di Davide Orsini
Il dibattito svoltosi il 4 aprile in consiglio comunale, ha riportato Luca Coscioni ad Orvieto. In realtà Luca ad Orvieto c’è sempre stato, come testimoniano le parole di tutti i consiglieri comunali che lo hanno ricordato, a dieci anni ormai dalla sua morte. A riemergere non è stato Luca in quanto orvietano, ma piuttosto il significato della sua esistenza politica.
La lista civica “Per andare avanti” ha presentato due mozioni tra loro collegate: una riguardante la proposta di instituire un registro comunale sul testamento biologico e l’altra per l’intitolazione di una sala della biblioteca comunale alla memoria di Luca Coscioni. Sono passate entrambe, votata a maggioranza la prima ed all’unanimità la seconda. Io credo che Luca avrebbe considerato la mozione sul testamento biologico piú importante del riconoscimento personale. In fondo, qual è il miglior modo di “ricordare” Luca se non l’azione concreta di veder realizzare i suoi ideali di libertà (di coscienza, di ricerca, di cura)?
Eppure durante la seduta del consiglio comunale sono riemersi equivoci e distinguo che forse sono stati all’origine della lunga “dimenticanza” di Orvieto nei confronti del leader politico Luca Coscioni. Due atteggiamenti, direi opposti, sono emersi quando i consiglieri si sono cimentati nel ricordo di Luca. Da una parte, alcuni, in quanto amici orvietani, hanno celebrato il “ragazzo” brillante che tutti conoscevano prima della malattia: l’atleta, lo studente brillante, il professore, il consigliere comunale serio, coriaceo, preparato. Dall’altra, i promotori della mozione intendevano ribadire l’importanza dell’esistenza di Luca come attivista e leader politico che ha fatto del suo corpo malato uno strumento di lotta per la libertà.
Ridurre l’esistenza, e quindi il ricordo di Luca alla celebrazione del ragazzo orvietano brillante colpito dalla malattia significa non capire chi era e cosa rappresenta Coscioni. Dividere la sua vita e distinguerne un “prima della malattia” ed un “dopo la malattia” significa non comprendere che la battaglia di Luca era proprio rivolta ad affermare la lucida intenzione di un uomo capace di vedere oltre l’orizzonte, attraverso i limiti fisici impostigli dalla malattia. La ricerca di Luca è cominciata realmente quando ha sperimentato sulla sua pelle lo sdoppiamento delle coscienze orvietane, e piú tardi di quelle degli italiani. Da una parte, anche nei cuori di alcuni suoi amici d’infanzia, esisteva il caso umano, la tensione emotiva di chi vede un vincente perdere drammaticamente tutto quello che aveva. Per sua stessa ammissione, lui si era sentito cosí: sconfitto.
E tuttavia, quello che è riuscito a raggiungere Coscioni, inizialmente con l’appoggio di pochi cari, è immaginabile soltanto se dietro alla sua figura di malato sulla sedia a rotelle, privo di parole parlate, riusciamo a vedere Luca. Il limite invalicabile di quel corpo malato poteva essere usato come porta d’accesso verso la libertà, per dare la possibilità di dire “eccomi, ci sono, sono vivo” a molti altri malati, ridotti a corpi muti e casi pietosi celebrati ed accuditi dentro le prigioni domestiche italiane. Se si esiste si ha diritto di vivere, a di sperare di poter sopravvivere alla malattia e soprattutto all’indifferenza politica. Luca lo sapeva bene. Prima della malattia lo avrebbe ammazzato quella indifferenza pietista che si annida dentro ognuno di noi. Per cui, anima e coraggio, ha preso in mano il suo destino ed ha deciso di non darla vinta all’indifferenza.
Ecco, allora, pongo la domanda: Luca Coscioni era uno o trino? Possiamo distinguere Luca lo studente, l’atleta, il professore brillante e dinamico, l’orvietano, da Luca leader radicale, malato. Direi di no. La tentazione di farlo, forse per sentirci meglio, come quando si fa un fioretto, è molto forte. Coscioni pone ancora oggi lo stesso dilemma a milioni di coscienze. Lo si è visto dalle parole sincere e piene di dubbi di Roberta Tardani durante il suo intervento.
Per questo penso che Luca non debba rimanere una lettera morta affissa sulla porta di una sala della biblioteca. Come hanno detto in molti ieri, il miglior modo per far ritornare Luca ad Orvieto è quello di far vivere il suo lascito politico, il suo esempio umano di libertà, con azioni concrete che aprano dibattiti e coscienze, piuttosto che celebrare il suo ricordo con l’amichevole, ma asfissiante, riappropriazione della sua orvietanità.