di Roberto Minervini
Al contadino non far sapere qunt’è buono il formaggio con le pere. In questo vecchio adagio sta un po’ il succo del problema petrolio in Italia. Ma, anche se un po’ contadini lo siamo tutti visto che nel nostro Paese, grazie alle lobby, non si riesce mai a sapere come stanno le cose, cerchiamo comunque prima di capire e poi di andare a votare.
Per cominciare quindi chiariamo che, leggo dal settimanale di Accademia Kronos, l’incidenza sul fabbisogno energetico nazionale degli idrocarburi estratti entro le 12 miglia è pari all’1% per il petrolio e al 2% per il gas (fonte: da Accademia Kronos Decreto Intermin. 8 Marzo 2013). Mentre gli incentivi diretti ed indiretti alle fonti fossili in Italia ammonterebbero per il 2015 a 14,7 miliardi di euro (fonte: “Stop sussidi alle fonti fossili” dossier di Legambiente 2015). In tutto questo le royalties dovute allo Stato dalle multinazionali del petrolio sono solo circa 340 milioni di euro. In questa modesta cifra è compreso anche il piccolo 7% di royalties previste per legge su quanto estratto in mare pagato dalle multinazionali le quali beneficiano pure di un’esenzione totale da tasse sulle prime 50.000 tonnellate di greggio estratte in mare ed sui primi ben 8° milioni di metri cubi di gas (fonte: Indicaz. Generali sulle royalties del Ministero Sviluppo economico). Quindi dal 90 al 93% di quanto viene estratto è di totale proprietà delle compagnie petrolifere. Condizione questa così favorevole che compagnie petrolifere di tutto il modo sono interessate ai nostri idrocarburi, anche se il petrolio è poco, brutto e cattivo. Uno dei tanti misteri italiani a cui occorre mettere mano.
Paghiamo però il carburante per auto e riscaldamento ad un prezzo fra i più alti in Europa e molto è dovuto al fatto che le tasse (accise) che paghiamo sui combustibili sono altissime. Lo Stato quindi è madre benevola con le compagnie petrolifere e matrigna con gli Italiani tutti. Questo la dice lunga sul potere contrattuale di queste lobby sulla politica.
Dal 2010 al 2014 poi la produzione nazionale è scesa di 1.257 milioni di metri cubi di gas, ma, al contempo, è diminuita anche l’importazione di ben 19.547 milioni di metri cubi, a testimonianza che il settore delle energie fossili è in forte declino. E se oggi si può affermare che la nostra indipendenza energetica garantita da gas (6 mesi) e dal petrolio (2 mesi) è di qualche mese lo si deve anche al fatto che il 42% della produzione nazionale di energia elettrica è già coperta dalle energie rinnovabili, altrimenti queste “risorse” in idrocarburi ci basterebbero solo per qualche settimana.
La vera storia è che il settore dei combustibili fossili è destinato a ridimensionarsi drasticamente, la cosa è già in atto, ma le lobby connesse, a cominciare da ENI ed ENEL, vorrebbero fermare il tempo anziché ingaggiare con esso una competizione tecnologica per portarli all’avanguardia anche in Italia e non solo all’estero, dove ENEL sta realizzando cose importanti. Ma in Italia è diverso, grazie al potere delle lobby ed ai governi “molli” si può giocare al ribasso, massimizzare i profitti, con scarso impegno verso inquinamento e la salute pubblica, rischi minori perché scaricabili sul Paese (ILVA, Monte Amiata, Eternit, Seveso, ecc., la lista potrebbe essere lunghissima). E’ così che nascono le concessioni di fronte alle spiagge e le pretese di poter sfruttare un giacimento “a vita”. Una cosa che non sta né in cielo né in terra, neanche in un Paese iperliberista come gli USA, dove comunque non si transige mai sulla sovranità popolare sui beni comuni. Invece da noi si può essere sfrattati dalla propria casa per ragioni di “pubblica utilità” mentre una concessione petrolifera non può essere revocata, se non con un forte indennizzo da parte dello Stato, per mancato guadagno. La sua durata infatti è “eterna” se la risorsa è sempre disponibile. Forse questo spiega come mai nei nostri mari non è mai stata smantellata una piattaforma petrolifera, anche se non più utilizzata da anni, e viene da chiedersi: non è che con la scusa che il giacimento ha ancora qualcosa da offrire si evitano di spendere i tanti milioni di euro necessari al suo smantellamento? La domanda è lecita visto che, se le concessioni fossero invece a termine, sarebbe chiaro quando costringere la compagnia a smantellare. Ma se la “compagnia” è di stato (leggi ENI) nascono leggi particolarmente favorevoli che, però, non possono essere fatte solo per una società (lo si farebbe pure, non credo ci sia questo ritegno, è già successo, ma su questi temi la UE non lo permetterebbe) e così vengono da tutto il mondo a “sfruttare” i nostri miseri giacimenti.
Sono ormai 135 le piattaforme in Mediterraneo, di cui solo un’ottantina eroganti idrocarburi, mentre le altre o sono di supporto o non più operative, enormi “pezzi di ferro” dimenticati in mare. Ma oltre alle abbandonate altre sono in funzione “in automatico” e non sono “abitate”. Quando si legge di migliaia di posti di lavoro a rischio si sconfina nel fantastico.
Questo aspetto ricorda molto quello che è accaduto nel caso della crisi dell’edilizia. Dopo aver costruito di tutto e di più nel nostro Paese, anche dove non si poteva, ad un certo punto gli Italiani tutti si sono stupiti che le case non si vendevano più, il loro valore scendeva anno dopo anno, le banche non le finanziavano e le ditte edili chiudevano con perdita grave di posti di lavoro. Ma cosa c’era di strano e soprattutto d’imprevedibile in un fenomeno esagerato e drogato da un mercato tutto falsato? La stessa cosa era successa pochi anni prima in Spagna (ricordate il periodo di Aznar ed il suo “boom” economico basato soprattutto sul mercato immobiliare?). Sono fenomeni abbastanza ovvi e prevedibili dagli esperti.
Allo stesso modo le nuove forme energetiche soppianteranno (e finalmente!) i combustibili fossili. Lo stanno già facendo, che senso ha continuare a mantenere con uno spericolato aiuto pubblico imprese condannate a cambiare o a chiudere. Gli incentivi devono servire a stimolare gli adattamenti al mondo che cambia non a mantenere in vita strutture ormai sovradimensionate rispetto al mercato. Forse pochi sanno che noi Italiani paghiamo sussidi all’ENEL per mantenere “in efficienza” centrali elettriche che non servono più a seguito del surplus energetico prodotto dalle rinnovabili.
Tra dieci anni (si vede con chiarezza nella palla di vetro) le piattaforme abbandonate saranno molte di più delle attuali ed non ci si preoccupiamo invece che nel 2015 siamo scesi all’ottavo posto fra i Paesi più “turistici” nel mondo. Nel 1970 eravamo al primo e nessun Paese potrebbe offrire quello che possiamo offrire noi in un settore poi che, nonostante la crisi e le bombe degli esaltati, è sempre fiorente e gli economisti c’insegnano che non c’è moneta “più pesante” di quella che ci entra da fuori.
Invece pensiamo a fare in modo che le piattaforme petrolifere, anche quelle entro le 12 miglia, restino lì in eterno, a continuo rischio di tutte le altre economie sviluppate con tenacia, solitudine e capacità sulla costa. Perché non ci concentriamo a cercare di sostenere e recuperare il turismo, questo “giacimento” realmente produttivo ed inesauribile? Perché non lo facciamo? La risposta è semplice: dov’è la lobby del turismo? Questa lobby non c’è per il semplice fatto che anche il turismo è legato ad un’economia diffusa che farebbe tanto bene agli Italiani. Le politiche nazionali, e questa di Renzi sembra che si stia allineando al passato, sono sempre state dettate da “programmatori” interessati, solo così si può comprendere il ritardo delle nostre infrastrutture, le opere inutili o malfatte e la mancanza di una strategia per lo sviluppo.
Francamente stupisce molto l’attenzione, che sembra anche incondizionata, prestata da parte del nostro Presidente del Consiglio nei confronti delle grandi lobby industriali, certo sembra che abbiano in mano il nocciolo duro dell’occupazione del Paese, ma è una visione falsata, un riflesso del passato. Le industrie con il cartellino da timbrare, i sindacati forti e tutto il resto costituiscono infatti solo una parte del Paese, poi ce n’è un’altra fatta di migliaia d’imprese di tante tipologie e diverse dimensioni, comprese quelle in agricoltura e settore alimentare con prodotti con cui potremmo invadere il mondo e che tutti ci copiano all’estero e nessuno difende o fatta di professionisti capaci e creativi che all’estero realizzano meraviglie solo perché vi trovano il contesto giusto per esprimersi.
La nostra è in gran parte “un’economia diffusa”, tenace e brillante, dovuta soprattutto all’individualismo italico, ma è anche un adattamento ad una condizione in cui l’impresa deve difendersi dalla burocrazia e da istituzioni vessatorie, un adattamento ad essere piccoli e furbi per non farsi scoprire ed in perenne lotta con lo Stato. Uno Stato che, anche quando dispone di giovani valenti al comando delle istituzioni, non ha il coraggio di cambiare fino in fondo infrangendo i poteri forti.
E’ quindi giunto il momento di intervenire direttamente e di farci sentire, di fare sapere a questi ed altri futuri governi che l’unica lobby che realmente conta in questo Paese siamo noi, e quale occasione migliore di un bel referendum? Andiamo a votare quindi augurandoci che presto ce ne saranno altri.