La proposta di Dante Freddi
Le delegazioni provinciali di Pd, Sel e Psi depositano una mozione sulla discarica
«La riunione si è svolta ieri sera con i rappresentanti delle federazioni provinciali di SEL, PSI e PD, quest’ultimo organismo presente anche nella sua rappresentanza comunale e regionale con la partecipazione della Responsabile Ambiente Pd regionale, Daniela Pimponi. I partiti di coalizione che sostanziano la maggioranza consigliare ritengono circa la questione dei rifiuti, assolutamente irrinunciabile un orientamento di totale collaborazione tra la Regione, le Istituzioni locali, la comunità cittadina e di tutto il territorio di Orvieto affinché quest’ultimo acquisisca un ruolo di centralità all’interno della programmazione regionale della gestione dei rifiuti come mai sino ad ora ha avuto.
Le priorità d’azione non possono prescindere da una tutela della salute pubblica e dal rispetto delle stringenti normative in materia e debbono indirizzarsi a sostanziare un’azione politica per lo svolgimento da parte di Orvieto e dell’orvietano di una posizione chiave all’interno del piano dei rifiuti regionale.
Di seguito si ritrascrivono le conclusioni della surrichiamata mozione:
“ Tutto ciò detto il Consiglio Comunale di Orvieto impegna il Sindaco e la Giunta:
1) Ad attivarsi per istituire, ai sensi dell’art. 21 del Regolamento Comunale, una commissione speciale di studio sulla materia ambiente e rifiuti funzionale ad un’analisi approfondita del tema e dei suoi sviluppi.
Impegna altresì Il Sindaco e la Giunta a promuovere e farsi portavoce in tutte le sedi istituzionali e politiche dei punti di seguito elencati al fine di tutelare i cittadini e l’intero territorio orvietano:
1) Incrementare i livelli di recupero di materia attraverso i servizi di raccolta differenziata con l’obiettivo di migliorare in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi i materiali raccolti;
2) Promuovere, all’interno dell’AURI, un progetto di gestione dei rifiuti che preveda un sistema dello smaltimento in discarica concepito esclusivamente come momento residuale;
3) Chiedere alla Regione dell’Umbria di fornire in modo formale tutte le garanzie che il sito di Orvieto non venga trattato come lo strumento di risoluzione di problemi che altrove non si possono o non si vogliono risolvere; che esso sia al contrario valorizzato come impianto tecnologicamente e strutturalmente avanzato di smaltimento e di lavorazione dei rifiuti d’ambito nel quadro di una politica dei rifiuti che tenda al limite dei rifiuti zero e garantisca sia la lavorazione della frazione umida che della frazione secca (che oggi va in discarica);
4) Riconoscere, come irrinunciabile, una sana collaborazione tra la Regione Umbria e la comunità locale, la centralità di Orvieto e dell’Orvietano nella programmazione regionale dei rifiuti;
5) Promuovere investimenti in impiantistica innovativa e sistemi tecnologicamente avanzati, con l’implementazione di strutture innovative, specifici ed adeguati alla lavorazione e al recupero della frazione secca, utili sia sul piano economico e occupazionale che su quello ambientale”.
I partiti della coalizione, così come rappresentati nel consesso svoltosi in data di ieri, dichiarano la loro piena soddisfazione per aver intrapreso una linea politica di responsabilità nei confronti dei cittadini di un territorio che, ora al riparo da indotte strumentalizzazioni dirette ad attuare una evidente mistificazione della realtà, meritano risposte chiare, univoche e dirette ad una tutela dei loro diritti fondamentali.»
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Mi metto nei loro panni e non voglio tranciare giudizi sulla mozione delle delegazioni provinciali di PD-PSI-SEL. Quel che mi sento dire è che l’obiettivo di mettere Orvieto al centro di una politica regionale di investimenti in tecniche d’avanguardia per utilizzare una quota crescente della frazione secca dei rifiuti che attualmente finisce in discarica, non fa una grinza teoricamente, ma cozza contro una serie di ostacoli. Primo, la Regione non ha la forza di far rispettare la riduzione progressiva e obbligatoria dei rifiuti indifferenziati. Secondo, con una Regione dominata dalle città di Perugia e di Terni, gli investimenti in alta tecnologia non li lasciano pappare certo alla cittadina di Orvieto. Terzo, il sotterramento dei rifiuti è una attività facile, redditizia e senza alcun rischio di fallimento. Perciò mi sembra che la via d’uscita sia uno scontro frontale tra Orvieto (dico “Orvieto” e non l’ “Orvietano”, che esiste solo nelle chiacchiere) e la Regione Umbria. Scontro a suon di avvocati, sciopero del voto, iniziative di secessione verso il Lazio o verso la Toscana. Sia l’una che l’altra non possono fare più danni dell’Umbria.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Diciamolo, l’italiano lascia un po’ a desiderare, ma è anche vero che la pugna è tosta e non si può andare troppo per il sottile. A scanso di equivoci (sia chiaro, non di forma, ma di sostanza), mi pare che tutto il discorso, compreso il dispositivo della mozione, si potrebbe ridurre a poche affermazioni essenziali. Tralascio l’istituzione di una commissione di studio in base all’articolo 21 del Regolamento del Consiglio comunale perché ai fini dell’esito della partita che si sta giocando mi sembra cosa abbastanza marginale (a dire il vero anche strana perché, se è il Consiglio che la istituisce ai sensi dell’art. 21, che c’entra dire “impegna il Sindaco e la Giunta”?). Ecco dunque le affermazioni di sintesi:
- è ora di superare i ritardi, le incertezze e i rinvii, che ci hanno portato sull’orlo dell’ingestibilità dell’intero sistema;
- no al terzo calanco, ma l’ampiamento in sopraelevazione del secondo se è necessario si faccia;
- purché finalmente si facciano gli impianti di lavorazione della frazione secca, in condizioni di sicurezza e con i sistemi tecnologici più moderni;
- purché inoltre tali impianti si facciano qui, traendone tutti i benefici economici, occupazionali e ambientali;
- chiudendo così la fase dell’immissione indiscriminata in discarica e aprendo rapidamente quella dello smaltimento in essa solo in termini residuali.
Insomma, Orvieto non deve più stare a guardare e subire, tanto meno deve farsi male da sola. Con la Regione non si fanno guerre di facciata, si discute e si trovano soluzioni, cioè si governa, non si piange. Se così il tutto può essere interpretato, è doveroso riconoscere che si tratta di un risultato, dopo tanto dibattere sostanzialmente a vuoto, molta demagogia e poco costrutto.
C’è da chiedersi perché si è stentato così a lungo ad avere una posizione politica chiara e la risposta non è affatto agevole. Certo, sono evidenti sia i contrasti interni al PD sia la difficoltà dei gruppi di maggioranza di trovare rapidamente una sintesi, difficoltà che, oltre a rendere agevole l’iniziativa di contrasto dei gruppi di minoranza, produce situazioni a dir poco imbarazzanti, come l’approvazione di posizioni drastiche del tipo “no a qualsiasi ampiamento” ben sapendo che una simile posizione non si può reggere se non si fa una raccolta differenziata spinta e una lavorazione moderna della frazione secca.
Risultato: scontro apparente con la regione e poi inevitabile ritorno indietro su posizioni più ragionevoli. Quelle stesse che si sarebbero potute e dovute adottare già da tempo, solo che si fosse voluto e saputo elaborare quel progetto generale di sistema moderno di smaltimento e riuso dei rifiuti che oggi viene avanti, e solo che si fosse voluto evitare di dare fiato ad un ambientalismo del no senza visione e senza prospettiva.
Ho visto il video pasquale del sindaco Germani, che ha toccato anche questo tema delicato. Mi è sembrato in difficoltà nel far capire la sua posizione, come se non condividesse quella dei partiti della coalizione di maggioranza e la relativa mozione dei gruppi o come se fosse incerto sull’esito della vicenda, ma non si capisce bene in base a che cosa. Di fatto, ha solo esaltato il coordinamento con gli altri sindaci e rinviato tutto all’incontro del prossimo martedi con la presidente Marini. A meno che non mi sia sfuggito, mi pare che non abbia fatto minimamente cenno al comunicato dei partiti e alla mozione.
In tutto questo c’è qualcosa che non mi quaglia. Ho l’impressione che si stia giocando una partita che non riguarda solo la gestione dei rifiuti. Se non si riuscirà ad essere uniti intorno alla strategia che finalmente ha incominciato a prendere forma ci saranno tempi più difficili di quelli che già viviamo.
La proposta di Leoni a Barbabella
Alcuni alleati ci stanno tradendo
“Ci troviamo di fronte a un gruppo che a 48 ore dalla cattura della sua primula rossa, è stata in grado di attaccare su due fronti negli stessi chilometri quadrati che a parole erano stati messi in sicurezza.
È stata in grado cioè di mettere in campo subito un gruppo di combattenti, appoggi logistici, armi ed esplosivo per i nuovi attentati ed è stata in grado di piazzarli senza che venissero scoperti, nel pieno cuore di una città militarizzata.
Tutto questo punta all’esistenza di una regia, di una forte tattica, di una enorme preparazione, e, non ultima, di una grande agibilità sul territorio. Altro che giovani musulmani disaffezionati dalla vita di periferia, branco di giovani lupi allo sbando, gruppetti di Amici.
Da tutto quello che si è visto a Bruxelles possiamo dire che in Europa opera un vero e proprio nuovo fronte militare.
Chi finanzia questo fronte? Operazioni quali quelle che abbiamo descritto, e che non sono appunto raccolte occasionali di estremisti, richiedono un finanziamento sostenuto nel tempo e nel volume. O vogliamo davvero immaginare che questi terroristi di ritorno si mantengano con lavoretti o ospitalità di famiglie o la carità della beneficenza delle locali moschee? Macchine, armi, spazi in affitto, viaggi.
Qualcuno paga. Così come qualcuno paga l’enorme rete dell’Isis nei territori che occupa: oppure davvero vogliamo credere che la gestione di parte di Iraq e Siria, l’organizzazione di spedizioni in Libia e di attentati in Europa, siano finanziati solo dal traffico illegale di petrolio, antichità e prostituzione? Qualcuno paga e sono finanziamenti che solo entità statali possono fornire.
È ora che si indichi anche il vero nemico politico che c’è dietro il terrorismo. Cioè che si facciano i nomi degli Stati che finanziano questo progetto per i loro fini di dominio. Sappiamo chi sono.
Sono nostri alleati, ufficialmente. Ma questa ambiguità diplomatica va rotta. Il costo è alto, e non solo in termini di affari. Il rischio di rotture internazionali interstatali acuisce il pericolo di una precipitazione globale ma se non si chiariscono gli schieramenti di questa guerra, non riusciremo certo a costruire strategie di difesa.
Certo, nulla di tutto questo è facile. È arrivato il momento di un cambio di passo. Il prezzo è molto alto. Ma la politica dello struzzo non allontanerà il pericolo.”
[Lucia Annunziata su www.huffington.post]
L’unico beneficio che da sempre può derivare da situazioni drammatiche è che si è costretti a uscire dalle ambiguità e a scegliere. Vale anche in politica, sia sul piano interno che estero. Chi non lo fa, prima o poi perde, e se è un governo porta alla rovina sia se stesso che la comunità. Sceglieranno dunque i paesi europei, come vorrebbe Lucia Annunziata, di rompere il velo delle connivenze di diversi stati mediorientali con il terrorismo islamico, con tutte le conseguenze del caso, peraltro in buona parte imprevedibili? Personalmente ne dubito, e comunque non credo lo faranno nel brevissimo periodo. Non sono nemmeno convinto che questa sia la questione risolta la quale ci possiamo mettere tranquilli, anzi, per più di un motivo mi pare questo un modo anche poco elegante di giustificare la fuga dalle responsabilità dirette che ogni stato europeo ha di fronte al terrorismo, che non è fenomeno né di sola importazione né solo di pazzi criminali assetati di sangue, tanto meno di lupi solitari.
Ci sono dunque analisi serie da fare, scelte da compiere e provvedimenti seri da prendere, con riferimento a questioni interne ai singoli stati europei e all’Europa come entità politica. L’Europa deve decidere di esistere come tale, superare gli egoismi nazionali e fare politiche integrate coerenti: altro che le scemenze dell’euroscetticismo e l’esaltazione del particolarismo delle piccole patrie! Più Europa, mentre si concilia benissimo con l’esercizio responsabile delle autonomie, vuol dire più sicurezza e più libertà, che nessuno ti regala e che però, in un mondo come quello che già c’è e ancor più in uno come quello che si profila, di sicuro non avrai se ti chiudi nel guscio di un miope particolarismo.
Ma soprattutto c’è da fare all’interno degli stati attuali. Non solo proteggendo ciascuno in modo coordinato con gli altri i propri cittadini dall’ingresso di jihadisti, ma garantendosi, come ha sostenuto Galli della Loggia sabato scorso, che si sia colpiti alle spalle da persone nate e cresciute sul proprio territorio. In due modi: “essere ragionevolmente sicuri della lealtà costituzionale delle comunità musulmane” e nel contempo “essere ragionevolmente sicuri della loro disponibilità all’integrazione”. Con tutto ciò che in termini pratici necessariamente ne consegue: niente zone franche, rispetto della legge, diritti e doveri uguali per tutti. Con chiarezza: l’islam ovviamente è religione con diritto di esistenza come tutte le altre, ma i principi costituzionali, con le conquiste di civiltà di cui il sacrificio delle generazioni che ci hanno preceduto ci ha permesso di beneficiare, debbono valere senza eccezione anche rispetto ai costumi vigenti nei paesi di provenienza. Chi arriva qui deve saperlo, e deve sperimentare la forza cogente della legge nel caso non voglia accettare le regole che democraticamente sono state stabilite. Ma ci vogliono classi dirigenti che queste regole con lucida consapevolezza e adeguata determinazione vogliano e siano capaci di farle rispettare. Chi è imbelle con la democrazia, di fatto lavora per affossarla anche quando decide di ignorarlo.
La cartina di tornasole di questa volontà e di questa capacità è la condizione delle donne islamiche. Scrive (nel libro Violenza e Islam) il poeta siriano Adonis: “Io misuro il livello di avanzamento di una società dal trattamento che riserva alla questione femminile e sotto questa prospettiva oggi la società arabomusulmana è fuori dalla Storia. Qui il femminile è messo al bando”. Galli della Loggia dal canto suo mette a fuoco in modo preciso i comportamenti illiberali e violenti perpetrarti a danno delle donne nelle comunità musulmane sparse nel nostro come negli altri paesi, senza che nessuno se ne occupi per impedirli e per modificare la legislazione facendone un problema di priorità anche nella lotta al terrorismo. E che ci sia un rapporto tra la questione femminile nelle comunità islamiche e il terrorismo islamico lo spiega in modo efficace Claudio Cerasa su Il Foglio: “la violenza praticata sul corpo di una donna e la violenza praticata sul corpo di un miscredente fanno parte dell’interpretazione di una stessa religione. Il nemico non è il terrorismo ma l’idea di cui il terrorismo è il prodotto. Non si chiama follia, si chiama sharia”.
Si capirà dunque che non ci sono vie rapide e sbrigative per vincere questa che si presenta come una delle sfide più grandi e difficili che l’Europa ha dovuto affrontare nel corso della sua lunga e tormentata storia. Qui si tratta di mettersi sul serio in discussione e di rivedere tante convinzioni, tanti comportamenti e tanti aspetti dell’organizzazione istituzionale e sociale. Basti pensare, oltre alla questione femminile, di per sé indicativa di un groviglio di questioni più generali, all’organizzazione istituzionale della capitale belga, in cui il particolarismo dei municipi (ben 19), con le relative connivenze di interessi etnico-religiosi e politici, ha consentito, come dice Giulio Meotti, la “trasformazione di un grande sobborgo di Bruxelles nell’hub europeo della guerra santa islamica”. E basti pensare a come si rapportano di fatto i sistemi educativi a questi nuovi problemi, che richiederebbero come minimo una forte spinta all’assistenza psicologica, alla conoscenza della storia, alla riflessione teorica e all’educazione civica, tutte cose messe in secondo e terzo piano. E gran parte della società beatamente non se ne accorge nemmeno.
No, non ci illudiamo, non basterà stanare “gli alleati traditori”, ammesso che lo si possa fare ed effettivamente poi lo si faccia traendone le inevitabili conseguenze. Ci vuole ben altro per combattere questa particolare guerra. Nessuno ne è fuori e sarà bene accorgersene tutti prima possibile, anche perché le sfide culturali e del pensiero sono quelle più difficili.