La proposta di Dante Freddi
Lasciano il posto fisso per dedicarsi allo zafferano di Monferrato, antica coltura piemontese
“Lui architetto, lei dirigente di banca. Hanno deciso di lasciare tutto e hanno preso in gestione un terreno da coltivare a zafferano. “Essere agricoltori non significa fare un lavoro svilente: siamo istruiti, imprenditori, siamo al passo con la società”. Micaela Soldano, 35 anni, astigiana, ha lasciato il suo posto di lavoro a tempo indeterminato come dirigente di banca. Suo marito, Paolo Corda, 31 anni, laureato a pieni voti in Architettura al Politecnico, ha messo da parte la sua carriera avviata da architetto. Da quasi 7 anni i due coniugi gestiscono un’azienda che produce, coltiva e vende lo zafferano. Ed oggi, alla fine, fanno quello che sognavano da tempo: “Abbiamo fatto un passo nel vuoto, ma avevamo ragione”. Micaela e Paolo hanno scelto di coltivare lo zafferano del Monferrato, un prodotto tipico piemontese, un’antica coltura, con lo scopo di riconquistare il mercato. Oggi Micaela e Paolo hanno un tenore di vita diverso dal passato ma non meno dignitoso. Grazie allo zafferano Micaela conferma che si riesce ad arrivare più che dignitosamente alla fine del mese. “La stabilizzazione devo dire che è arrivata abbastanza in fretta, già dal secondo anno l’attività ha portato i suoi frutti, in tutti i sensi”, aggiunge. Campi da arare certo non mancano e l’agricoltura potrebbe essere una buona occasione per tanti disoccupati. Un consiglio ai giovani? “Tornare alla terra. Molti anziani non ce la fanno da soli. Qui c’è lavoro per tutti”.
(Da Il Fatto Quotidiano del 1° aprile 2016)
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Non è la prima volta che si leggono storie come questa, storie che evidentemente in certi ambienti piacciono molto. A me ogni volta viene spontanea una reazione doppia, una di apprezzamento e l’altra di fastidio.
Apprezzo il coraggio di chi ha studiato con serietà e passione, ha scelto la professione, ha affrontato con successo la trafila spesso molto difficile dell’inserimento nel mondo del lavoro (domande, selezioni, concorsi, gomitate, attese lunghe, illusioni e disillusioni e altro e altro), e poi, una volta raggiunta stabilità e sicurezza ma non volendo adattarsi al tran tran o ai compromessi, sfida il conformismo, rompe gli indugi e cambia vita.
Però, come ho detto, nel contempo non posso evitare una certa sensazione di fastidio per questa spocchia piccolo borghese di professionisti affermati, coccolati nei salotti chic del giornalismo salottiero, che sbattono in faccia all’esercito dei senza lavoro, ed ai milioni di giovani che non riescono nemmeno ad immaginare un futuro, la loro felice esperienza di passare da una vita di successo ad un’altra vita di successo. E addirittura si permettono il solito predicozzo ai giovani: “Venite ragazzi, venite, la terra vi aspetta, qui troverete la felicità! Gli anziani non ce la fanno più, venite, qui c’è lavoro per tutti!”. Per favore, arrestateli, sono più pericolosi delle droghe sintetiche.
Ben altra cosa se avessero detto: “Guardate, niente è facile, tanto meno in agricoltura, ma se avete soldi o avete chi vi fa un prestito, e se mettete insieme le forze, con un po’ di fortuna e molta dedizione potete anche farcela”. Ben altra cosa ancora se avessero invitato quelli, molto numerosi, che un mio amico chiama “i disertori della vanga” finalmente a ravvedersi, tornando al settore da cui non sarebbero mai dovuti uscire senza permesso scritto o tornandoci senza i privilegi dei neoricchi che pensano di nobilitarsi comprando vigneti e facendo i vignaioli della domenica. Comunque evviva, in certi ambienti quali altri modelli si potrebbero proporre?
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Pare che non sia un pesce d’aprile. Mio nonno elettricista e agricoltore incoraggiava i nipoti a studiare perché “la penna pesa molto meno della zappa”. E, per la deprecata ipotesi del fallimento negli studi, teneva di riserva l’artigianato. Quindi sono stato sempre propenso alla solidarietà verso chi è costretto a sobbarcarsi pesanti lavori materiali per non aver avuto l’opportunità o la forza mentale per studiare. Ma sono stato sempre poco indulgente verso chi si era dimostrato svogliato negli studi. Però devo prendere atto che le condizioni della vita economica e sociale sono cambiate e, se da una lato i titoli di studio sono inflazionati e non garantiscono l’accesso a professioni intellettuali, l’agricoltura non richiede più un grande impiego della forza muscolare. Si tratta di una grande conquista perché il corpo umano, nel breve periodo di 10.000 anni dall’inizio dell’agricoltura, non ha fatto in tempo ad adattarsi allo sforzo fisico pesante e quotidiano. Ben vengano quindi i giovani agricoltori portatori di una cultura raffinata e produttori di beni pregiati da far pagare cari ai lavoratori della penna.
La proposta di Barbabella a Leoni
Lettera al Direttore de Il Foglio. Per combattere il fondamentalismo meglio la minigonna?
“Al direttore – Mi fanno orrore burqa e burkini e chador e hijab. Mi fanno però orrore anche certi vestiti di certi celebrati stilisti. Mi chiedo se l’impadronirsi di veli vari da parte degli stilisti occidentali non possa accelerare la scomparsa dei veli stessi. Cioè: se il velo diventasse di moda, e se le nostre ragazze lo portassero in modo da svelare più che nascondere, in tanti bei colori e ricami e brillantini, non potrebbe essere un bel colpo ai lugubri paramenti neri che imprigionano le donne musulmane? L’occidente è aperto e curioso e onnivoro: se si mangiasse e digerisse anche certa moda islamica?”
(Fabrizia Lucato, Il Foglio, 2 aprile 2016)
Una simpatica prospettiva: dichiarare guerra alla moda islamica sfidandola sul suo stesso terreno; provocare le islamiche dissacrando il velo con le semitrasparenze rese celebri dalla danza erotica, magari senza esagerare come Salomè coi sette veli. Ma osta il fatto che quella islamica non è una moda, ma una prescrizione rituale che fa parte di quei sistemi di regole con le quali le culture cercano di non dissolversi e di non essere dissolte. Confido molto di più nel fascino dei jeans, una invenzione geniale che ha invaso il mondo, quasi come la Coca Cola. Le islamiche non possono resistere a lungo alla tentazione di competere con le occidentali nello sculettamento reso irresistibile dai jeans elasticizzati.