La proposta del direttore Dante Freddi
Che dite della stampa orvietana?
“Ne siete stati “oggetto” come attori della politica, siete influenti “soggetti” come scrittori di centinaia di corsivi su Orvietosi.it, siete fruitori come cittadini. Valutazioni e suggerimenti coraggiosi sul FITTO MONDO DELLA COMUNICAZIONE GIORNALISTICA ORVIETANA.”
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Già,è proprio così, il mondo della comunicazione giornalistica orvietana è straordinariamente fitto! Parto dunque da questa che è una constatazione semplice per arrivare poi ad una analisi delle possibili spiegazioni, che invece non è semplice, ad un giudizio, che non può che essere soggettivo, e infine a qualche suggerimento che, pur essendo onestamente formulato, resterà comunque senza pretesa di apprezzamento.
Dunque partiamo dalla constatazione che si tratta di un mondo fitto. Per questo aspetto basterà dire che la nostra realtà, per essere in termini relativi una città e un territorio quantitativamente poco consistenti, ha una quantità di testate giornalistiche online, pubblicazioni, rivistine, pagine o riferimenti locali di giornali regionali della carta stampata, davvero spropositata. Ma soprattutto colpisce la “produzione” di giornalisti e di occupati più o meno precari nelle attività giornalistiche. Ci sono giornalisti provenienti da Orvieto e dal suo territorio che lavorano in RAI e in testate nazionali (Il Giornale, Libero), in testate regionali con ruoli di rilievo, o che collaborano come freelance, o che sempre come freelance sono ormai punte nazionali e internazionali della comunicazione fotografica. Bene, ci possono essere ragioni non di pura casualità?
Passiamo allora ad un tentativo di spiegazione. C’è anzitutto la storia di una prestigiosa famiglia di giornalisti, i Barzini, dal capostipite Luigi senior a Luigi junior a Ludina, una famiglia che in diversi modi, e non solo per natali, ha lasciato un segno di come si può avere successo pur essendo nati in provincia e di come si può spaziare nel mondo rimanendo legati alla terra di origine. Ma c’è anche la storia della presenza nel territorio orvietano di Jader Jacobelli, indimenticato, prestigioso e coraggioso promotore del legame tra proiezione nazionale della professione e valorizzazione del “suo luogo proprio”. C’è poi la collocazione strategica della città e dei paesi del circondario al centro del Paese, ben collegati soprattutto con Roma ma in modo non disprezzabile anche con le altre realtà sia nazionali che regionali, e comunque tali da invogliare a spostarsi senza troppi patemi d’animo. C’è infine, credo, anche il fatto che dagli anni ottanta in qua è stata (ri)scoperta la vocazione nazionale e internazionale di Orvieto, il suo voler giocare un ruolo propositivo e protagonista, che può stimolare la voglia si spaziare e di comunicare e insieme l’idea che partendo da qui ci sono cose da dire e opportunità da cogliere. Come sempre, ci sono anche tutti gli altri elementi individuali, gli interessi, le propensioni, le relazioni umane, che spiegano la decisione di misurarsi con un mestiere piuttosto che con un altro. Non so quanto possa incidere anche l’orgoglio di una terra con alle spalle una storia e una cultura significative e con davanti un futuro possibile se interpretato con intelligenza e passione.
E veniamo ora al giudizio, che ovviamente può riguardare solo la stampa locale e che, come ho detto, non può avere presunzione di oggettività, ma solo di onestà intellettuale. Valutazioni coraggiose ci chiede il direttore. Prescindo proprio per questo dalle esperienze personali, quelle negative, che più di una volta mi hanno costretto ad intervenire per rintuzzare polemiche e polemicuzze strumentali o veri e propri tentativi di denigrazione, soprattutto sulle testate online che hanno dato spazio ai commenti anonimi (anche su questo punto do volentieri atto a Dante Freddi di aver avuto per primo il coraggio di rompere questo malcostume). Roba che comunque non mi ha toccato più di tanto, provenendo da ambienti e personaggi ben noti, e che mi ha consentito ieri, come mi consente oggi, di parlare con chiarezza e tranquillità. Dunque, ecco ciò che penso. Anzitutto, penso si debba dare atto alla stampa locale, sia cartacea che online, di svolgere un ruolo importante nella vita di comunità, e credo che coloro che ne sono responsabili e che ci lavorano (mi riferisco al direttore Freddi, ma non solo) ne siano perfettamente consapevoli e si sforzino encomiabilmente di mantenere un livello apprezzabile di qualità. Detto questo, mi sembra anche onesto rilevare che non è casuale che il nostro direttore non parli di mondo dell’informazione ma di “fitto mondo della comunicazione”. Perché? Io credo perché Freddi si rende ben conto che soprattutto i giornali online, ma non solo, più che informazione fanno appunto comunicazione, spesso un collage di comunicati, che raramente diventano informazione controllata e quasi mai discussione produttiva con l’intento di contribuire a far conoscere le diverse posizioni e ad orientare il giudizio libero e maturo dell’opinione pubblica. Cosa difficile in sé ovviamente, e cosa ancor più difficile in una fase come questa in cui le difficoltà economiche e finanziarie restringono le possibilità e le opportunità che c’erano in un passato anche non molto lontano. Difficile se non impossibile il giornalismo locale d’inchiesta. Facile invece scadere nell’appoggio a questo o a quello, e soprattutto difficile evitare la tentazione dell’appartenenza ad un campo piuttosto che ad un altro.
Veniamo infine ai suggerimenti, che il nostro direttore vuole anch’essi coraggiosi. Vediamo se così può essere, ma comunque senza alcuna pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno.
Primo punto. So bene che la vulgata dice che non è compito dei giornalisti né di fare politica né tantomeno di educare il popolo, ma so anche che sarebbe bene essere consapevoli, tutti e in qualunque ruolo collocati, che ciò che si dice e si scrive incide sia sulla vita delle persone che sugli orientamenti di una comunità, e questo in fondo è fare politica. Se, come è giusto, la stampa indipendente in ogni luogo e circostanza rivendica un ruolo di indipendenza, indipendente deve essere davvero e sempre, e dunque anche sia professionale che responsabile.
Secondo punto. La stampa locale, indipendentemente dalla sua consistenza e dalle sue modalità tecniche di esistenza, organizzazione e diffusione, può essere di aiuto o no, poco o tanto, alla crescita culturale e civile di una comunità. Da questo punto di vista nessuno può dirsi innocente rispetto alla formazione o no di un’opinione pubblica consapevole e matura. Il fatto che la politica sia, secondo una notissima colorita espressione, “sangue e merda”, non giustifica affatto che sempre e comunque, per un malinteso principio di pluralismo, si debba dare fiato ad ogni e qualsiasi battibecco e a discussioni da pollaio. Va bene che si esiste e si è pagati solo se si è letti, ma è anche vero che essere bravi per questo dura lo spazio di un mattino e il servizio che si rende spesso fa male ben più di un giorno, anche a se stesi. Ma, come ho detto, lo dico senza pretese.
Terzo punto. Vista la consistenza e anche la qualità di presenza giornalistica diffusa sia nelle testate locali che in quelle regionali e nazionali e vista anche la presenza di professionalità di questo mondo a livello internazionale, e considerate le nobili tradizioni orvietane della professione giornalistica (i Barzini, Jader Jacobelli) perché non trasformare questa realtà in un’occasione? Perché non fare di Orvieto (che dovrebbe essere consapevole e comportarsi come città internazionale) il luogo privilegiato non solo di un “Premio Barzini all’inviato speciale” (che però dovrebbe funzionare sul serio ed essere uno degli avvenimenti di richiamo in un mondo che è sempre più interdipendente), ma anche di un punto di confronto permanente (all’inizio almeno locale o se possibile regionale) tra giornalisti sulla professione del giornalista, un modo che può diventare una scuola di giornalismo autogestita, con sviluppi tutti da inventare. Insomma una delle tante possibilità, non solo per la professione di giornalista, ma anche per la crescita locale.
Ultimo punto, la crescita locale. La realtà, da qualunque lato la si prenda, entra sempre in gioco tutta intera, e la professione giornalistica si presta in modo particolarmente efficace a che ciò avvenga. Ecco allora una domanda che ritengo doverosa, ma anche utile per chi si occupa di comunicazione che voglia essere anche informazione e, perché no?, dovere civico: quando qualcuno si assumerà il compito di porre all’attenzione dell’opinione pubblica in modo chiaro e senza peli sulla lingua (non bastando la semplice riproduzione di interventi sporadici di questo e di quello) le grandi questioni che hanno stretta attinenza con la realtà locale e che però richiamano scelte più generali? Ad esempio in tema di riforme istituzionali, di organizzazione della giustizia, di uso locale delle fonti energetiche, di sistemi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, di sistemi scolastici e formativi, di fonti e potenzialità dello sviluppo (non di propaganda sulle aree interne), di organizzazione e ruolo delle diocesi, e di altro ancora. Nella fase storica che viviamo, in cui non ci sono più punti di discussione e di elaborazione pubblica riconosciuti, non ci possono essere tabù. C’è un dovere civico da esercitare, ed ognuno di noi, che lo voglia o no, ha una responsabilità più generale che non quella di sé e della sua cerchia. In particolare gli educatori, i politici, e certo i giornalisti. Ma di questo mi occuperò più compiutamente in altro modo e in altra sede.
Ripeto, idee senza pretese.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Il giornalismo orvietano è stato costruito e viene mantenuto in vita dalla passione di alcune persone possedute dal demone della comunicazione giornalistica. Costoro dedicano quotidianamente una parte importante della loro vita al giornalismo locale assumendosene le responsabilità, a cominciare da quelle penali. Infatti viviamo nella ex patria del diritto, dove la giustizia imputridisce nella prolissità dei procedimenti giudiziari, nella insaziabilità della casta avvocatesca, nel trionfo della permalosità protetta e alimentata da leggi assurde sul risarcimento del cosiddetto danno morale. Sarà per l’influenza dei vecchi film americani, ma è difficile non fare il confronto col giornalismo locale paladino della giustizia, eroicamente aggressivo nei confronti degli imprenditori prepotenti, dei politicanti corrotti e dei benpensanti ipocriti. Il giornalismo orvietano vive dignitosamente in questo ambiente difficile e lo fa rispecchiando il modo di vivere della nostra comunità: spietata scioltezza di linguaggio nelle conversazioni private, prudenza nel parlare in pubblico e nello scrivere. Penso che proprio la durezza delle conversazioni private, nelle quali trovano sfogo le rivalità personali e politiche, siano da queste parti la compensazione emotiva della morbidezza nella manifestazione pubblica delle opinioni. Allora può succedere che sullo stesso giornale, come in questo, trovino un modus vivendi opinioni molto diverse. Ma si tratta di un equilibrio che va amministrato con intelligenza, pazienza e rispetto dell’amicizia, doti che non mancano al nostro Direttore.
La proposta di Barbabella a Leoni
Hanno ragione quelli del PD a chiedere la testa di Massimo Giannini?
“Massimo Giannini non si è dimenticato le polemiche di questa settimana e soprattutto gli attacchi dal Partito democratico. E poco prima dell’inizio della puntata di Ballarò manda un messaggio su Twitter: ‘La Rai mi può licenziare. Il Pd, con tutto il rispetto, proprio no. Ci vediamo stasera a #Ballaro’. Non proprio le ‘scuse e i ‘chiarimenti’ che i democratici, o per meglio dire l’ala ‘dura’ dei renziani, hanno chiesto per quasi l’intera settimana. Anzi Giannini in diretta rilancia. ‘Non so se ridere o piangere’, spiega. ‘La cosa mi indigna’, ‘Di cosa dovrei chiedere scusa?’, ‘È l’ennesimo attacco a chi cerca di fare informazione’. Per concludere: ‘Non spetta alla politica decidere ai palinsesti’.
Ad accendere la miccia era stato Michele Anzaldi, deputato e componente della commissione di Vigilanza Rai, il quale aveva detto che se era stato licenziato il capostruttura responsabile del programma di Capodanno, allora peggio aveva fatto, appunto, Giannini. … ‘Partiamo da un fatto: la calunnia è un reato. Ed è un brutto reato, un reato penale. La calunnia a mezzo stampa è un reato ancora più grave’. Il presunto ‘reato penale’ (i reati sono tutti penali) sarebbe un aggettivo con il quale Giannini aveva definito la situazione, secondo lui anomala, nel caso di Banca Etruria che ha visto al centro il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi e la sua famiglia. Aveva parlato di ‘rapporto incestuoso’, nel senso di anomalo, non chiaro.” (Il fatto quotidiano, 2 febbraio 2016)
L’opinione di Leoni
Il giornalista Massimo Giannini è incappato in un infortunio che, secondo me, è frutto di supponenza, ansia di provocare per tenere su una trasmissione in calo di ascolti, desiderio di smarcarsi dal ruolo di giornalista di regime come aveva fatto il suo predecessore Giovanni Floris. Troppo comodo levarsi tutti questi gusti in un canale televisivo pagato coi soldi pubblici che, essendo pubblici, sono spesi sotto il controllo di quello che è il governo democratico del Paese. Se lo cacciano, secondo me, se l’è meritato. Se non lo cacciano è perché il governo ha gatte più grosse da pelare e non può perdere tempo con uno che ci pensano i telespettatori a farlo fuori.