La proposta di Dante Freddi
Che ne pensate di #saveorvieto?
Analisi di questo fenomeno, che è partito dalla discarica e sta divenendo un riferimento per molti cittadini. L’idea” mettiamoci la faccia” ha condizionato fortemente, credo, le scelte dei partiti sulla discarica, perché si sono sentiti addosso tutta l’attenzione dei cittadini in forme inconsuete ma efficaci. (https://saveorvieto.wordpress.com/info/)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Ben venga saveorvieto.wordpress.com e ben vengano le buone intenzioni, con l’auspicio che non servano a lastricare la strade dell’inferno, ma siano portatrici di risultati. Per quanto riguarda la questione dei rifiuti, consiglierei un taglio più combattivo nei confronti delle amministrazioni comunali che non s’impegnano abbastanza nel promuovere la raccolta differenziata spinta, unica speranza di non perpetuare la discarica delle Crete. È difficile accelerare il ritmo della raccolta differenziata? Ma nessuno aveva detto ai candidati sindaci e consiglieri comunali che il loro compito sarebbe stato facile. Quindi s’informino e, soprattutto, alzino il sedere dalla poltrona per andare a toccare con mano ciò che amministratori più vispi di loro riescono a realizzare in Italia e all’estero. Altrimenti la poltrona scotterà fino a superare la capacità di resistenza del sedere. Quanto ai ventilati investimenti privati che porterebbero lavoro e benessere, essi sono subordinati all’incremento notevole dei rifiuti differenziati da trattare. È come promettere un bel posto di lavoro a un giovane studente, subordinandolo al conseguimento del diploma di maturità. Non si sa se e quando lo studente conseguirà il diploma. E l’impegno scolastico non lascia ben sperare.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
L’argomento che ci propone l’amico Dante Freddi è stato trattato da lui stesso ormai in più di un articolo, e che cosa potrei dire io meglio di lui? Mi limito perciò a poche considerazioni specifiche per poi allargare lo sguardo all’oggetto della discussione, il sistema di trattamento dei rifiuti, che è il vero argomento che muove l’interesse di analisi culturale e politica e la preoccupazione dei cittadini responsabili.
In generale io ritengo positivo tutto ciò che consente a noi cittadini di sentirci ed effettivamente essere protagonisti sulla scena pubblica e di incidere sulle decisioni politiche e amministrative che ci riguardano. Chi ne organizza la partecipazione anche solo tematica ha dunque un merito che va riconosciuto, soprattutto se punta a condizionare l’esercizio del potere in vista di benefici per tutti.
Per questo però chi organizza qualcosa e poi di fatto decide per conto di coloro che vi aderiscono (iniziative, pareri, pressioni, manifestazioni) si assume precise responsabilità che ha il dovere di esercitare. Mi permetto di richiamarne due. La prima riguarda il dovere di informarsi per informare: non si possono interpretare le opinioni altrui come ci aggrada, perché altrimenti si dà la sgradevole impressione di qualche obiettivo recondito, che in questi casi deve essere escluso a-priori. La seconda riguarda il dovere di dire le cose come stanno e quindi la coerenza (parola desueta da troppo tempo) tra il dire e il fare.
Dunque, si può anche aiutare l’amministrazione pubblica ad andare nella direzione in cui ha già deciso di andare, ma guai a nascondere o anche solo ad evitare (in nome magari di un risultato da ottenere che si ritiene di ordine superiore) la verità. In questo caso si tratta della responsabilità di chi ci ha condotti allo stato in cui ci troviamo. L’alternativa tra da una parte ampliamento della discarica (nella variante più dura del terzo calanco o in quella più morbida dell’innalzamento del secondo) e dall’altra raccolta differenziata vera e lavorazione moderna della frazione secca, è arrivata al punto di drammatizzazione che viviamo per ragioni a tutti note (solo che lo si voglia sapere) e per precise responsabilità politiche e amministrative.
Denunciarle non vuol dire perdere tempo, deviare l’attenzione e tanto meno rovinare un’auspicata unità di intenti, ma semplicemente evitare sia di prenderci che di essere presi in giro sia di ripetere nel tempo gli stessi errori per la persistenza di un’impostazione culturale-politica sbagliata, quella che parte dalla convinzione che basta dare in pasto all’opinione pubblica quello che al momento desidera perché tutto poi diventi possibile. Questa cosa si chiama demagogia e la demagogia affossa sempre la democrazia, perché si fonda sul presupposto della manipolabilità dell’opinione pubblica.
Allora, quale è il punto della discussione sul sistema di trattamento dei rifiuti nell’area che ci interessa, il bacino della provincia di Terni? Tralasciando la fase in cui qui sono venuti i rifiuti di altre parti dell’Umbria e di altre Regioni, i ritardi della progettazione di sistema, il lungo periodo di mancata organizzazione della raccolta differenziata spinta in tutto il bacino, la mancata decisione di puntare sul riciclo verso i rifiuti zero, non solo hanno fatto della discarica di Orvieto il luogo di smaltimento di una massa enorme di rifiuti determinando la prospettiva ravvicinata del suo esaurimento, ma anche l’illusoria convinzione dei decisori politici regionali e locali che si potesse continuare così all’infinito, aspettando ognuno solo di poter passare il cerino acceso nelle mani di chi veniva dopo.
Germani e gli altri sindaci ad un certo punto si sono accorti che il cerino in mano ormai ce l’avevano loro, e così hanno deciso di puntare su una posizione, il no all’ampliamento, semplice e popolare, forse però non rendendosi ben conto che questo no per essere vero implica che si realizzino alcune condizioni che in parte piuttosto significativa sono dipese nel più o meno recente passato e dipendono nel presente proprio dalle loro amministrazioni. Quali sono? Sono quelle di fare in modo che si passasse per tempo, e comunque si passi oggi, alla raccolta differenziata spinta, e che si arrivasse per tempo, e comunque si arrivi oggi, al riciclo verso i rifiuti zero. Queste cose li riguardano direttamente.
Dunque va chiesto loro che cosa hanno fatto e che cosa fanno adesso, non domani o dopodomani, con i loro colleghi del bacino (i sindaci di Terni, Narni, ecc.) perché la raccolta differenziata vera finalmente si faccia per rendere credibile quel no gridato e invocato e che cosa fanno e nei confronti di chi (Regione? Sao-Acea? Altri?) per realizzare quegli impianti di trasformazione del rifiuto che salvaguardano l’ambiente, creano lavoro e rendono anch’essi non necessario, anzi inutile, l’ampliamento. Domande non per polemizzare o per rompere possibili unità di intenti (sulla cui autenticità e durata mi permetto comunque di dubitare dato che in questo momento essa esiste solo sul terreno del NO e del “nemico” da contrastare), quanto piuttosto per la chiarezza e l’efficacia della battaglia risolutiva, con cui cambiare anche gli indirizzi generali di governo (che peraltro mi pare sia negli intenti dichiarati di #saveorvieto).
Il comunicato della Giunta regionale dopo l’incontro con i sindaci non ha fatto altro che rendere chiaro ciò che era già chiaro a tutti. Di fatto ha detto: cari sindaci, se volete che a Le Crete non si arrivi all’ampliamento, dovete organizzare una vera raccolta differenziata e operare perché si arrivi rapidamente alla trasformazione sistematica del rifiuto. Un ovvio e chiaro passaggio di palla. La successiva conferenza stampa di Germani e degli altri sindaci (Cocco, Maravalle) ha interpretato la faccenda come un grande successo, come se la Regione fosse tornata sui suoi passi e avesse accettato la posizione espressa da loro nell’incontro di Perugia. Ma è evidente che questa è una forzatura e che le cose sono molto più complicate.
Mi permetto di far notare (sulla base di letture di giornali e di documenti ufficiali che, come ho detto in altra occasione, tutti, volendolo, possono consultare), a chiarimento della precedente affermazione, che ci sono altri due fatti che dovrebbero essere oggetto di attenta valutazione.
Il primo è costituito dalla semplice constatazione logica che i tempi per le decisioni sulla sopraelevazione o meno del secondo calanco risultano essere (consultare gli atti ufficiali della procedura autorizzativa) molto stretti: non so se mesi, certo non gli anni che si vuole. A quanto si capisce, tra poco Sao-Acea, se non sarà autorizzata ad ampliare il calanco attualmente in uso, dovrà per forza di cose iniziare le operazioni di colmatura e di chiusura (non so se si chiamano così, ma l’importante è farmi capire). E allora, visto che le altre operazioni che sterilizzerebbero la discarica non sono pronte né possono esserlo in tempi brevissimi, che cosa succederà? L’imbuto diventerà sempre più stretto, i tempi di decisione saranno incalzanti e le tensioni con essi, e le soluzioni saranno sempre più raffazzonate. È questo un bel governare? Basterà gridare “Regione matrigna”?
Il secondo fatto rende la questione ancor più ingarbugliata. Si tratta della notizia pubblicata dai giornali lo scorso 7 aprile: il Tar ha respinto il ricorso di Gesenu contro il provvedimento di interdittiva antimafia emesso lo scorso autunno dall’ex prefetto di Perugia Antonella De Miro. Perciò l’interdittiva resta, con tutte le conseguenze. Pare che l’autorizzazione provvisoria a scaricare i rifiuti non trattati da Gesenu nella discarica di Borgogiglione (Lago Trasimeno) gestita dalla società Tsa scada alla fine di maggio. Magari ci sarà una nuova autorizzazione provvisoria, e chissà poi un’altra ancora, ma non si potrà andare avanti più di tanto. Inoltre, ci sono indagini dell’antimafia anche da quelle parti. Che succederà? La questione ci riguarda? Nella mozione approvata l’altro giorno all’unanimità dal Consiglio comunale si dice che Orvieto vuole compartecipare alle decisioni del sistema regionale dei rifiuti. Che cosa vuol dire? È legittimo chiedere che si sia più chiari?
In questa complicata situazione la cosa che comunque mi pare evidente è che ormai ognuno anzitutto è preoccupato di giustificare se stesso, la Regione le proprie inadempienze e i sindaci le loro. Però, vogliamo dire che è proprio da questa condizione che bisogna uscire? E che bisogna capire se c’è e quale è la linea di governo, sì sui rifiuti, ma non solo sui rifiuti, cioè anche più in generale? Per esempio, quale è il ruolo dei territori nella politica regionale? Non è forse giunto il tempo di darsi una progettualità da far valere? Insomma, chi siamo noi e chi è l’Umbria e come stiamo noi dentro l’Umbria e in rapporto alle altre aree regionali e interregionali? Le classi dirigenti sono tali se ragionano su questi temi.
Il tema dei rifiuti si presta bene e in modo significativo a prospettare questo passaggio di cultura politica. Che però richiede un confronto serio sui problemi per come effettivamente sono, da affrontare con una visione più larga del “tiè e dà qua”. Che contributo darà l’incontro organizzato dal PD per il 14 aprile prossimo? Dubito che il tema centrale sarà quello che ho posto qui. Ma che lo si voglia o no quella è l’ottica con cui affrontare le questioni oggi. Anche perché un punto di possibile convergenza, non momentaneo ma di respiro progettuale, tra visioni diverse potrebbe essere davvero la carta vincente del nostro territorio. Purché in più di un soggetto ci si metta all’opera e purché non si assuma come base di confronto il solo criterio del NO a tutto. E mi auguro che gli amici di #saveorvieto non interpretino questo mio ragionare come dimostrazione che la parola che ho in testa è ampliamento o che quello che accadrà o non accadrà comunque l’avrò voluto io.
La proposta di Leoni a Barbabella
Il falso scandalo del cardinal Bertone
L’attico di Bertone non esiste. Non esistendo l’attico, non esiste nemmeno la terrazza di Bertone, che è comunale. L’appartamento al terzo piano di Bertone è come metri quadrati la metà di quanto scritto dai giornali e inculcato nella testa scema dell’opinione pubblica galvanizzata contro le superspese dei cardinali Faraoni. Ma l’appartamento di Bertone, quale che sia la quadratura attribuita, non esiste, non è di Bertone: è del Governatorato, cioè del Vaticano, è un appartamento di servizio come ce ne sono a decine, a centinaia nella vasta foresta romana del Real Estate vaticano. Bertone dunque non ha fatto alcuna speculazione immobiliare, non si è fatto ristrutturare il “suo” appartamento gigantesco con terrazza dalla Fondazione che governa l’Ospedale del Bambin Gesù. Siamo lontani dalle case al Colosseo acquistate ad insaputa dell’acquirente, lontani dai gentili contributi di ristrutturazione per alloggetti di proprietà di politici e altre persone pubbliche da parte dei famosi “criccaroli” (Anemone e compagnia). Lo scandalo non esiste né per dritto né per rovescio. Ora voi direte: ma come fai a dire queste cose? Io vi rispondo: le dico perché ho letto i giornali, in particolare l’Espresso e gli altri organi della gogna laicista e anticuriale. Le dico perché so leggere. Non sono scemo come l’opinione pubblica percepita. Mi domanderete: ma che cosa hai mai letto? Ho letto la lettera in cui, su carta intestata e con linguaggio più che ufficiale e repertoriato, il professor Profiti (manager finanziario vaticano) informa il cardinale che la Fondazione Bambin Gesù ha raccolto quasi il doppio dei fondi dell’anno prima dopo gli sforzi salesiani della combriccola che la custodisce e la protegge, e aggiunge che nella sua nuova residenza di ex, sua per modo di dire, terrazza o non terrazza, al terzo piano saliranno altri donatori che godono di questa occasione di esclusività e di intimità vaticana, e quindi cacceranno ancora più soldi per i bambini malati e per la ricerca. Dunque Bertone avrà la disponibilità, per lui e per le suore della sua piccola comunità, di un appartamento non suo, come cardinale emerito, in cui svolgere la funzione di fundraiser che ha già svolto con tanto successo, e le modalità sono queste e quelle, conclude il Profiti. Ho letto anche la risposta di Bertone: dice che va tutto bene, ma i soldi della ristrutturazione – l’uomo non è fesso – saranno messi a disposizione da terzi, non dalla Fondazione. Infine Bertone passa a pagare alla cassa trecentomila euro, certificati dal Governatorato, per ristrutturare, a favore anche delle attività del Bambin Gesù, una casa non sua, che non è un attico, e che appartiene al Vaticano e andrà a qualche altro cardinale, o se del caso a qualche barbone travestito da cardinale, quando la chiesa sarà finalmente povera e per i poveri, e Bertone si sarà trasferito in un monastero a Vercelli o sarà, in un lasso di tempo il più lungo possibile, trasferito nella vita eterna. Poi c’è qualche pasticcio contabile legato al fallimento della ditta che ristruttura, cose che capitano spesso negli affari edilizi, e un colossale investimento in pettegolezzo, rancore, odio e spregevole calunnia il cui risultato è servito caldo caldo alla mensa dei media di combattimento. (Giuliano Ferrara – http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/04/03/il-falso-scandalo-del-cardinal-bertone-letto-attraverso-i-giornali-che-lo-alimentano___1-v-140205-rubriche_c349.ht)
L’opinione di Barbabella
Anche in questo caso che dire?, un pezzo di gran giornalismo e di ottimo contributo alla moralità pubblica. La quale non è certo assicurata da chi fa “un colossale investimento in pettegolezzo, rancore, odio e spregevole calunnia il cui risultato è servito caldo caldo alla mensa dei media di combattimento”, quanto piuttosto da chi pazientemente e con intelligenza cerca sempre e comunque la verità. Né è assicurata da chi vorrebbe affermarla a suon di moralismo politico solleticando tutti i peggiori istinti di un’opinione pubblica disorientata che si ritiene abbia sempre bisogno di prendersela con qualcuno.
Come diceva Filippo Turati, “la ferocia dei moralisti è superata solo dalla loro stupidità”. Ma non c’è verso, puoi fare sforzi sovrumani per far capire che esistono sia una razionalità umana che supera l’umana istintualità sia quell’invenzione straordinaria del processo evolutivo che è la conquista del senso morale e insieme del senso di giustizia: non riuscirai a mettere a tacere e a rendere innocui i disonesti, gli invidiosi e gli stupidi. Che di moralismo spesso si ammantano. Ci possono essere però, come in effetti ci sono, atteggiamenti e iniziative che su tutti i piani ne limitino gli effetti negativi e spesso perversi, ma non è questo il luogo di una simile trattazione.
Detto ciò, non si può evidentemente negare che un’esigenza di moralità pubblica esista, perché esiste eccome! Né ci possiamo consolare con il fatto che il recentissimo scandalo internazionale battezzato dai giornali “Panama papers” indichi un sistema corruttivo e di evasione dei ceti ricchi e degli ambienti di potere ramificato in tutto il mondo. Dobbiamo solo metterci in testa che le questioni che ci riguardano come italiani di certo non ce li risolverà nessuno. Soprattutto quelle che sfidano le nostre peggiori abitudini di popolo avvezzo a scaricare quasi sempre sugli altri le proprie responsabilità, a ritenere che il pubblico è solo una vacca da mungere (oggi mi pare di meno, ma la storia non è finita) e comunque o uno strumento o un impedimento a fare il proprio comodo, e a giudicare un’inutile fatica da sciocchi assumersi le proprie responsabilità.
Se dunque si dimostra che il cardinale Bertone è pulito, noi di ciò siamo felici, e rendiamo merito a Giuliano Ferrara di rendercene edotti. Quando poi si riesce a dimostrare che il cieco moralismo fa solo danni, siamo parimenti felici, come lo siamo quando qualche maldicente, qualche disonesto o qualche approfittatore della dabbenaggine altrui viene finalmente smascherato. Resta l’impressione che si tratta di opera meritoria sì, ma difficile, dura e lunga.