La proposta di Dante Freddi
A proposito dei lavori di sistemazione del Paglia. Un giudizio sul giudizio dell’Associazione “Val di Paglia”
Il buonsenso e la visione dei cittadini possono influenzare scelte tecniche, spesso così specialistiche da condizionare anche la politica, e non necessariamente dotate di visione urbanistica? Come può questo intervento della Val di Paglia aiutare e condizionare le scelte? lo può?
(http://orvietosi.it/2016/04/la-riva-destra-a-valle-del-ponte-delladunata-come-e-come-potrebbe-diventare/)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
La progettazione di opere di ingegneria è condizionata da calcoli matematici e statistici e dai costi monetari e sociali delle opere. Ne consegue che le alternative sono limitate e sono relativamente pochi i soggetti che hanno titolo a dire la loro. Quando si tratta invece di progettare opere nelle quali l’estetica e le aspirazioni dei cittadini a impiegare piacevolmente il tempo libero hanno un peso preponderante, le cose si complicano. Allora, poiché le libertà democratiche di cui fortunatamente godiamo non bastano a trasformarci in esteti e in sociologi, è opportuno che qualcuno si adoperi per sensibilizzare e orientare l’opione pubblica. E l’associazione Val di Paglia mi sembra che abbia imboccato la strada giusta non limitandosi a informare il pubblico, ma portando esempi concreti. Se non sarà il parco fluviale di Palazzolo sull’Oglio a far innamorare gli Orvietani, sarà qualche altra ipotesi. Mi auguro che l’Associazione Val di Paglia inviti i cittadini che amano girare il mondo e scattare fotografie a mostrare le soluzioni che più li hanno affascinati.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Il principio secondo cui il popolo ha sempre ragione è evidentemente fragile, anzi infondato, ma non lo è quello secondo cui in democrazia il popolo deve essere messo in grado di partecipare alle decisioni, non solo dicendo la sua, ma avendo la possibilità di modificare le decisioni di chi al momento esercita il potere di decidere.
Solo che non tutte le situazioni sono identiche, nel senso che ci sono questioni che per la loro natura richiedono sia una conoscenza dei diversi aspetti che entrano in gioco, sia una competenza specialistica, sia una consapevolezza del contesto e una visione strategica. Per cui non basta dire partecipazione per dire legittimità e democrazia.
Resta comunque il fatto che nessuno può e nessuno deve pensare di poter mettere il bavaglio a nessuno. E nei fatti, non solo nessuno poi lo mette, ma ciascuno può dire la sua anche assumendo posizioni del tutto soggettive, parziali e talvolta del tutto infondate o demagogiche. È il caso ad esempio della questione rifiuti e discarica orvietana o della geotermia di Castel Giorgio. E qui ciò che dovrebbe stupire, ma in realtà non stupisce, non è il pullulare di opinioni, ma l’atteggiamento dei sindaci, che sembrano volere ignorare i più elementari dettami della logica, tradendo nei fatti il loro dovere di studiare le soluzioni migliori e di indirizzare il dibattito verso soluzioni che nell’oggi preparano le prospettive del domani senza cedere un millimetro alla tentazione della popolarità facilotta.
Del tutto diversa la questione dei lavori sul Paglia. Qui entrano certamente in gioco competenze specialistiche e questioni di visione, ma non tali da impedire ai singoli e alle organizzazioni dei cittadini di assumere posizioni fondate e di cercare di farle valere. Per di più quando si sia in grado, come l’Associazione Val di Paglia, di studiare il problema, seguirlo lungo tutto il percorso, elaborare proposte generali e di dettaglio e trasformarle in proposte corrette e disinteressate da presentare nei tempi giusti ai decisori istituzionali.
In casi come questi la distanza tra ciò che è non solo corretto e bello ma anche capace di recitare progettazione di un futuro migliore, e ciò che invece appartiene all’ovvio della stracchina istituzionale, è talmente evidente da risultare disarmante. Possiamo solo augurarci che non siamo ormai ad una fase di soluzioni irreversibili e che la bellezza venga ancora ritenuta compatibile con la funzionalità e un obiettivo dello sviluppo che merita attenzione e impegno.
La proposta di Leoni a Barbabella
E riecco la tentazione del “totalitarismo giudiziario”
“Dice Violante c’è da fare tutta una riflessione “sullo spirito che pervade alcuni settori della magistratura che costruiscono inchieste giudiziarie indipendentemente da una specifica notizia di reato perché ritengono di avere un ruolo salvifico contro la politica, per cui tutto ciò che ha effetti scandalistici o spettacolari contro la politica, è un bene di per sé. Eppure la Repubblica concede alle magistrature poteri enormi sui beni e sulle libertà dei cittadini, solo sulla base di condizioni chiare ed entro limiti precisi, altrimenti si sconfina nel totalitarismo giudiziario, quella che alcuni studiosi americani chiamano Giuristocrazia (Juristocracy)”. [IL FOGLIO del 5 settembre 2015]
Dopo l’elezione di Pier Camillo Davigo alla direzione dell’ANM la tentazione del “totalitarismo giudiziario” sembra di nuovo tornata d’attualità stretta. Si tratta del cosiddetto “Progetto Mani pulite” dell’inizio anni ’90, quando il Pool di Milano con a capo Saverio Borrelli sembrò essere intenzionato a far riferimento ad Achille Occhetto per disintegrare e riorganizzare il sistema politico intorno ai giudici, autoproclamatisi portatori dell’unica verità e dell’unica moralità. Oggi pare che il progetto venga rispolverato intorno all’M5s e al giornale di Travaglio. Il punto problematico è il fatto che il marcio non giustifica l’autoproclamazione del missionario santificatore. Certo, intorno a Davigo c’è un certo consenso, anche per la pochezza di gran parte della classe dirigente, ma questo non può in alcun modo giustificare la deriva giustizialista alla quale stiamo assistendo, di cui qualche segnale preoccupante c’è anche dalle nostre parti.
Per fortuna anche tra i giudici c’è chi mantiene salda una incoraggiante capacità di ragionamento, come dimostra ad esempio l’articolo di un magistrato di grande rigore intellettuale e morale come Carlo Nordio pubblicato lo scorso 21 aprile su Il Messaggero con il titolo Politica e toghe/ Il fuoco amico che ostacola l’avanzata garantista. Mi sembra utile riprodurlo per coloro che non avessero avuto modo di leggerlo. Eccolo.
“Rincuorato dall’esito del referendum, e stimolato dalla balbettante reazione degli sconfitti, il presidente Renzi ha affondato la lama nella piaga dei processi penali, e ha detto quello che nessun leader di sinistra aveva mai osato dire: che negli ultimi venticinque anni il Paese ha assistito a momenti di “barbarie giustizialista”.
Ha citato, opportunamente, l’uso strumentale delle intercettazioni e dell’informazione di garanzia. Avrebbe potuto continuare a lungo. Magari concludendo che, in un Paese normale, non è affatto normale che i magistrati che hanno indagato i politici si presentino alle elezioni per prendere il loro posto. Ma dopo l’infelicissima uscita del governatore della Puglia – ex pubblico ministero – che ha sostenuto di aver vinto dopo aver sonoramente perso, forse non ha voluto infierire. Ma è possibile che si riservi l’argomento per una prossima occasione.
Chi, come noi, auspica da sempre una coraggiosa reazione del potere politico davanti alle storture di un sistema giudiziario invadente e anomalo, non può che rallegrarsi davanti a una presa di posizione così netta. Con l’auspicio, va da sé, che alle parole seguano i fatti, e che il premier non si intimidisca davanti alle prevedibili reazioni delle anime belle del giacobinismo forcaiolo, come già avvenne anni fa ad alcuni suoi predecessori. Ricordiamo che persino il roccioso presidente D’Alema rinunciò alla sua riforma bicamerale su pressione dell’associazione magistrati.
Ma i tempi mutano, e così le persone. Forse questa è la volta buona. Potrebbe esser la volta buona perché la sortita del primo ministro ha trovato consensi diffusi, anche in ambienti sino a ieri impermeabili all’analisi razionale delle distorsioni dei rapporti tra giustizia e politica. Persino un’esponente grillina ha ammesso che un’informazione di garanzia non è un buon motivo per l’ineleggibilità a una carica o per l’esclusione da essa. E una cosa ovvia. Ma non lo era fino a ieri. Quindi, come dice il poeta, forse la ragione riprende a parlare, e la speranza a rifiorire.
C’è tuttavia un paradosso in queste novità. Il paradosso risiede nell’ atteggiamento di un centrodestra che, dopo aver predicato per anni un garantismo talvolta esasperato retrocede ora in un prudente attendismo che sconfina nell’ambiguità. Invece di applaudire il premier, incoraggiandolo con una convergenza di intenti, sembra oscillare tra esitazioni e silenzi, rischiando di legittimare il sospetto, che vogliamo ripudiare con orrore, che le precedenti battaglie fossero ispirate più che dalla nobiltà dei principi, da interessi personali.
E’ vero, e possiamo concederlo, che la politica – come il cuore – ha delle ragioni che la ragione non conosce e che le ragioni dell’avversario possano essere avversate per opportunismo tattico, a prescindere dalla loro validità. Questo, del resto, lo abbiamo visto in occasione del referendum dove il centro destra ha incoraggiato il voto principalmente in odio ai governo, senza peraltro considerare che l’eventuale successo degli abrogazionisti sarebbe stato monopolizzato dai grillini e dall’estrema sinistra. Più o meno come quarant’anni fa avvenne con il referendum sul divorzio dove la vittoria di una legge firmata da un socialista e da un liberale spianò la strada al successo comunista e al successivo compromesso storico. Tuttavia vi sono argomenti sui quali vorremmo che il calcolo politico cedesse davanti all’importanza del principio. E la giustizia è uno di questi. La libertà personale vulnerata dall’eccesso di custodia cautelare; la dignità calpestata dalle intercettazioni generalizzate e diffuse; il pretesto dell’informazione di garanzia come strumento di estromissione degli avversari politici; l’andirivieni di magistrati dai tribunali al parlamento, e viceversa; ecco, questi, e tanti altri argomenti analoghi, sono cosi essenziali alla dignità dello stato che non possono essere asserviti e piegati alle convenienze elettorali. Perché, come ricordò in una solenne occasione Benedetto Croce, accanto a persone per le quali Parigi val bene una messa ve ne sono altre per le quali una messa conta molto più di Parigi: perché, ammonì il filosofo, è questione di coscienza.” (Carlo Nordio, Il Messaggero, 21 aprile 2016)