di Dante Freddi
Le questioni all’interno del PD orvietano si fanno sempre più scompigliate e i puntuali interventi di Fabrizio Trequattrini per conto dell’altra metà del partito , “ Cambiamento Progressivo PD “, che rintuzzano i comunicati del segretario Scopetti, raccontano una storia di decadenza, di dissolvimento, che interessa ormai soltanto pochi addetti ai lavori, appassionati del passato, da cui la città è e si sente esclusa.
Ma stimola qualche riflessione generale.
C’è da rimpiangere i partiti della Prima Repubblica, il tempo in cui i preti facevano votare DC, c’erano le sezioni di partito con centinaia di iscritti, i comunisti avevano tre frogie nel naso e mangiavano i bambini. Chi non ha conosciuto la democrazia cristiana delle tessere per le idee o il centralismo democratico imposto da autorevoli dirigenti, se ne frega della “passione politica”, la confonde con gli odi e le contrapposizioni personalistiche di questi tempi.
Nascono ancora da qualche goccia di sangue del PD iniziative tematiche, come quella sulla Sanità o quella più politica sul Governo Renzi. La voglia di partecipazione cerca nuove vie, ma sono solitarie, strette, sinuose, poco illuminate e spesso non portano da nessuna parte.
La destra è scomparsa, non si sa che cosa pensa e chi è, a parte la faccia amministrativa, Sacripanti, Tardani e Olimpieri. Poi Menfi, ma sarà di destra destra? di Luciani non so nulla, se non delle sue azioni, diciamo così, da assessore ai commercianti della rupe.
Scrivo queste parole con tristezza, mentre noto che non fa più notizia neppure la cacciata di Filippetti. Pochi lettori, anche FB se ne frega, l’annuncio ci scivola addosso e si inserisce perfettamente tra le informazioni sulle lotte stracotte degli alti livelli regionali del PD, pochi attori attorniati da qualche comparsa, tutti concentrati sulle sorti del potere che stringono, mentre le persone che ascoltano o leggono queste vicende o sospirano o lanciano qualche improperio. I meno pazienti si fanno sfuggire anche la bestemmia, di quelle grasse, pensando al lavoro che devono fare o a quello che non hanno.
Con tristezza amarcord di quando i partiti interpretavano le nostre aspirazioni e si discuteva della vita che avremmo voluto per il Paese e per noi, quella per cui valeva la pena misurarsi, anche con asprezza. Gli avversari erano quelli con cui si confrontavano le idee, i nemici quelli che, in qualsiasi partito militassero, avevano se stessi come centro dell’azione e tre dita di pelo sullo stomaco.
Oggi non discutiamo più di politica, argomentiamo qualche idea amministrativa al bar, sui social, per il corso, ascoltiamo le idee sul mondo alla tv, nel canale che ci piace, e ci schieriamo, come per la partita di calcio, assuntori inconsapevoli di mezze verità, peggio delle falsità, più logiche e penetranti.
Nella comunicazione politica nostrana fa scuola per asciuttezza e contenuto il comunicato dell’avvocato segretario di Forza Italia Laura Trippetti, che ha annunciato l’elezione dei nuovi dirigenti orvietani del partito senza scriverne neppure i nomi: siamo ormai oltre i contenuti, oltre le persone. Ha fatto bene la segretaria, non ha perso tempo.
Ma mi ha portato a riflettere di quando i nomi incarnavano le idee e l’ammirazione per un uomo politico emozionava come l’amore per una donna. I nomi erano le idee, anche nel nostro piccolo. Il ricordo del mio “maestro”, Arturo Manciati, mi suscita ancora affetto e commozion. Adesso mi viene da ridere, con l’espressione triste del clown, se penso che Scopetti o Filippetti o Olimpieri o Trippetti possano incarnare idee, modelli, ideali.
Amarcord. Tanta tristezza a prendere atto che sto qui a scarabocchiare questo sfogo e a rilevare che uno straordinario artigiano come Fabrizio Trequattrini dedica il suo tempo a scrivere un comunicato contro Scopetti togliendo tempo alla sua arte e alla sua intelligenza.
Eppure domani io sarò ancora qui, a raccontare fatti e vite così marginali che potrebbero anche non esistere, alla ricerca della madre di tutte le mie piccole battaglie, quella per cui varrebbe impegnare la vigoria rimanente. Qui, insieme a Fabrizio, a nutrire questo “vizio assurdo”, consapevoli, ma così attaccati a ogni selcio di questo territorio da pensare che dobbiamo esserci.