Riceviamo e di seguito pubblichiamo le “Riflessioni” di una cittadina di Castel Giorgio – Maria C. Grillone Giustacuore – a seguito delle dimissioni del sindaco Andrea Garbini
Di fronte alle vicende dell’amministrazione comunale di Castel Giorgio vengono spontanee alcune riflessioni. La richiesta di dimissioni dell’attuale sindaco precedute da un commissariamento inducono a sospettare che “il problema” non siano solo gli amministratori locali, ma anche tutti noi cittadini.
Recentemente è invalso l’uso dell’aggettivo “liquido”: politica liquida, società liquida, cultura liquida…Non poteva essere individuato termine più appropriato per definire una realtà priva di solidità: ogni dimensione del nostro vivere è ormai priva di quella solidità che in passato era garantita da principi e valori ideali. Su che cosa si fondano oggi i rapporti personali, i legami sociali, l’impegno a risolvere i problemi sia delle piccole comunità sia del mondo? Dove sono finite le certezze che ieri ci guidavano come stella polare nel cammino della vita? Forse si sono spente come stelle all’alba anche quando la scuola, come ogni altra agenzia educativa, ha lasciato in secondo piano quella preziosa disciplina trasversale della ‘Educazione ai valori’ – da non identificare con la pure importante ‘Educazione civica’ – per fare di noi e dei nostri figli innanzitutto dei costruttori di robot. Prima preparare il tecnico, lo scienziato, dopo, eventualmente, educare la persona per esempio alla capacità di ascolto e di dialogo.
Riflettendo sulla nostra realtà locale, nessuno, in onestà, può disconoscere l’impegno serio del sindaco uscente Andrea Garbini, fortemente motivato dalle esigenze concrete, pratiche della comunità, del territorio, sensibile ai bisogni delle categorie più deboli. Nella sua funzione pubblica ho l’impressione che egli abbia preferito privilegiare l’aspetto pragmatico, certamente importante. Ma il pragmatismo da solo non basta, così come non basterebbe il mio idealismo a fare di me un sindaco. I due aspetti devono interagire, fondersi in un equilibrio costruttivo. I risultati del solo efficientismo tramontano: le buche sulle strade tornano a formarsi, i lampioni tornano a non illuminare, le strutture sportive tornano ad essere danneggiate… ma l’impronta ideale-culturale resta perché forma le generazioni.
Certo, l’impegno sociale non è facile, le relazioni umane non sono semplici. E’ difficile ‘camminare insieme’ nella società come nella famiglia. Ma se si progetta e si costruisce ‘insieme’ il nostro essere comunità, così come il nostro essere famiglia, all’interno di quella che io definisco una ‘bolla valoriale’, tutto va a collocarsi nel posto giusto. Nella famiglia i “Non stiamo abbastanza insieme…. Il tuo lavoro conta più di me…Hai dimenticato l’anniversario…” si esasperano fino alla rottura del rapporto se l’unione non è fondata su valori alti condivisi e sulla costruzione di un orizzonte comune a cui guardare insieme, atteggiamento che consente di relativizzare e di ridimensionare ogni difficoltà, di motivare ogni scelta, di chiarire ogni equivoco.
All’interno di quest’ultima amministrazione i contrasti si sono ingigantiti in misura sproporzionata, a volte in maniera ridicola, banale, perché scaturiti da azioni fini a se stesse, da personalismi, da comportamenti e scelte autoreferenziali che hanno oscurato il fine ultimo: operare ‘tutti’ per l’unico vero obiettivo, il bene della comunità.
Di contro, in prospettiva speculare guardo all’atteggiamento di noi cittadini – più fuochisti che pompieri – e rimpiango di non essere regista per poter trasferire sulla scena il dramma di Beckett “Apettando Godot” e riproporlo ogni anno a tutti noi come teatro educativo-didattico. Ancor più lo proporrei nelle scuole perché i ragazzi non diventino domani ciò che noi siamo oggi. Vedo nei personaggi tutti noi seduti ai tavolini dei nostri bar, noi veri protagonisti del dramma e non Godot, il quale non arriverà mai né sapremo mai chi egli veramente sia. Ma noi lo aspettiamo già dal giorno successivo a ogni elezione, perché non quello eletto ieri ma il ‘nostro’ Godot immaginato porterà con sé novità, cambiamenti reali, risposte alle nostre aspettative…
E continuiamo ad aspettare, sempre seduti al bar, continuiamo a fantasticare, a macerarci, a offuscare in ogni modo immagine e azioni di chi ci amministra , continuiamo a vivere tensioni dentro e fuori di noi… ma non ci sfiora l’idea di alzarci dalle nostre sedie e andare incontro a Godot. Ecco, forse quella dimenticata ‘Educazione ai valori’ ci avrebbe formati alla cultura dell’ ‘andare incontro’ . E forse scopriremmo che ciò che cerchiamo ce l’abbiamo già: basta ‘fare insieme, tutti…in stretta collaborazione’, come auspicava l’ultimo programma elettorale.
Ripensando alla uscente amministrazione, anche lì più fuochisti che pompieri, (mi si consenta una battuta…liquida: perché in ogni realtà associativa non si assume – per legge – un ‘ pompiere’?) mi chiedo se un ruolo perverso non sia stato giocato da alcuni dell’entourage, mi chiedo se il crollo sia stato provocato solamente dalla defezione di alcuni o anche dalla piaggeria di altri. Il dialogo è anche scontro ma è sicuramente crescita; la piaggeria è sospetta e se scambiata per condivisione diventa deleteria, accelera la caduta. E la caduta c’è stata ed è stata anche una caduta di stile. Nella cerchia dei sostenitori di tutti gli schieramenti, e anche in noi cittadini, ho colto espressioni grevi, un frasario pesante contro gli avversari, un linguaggio ignaro della dignità propria e altrui.
Ho letto attacchi alle persone non accettabili neppure nei confronti del peggior nemico. Il risultato? E’ sotto gli occhi di tutti . E nessuno può considerarsi vincitore, né reale né morale. E’ giusto attaccare senza sconti chi abusa della propria carica, chi fa uso improprio , non corretto degli strumenti del proprio lavoro, del proprio ruolo, del proprio potere, del proprio servizio… Al contrario, mai e poi mai si attacca una persona in quanto tale, nel suo modo d’essere, nella sua dimensione intellettuale, umana, nel suo vissuto privato. Perché, di ciò che siamo non abbiamo alcun merito né demerito. Siamo, invece, responsabili di ciò che facciamo, e sotto questo aspetto possiamo tenerci reciprocamente sotto la lente d’ingrandimento, preferibilmente per aiutarci, non per affossarci. E non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi è portatore di una ricchezza personale, sia essa fatta di grandi idee o di un piccolo input. Donare e accogliere: è questo il telaio sul quale tessere con umiltà, coraggio e pazienza la trama del vivere civile. “I cittadini vanno ascoltati…nessuno è un numero”, press’a poco così recitava l’ultimo programma elettorale.
Io sono stata testimone di una relazione sana, positiva, di crescita. Sin da piccola mi sono sentita la Giovanna d’Arco di mio fratello, nato con dei problemi .Volevo fargli da scudo contro tutti. Ho vissuto la mia vita nella preoccupazione di saperlo deriso, umiliato, di sentirgli dire da qualcuno ‘scemo’. Alla sua morte, avvenuta di recente, sono rimasta sorpresa e commossa nel vedere tutto il paese, compresi rappresentanti della politica locale e regionale, avvicendarsi accanto alla salma di mio fratello, molti in lacrime dicendo:” Ho perso un fratello”, “ Raffaele mi ha dato molto”, “ E’ come se fosse crollato il lampione più alto della piazza…un pezzo del paese…” Soltanto allora ho capito e ho avuto vergogna di me: la mia paura mi aveva impedito di ‘vedere’ la positività negli altri. Il loro Amore per Raffaele aveva consentito a mio fratello di esprimere il meglio di sé e di sapere a sua volta farne dono agli altri.
Dobbiamo nascere con dei problemi per essere costruttori di una società migliore?