nostro mondo, un cambiamento che non ha precedenti nella storia del nostro continente. P
er questo i toni sono stati così ruvidi, per questo gli amici non sono più amici e le strade per molti politici una volta alleati si sono separate forse per sempre. E’ la democrazia nella sua manifestazione più viva, quella del confronto spietato e leale, due visioni del mondo che si sfidano e chiedono agli elettori di decidere quale sia la migliore. Jo Cox era contro l’odio, ha scritto suo marito, ‘l’odio non ha credo, non ha razza, non ha religione, è soltanto velenoso’, ora stiamo tutti fermi, questo è il giorno del silenzio”. (Da Il Foglio del 17 giugno 2016)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
C’è una follia buona, quella che ci consente di gustare la vita abbastanza per farci sopravvivere nonostante la consapevolezza di dover morire. È la follia genialmente illustrata da Erasmo da Rotterdam. E c’è una follia cattiva, che è una malattia, una catastrofica disfunzione del sistema nervoso. Ma c’è anche una follia consistente nell’esplosione dell’aggressività umana innescata dall’odio.
Sì, perché l’essere umano è capace di amare, ma anche di odiare; di sacrificare la propria vita per gli altri, ma anche di distruggere la vita propria e altrui. A livello sociale, politico e religioso l’odio prende il nome di fanatismo e può scatenare l’aggressività individuale e collettiva. Ci rattristiamo dunque per ciò che è avvento in Gran Bretagna, ma non è il caso di meravigliarsi troppo.
La propaganda delle opposte fazioni per il referendum sull’uscita dall’Unione Europea, ha intercettato il fanatismo nazionalista e ha fatto scattare l’odio fanatico che ha armato la mano dell’assassino della parlamentare laburista. In conclusione questo delitto conferma ciò che si sapeva sulla natura umana e non porta acqua né alle ragioni degli europeisti né a quelle degli antieuropeisti. Chi riesce a controllare i propri sentimenti, sa che ciò che accadrà in caso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea non lo sa nessuno. E chi riesca a formarsi un’opinione sulla base delle opposte opinioni che circolano, dovrebbe tener conto che le opinioni sono utili solo quando non impediscono di pensare.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Come scrive Il Foglio, venerdi 17 era “il giorno del silenzio”, ma oggi no, oggi si può e si deve parlare. E io dico, come molti altri dicono, che l’assassinio di Jo Cox è un salto significativo nella trasformazione (in negativo) del clima civile nelle democrazie dell’Occidente.
Lo coglie bene Bebbe Severgnini nel fondo del Corriere dello stesso venerdi 17: “Sono gli ultimi arrivati nel giardino dell’orrore. Ma anche gli inglesi, ieri, ci sono entrati. L’attentato a Jo Cox — giovane parlamentare laburista al primo mandato, pulita e battagliera — non è solo un macigno insanguinato sulla strada del referendum del 23 giugno, quando il Regno Unito dovrà decidere se restare nell’Unione Europea. È la prova che la società aperta — The Open Society cara a Ralf Dahrendorf — sta impazzendo, con rassegnazione e metodo. La democrazia più semplice e più solida del pianeta — quella britannica — scopre di non essere immune dalla violenza fanatica che sta segnando quest’anno terribile per il mondo libero.”
Io non sono tra quelli che pensano che la democrazia sia il regime in cui tutti sono alti, belli e con gli occhi azzurri, in cui tutti nascono e muoiono con l’aureola di santità e che fanno la pipì profumata di gelsomino, anche perché ho digerito da un pezzo la lezione di Sir Winston Leonard Spencer Churchill. Ritengo dunque normali e salutari non solo le differenze e le distinzioni nette, ma anche i toni aspri delle campagne elettorali quando si tratti di far valere visioni generarli alternative e posizioni specifiche intensamente vissute.
Ma da qui a ritenere che non vi siano limiti proprio non ci sto: limiti di contenuti (non sono ammissibili le palesi falsità), limiti di metodo (non sono sopportabili le aggressioni personali anche solo verbali), limiti di tono (non è accettabile lo strillo arrogante, molto spesso senza argomenti). Lo scontro di idee condotto con argomentazioni razionali è di sicuro compatibile con la natura della democrazia, la pura propaganda, distruttiva di principi e regole, è assolutamente incompatibile con essa.
In Italia i limiti si sono superati più volte nel lontano e recente passato, e sarebbe il caso di non dimenticarsene. Oggi, nello scontro per il governo delle grandi città, si sono raggiunti toni così carichi di demagogia e così vuoti di contenuti che non si può certo sperare nel prevalere delle logiche del buon governo. E tuttavia non si può dire né che questa sia una novità né che essa abbia alimentato uno spirito violento più di quanto per diverse cause tale spirito non esista già in modo latente.
In Gran Bretagna sembra invece che lo scontro tra i due fronti di “Remain” e “Leave” sia andato ben oltre i limiti della più aspra dialettica ed è inutile nascondersi che, quando si arriva a certe punte di violenza propagandistica, qualche mente squilibrata o per condizioni personali o per adesione a idee e movimenti radicalmente esclusivisti può trarre incitamento a compiere atti estremi.
Non è detto che La Brexit sia di per sé violenza, ma se la Brexit si sposa a populismo e nazionalismo, e diventa chiusura e odio per chi la pensa diversamente e agisce in coerenza con questo suo pensare diversamente, allora anche la Brexit può diventare violenza. Vedremo in prosieguo di tempo come stanno esattamente le cose. Ma intanto Tommy Mair, l’uomo incriminato per la brutale uccisione di Jo Cox, ha gridato ai giudici che lo interrogavano: “Morte ai traditori, Gran Bretagna libera”. Vedremo, ma non sembra solo pazzia.
Che sia dunque giunto il momento di riflettere, per tutti e non solo per gli inglesi? Su che cosa? Direi su ciò che si pensa e come si pensa, su ciò che si dice e come si dice, su ciò che si fa e come si fa. Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che i mostri li costruiamo innanzitutto noi e che perciò spetta a noi sconfiggerli. Ma dubbi ci saranno, eccome se ci saranno, ed è più che probabile che ognuno continuerà a correre dietro al suo brandello di verità. Al momento facciamoci dunque fraterni auguri.
La proposta di Leoni a Barbabella
Reddito di cittadinanza: utopia o base su cui fondare un nuovo assetto dello Stato sociale?
“Anche il movimento 5 stelle che del tema del reddito si è fatto principale promotore in questo Paese non sembra interessato a far vivere un dibattito e a raggiungere una proposta condivisa con le altre forze politiche e sociali che pure negli anni hanno scritto, sottoscritto, riflettuto e diffuso idee e proposte concrete di reddito garantito.
Oggi che in Italia si discute di un nuovo debito, quello legato alle pensioni, l’anticipo pensionistico ottenuto con un prestito (Ape) come propone il governo, è chiaro che non ci sono vie d’uscita se non con un profondo cambiamento dello stato sociale. Il welfare, in Italia ma non solo in Italia, è stato costruito su un mondo del lavoro che non esiste più. Le lacune di un sistema che non ha affrontato per troppi anni la precarizzazione delle vite, l’avvento delle nuove tecnologie, i tassi di disoccupazione, diventano delle faglie pericolose, per non guardare le quali continuiamo a indebitarci e ad accettare questo fardello dalla culla alla tomba.
L’idea del reddito, nelle diverse forme in cui potrebbe essere pensato, permette invece di affrontare la questione delle nuove povertà, di una nuova economia redistributiva, delle trasformazioni del lavoro, delle tassazioni delle transazioni finanziarie e soprattutto della liberazione e dell’autodeterminazione delle persone, dai debiti, come dai ricatti materiali e immateriali a cui giornalmente vengono sottoposte.
Allora la domanda sorge spontanea, la potremmo rivolgere a Nencini come a Poletti, come a chiunque della classe dirigente di questo Paese: davvero pensate di perseguire la strada del controllo delle vite attraverso la finanziarizzazione dell’economia, dei servizi, dello stato sociale, del lavoro? Perché oltre che folle, è insostenibile.
Sta a noi lanciare un referendum, una nuova campagna, una qualunque forma di mobilitazione per chiedere a gran voce che anche in Italia, finalmente, si possa discutere e introdurre una forma di reddito.” [Maria Pia Pizzolante, portavoce nazionale TILT (rete che si batte contro la precarietà e per il reddito minimo garantito), Huffington Post, 16 giugno 2016]
L’opinione di Barbabella
Le argomentazioni di Maria Pia Pizzolante non sono del tutto illogiche e fasulle. Condivido l’idea che la finanziarizzazione dell’economia e della società genera forme di sfruttamento e di subordinazione che, oltre ad essere ingiuste, sono anche stupide e controproducenti. Ma, detto questo, quando leggo che ci vuole “un referendum, una nuova campagna, una qualunque forma di mobilitazione per chiedere a gran voce che anche in Italia, finalmente, si possa discutere e introdurre una forma di reddito”, mi chiedo perché questa mobilitazione generale non la si invochi per generare lavoro, e lavoro qualificato.
Troppo facile presentarsi come quelli che hanno trovato la chiave di volta per fare finalmente quella rivoluzione che altri non sono mai riusciti a fare, senza nemmeno lo sforzo di chiarire di che cosa si sta parlando. Pizzolante parla di che cosa, Reddito di cittadinanza o Reddito minimo garantito (Rmg)? Non è certo la stessa cosa. Nella maggioranza dei Paesi europei, esistono diverse forme di garanzia reddituale, ma si tratta sempre di Reddito minimo garantito, non di Reddito di cittadinanza o Reddito di base. Ovviamente non è un caso.
Infatti, mentre il Reddito di cittadinanza o Reddito di base è concesso a tutti, indipendentemente da ogni altra condizione familiare, patrimoniale, ecc., ed è permanente, qualsiasi sia la variazione delle condizioni personali, il Reddito minimo garantito è condizionato a tutta una serie di fattori e dunque è una scelta di tipo politico strategico. La prima è del tutto incompatibile sia con le condizioni finanziarie di un Paese normale, il secondo è possibile in quanto la compatibilità viene stabilita in rapporto agli altri fattori di politica strutturale e di contingenza sociale, senza contare che spinge ad una razionalizzazione della spesa sociale e ad un coordinamento efficace dei diversi strumenti di tutela sociale.,
Insomma, troppo spesso si fa un gran parlare di cose general generiche e senza far capire esattamente dove si vuole andare a parare. Ci si fa belli con il niente. Si invocano soluzioni miracolistiche e di conseguenza si evita di impegnarsi nella ricerca di soluzioni possibili che implichino sforzo, responsabilità e preparazione. Questo modo di pensare e di agire si chiama demagogia. Solo l’idea che le tutele sociali possano poggiare sulla demagogia dovrebbe far venire i brividi. Quello che ci vuole è un sistema che funzioni e dunque anzitutto una classe dirigente che si comporti da classe dirigente.