La proposta del direttore Dante Freddi
Umberto Eco e i social: ”Danno diritto di parola a legioni di imbecilli”
“«Il fenomeno Twitter da un lato è positivo, pensiamo alla Cina o a Erdogan. Qualcuno arriva a sostenere che Auschwitz non sarebbe stato possibile con Internet, perché la notizia si sarebbe diffusa viralmente. Ma d’altro canto dà diritto di parola a legioni di imbecilli». La critica di Umberto Eco al mondo dei social, Twitter in particolare, nel suo intervento all’Università di Torino dove ha ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media.” (da La Repubblica, 11 giugno 2015)
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Umberto Eco ha dedicato la vita agli studi e alla diffusione del sapere. Non può perciò stupire né che se la sia presa spesso con chi in modi diversi favorisce o addirittura coltiva l’ignoranza, né che abbia contrastato opinioni oggettivamente sciatte anche se apparentemente convincenti, né che sia andato controcorrente rispetto a fenomeni popolari di diverso tipo e a mode diffuse. Non credo lo abbia fatto per snobismo, quanto piuttosto perché queste erano le sue autentiche opinioni, o perché magari aveva in fastidio il politically correct, o semplicemente perché credeva nella missione di verità degli intellettuali.
Si possono fare diversi esempi di questo atteggiamento mentale che lo portava fuori dal coro. Ecco il primo. Quando in occasione dell’Expo Matteo Renzi, riprendendo una famosa affermazione di Dostoevskij, disse che la cultura e la bellezza salveranno il mondo, Eco gli replicò che “La bellezza e la cultura non salveranno affatto il mondo”, argomentando questa posizione con esempi storici difficilmente confutabili. Ed ecco il secondo. In occasione della presentazione di Numero Zero, il suo ultimo romanzo giallo (pubblicato nel 2015 da Bompiani) ambientato in una redazione giornalistica, affermò che “Si può fare un giornalismo di denuncia, onesto, ma purtroppo il giornalismo spesso è vittima di pettegolezzi e del sentito dire”. E ancora: “La questione è che i giornali non sono fatti per diffondere ma per coprire le notizie”.
Non può dunque nemmeno stupire che se la sia presa anche con i senzacervello e i senzacriterio che usano i social e segnatamente Twitter immaginando di scorrazzare nelle praterie del west informatico (appunto le “legioni di imbecilli”). Ora si sa che, stando al politicamente corretto, tutti hanno diritto di dire la loro. Che diamine, la democrazia lo esige! In realtà però questa non è certo una verità inconfutabile: ad esempio, nessuno ha mai teorizzato la democrazia come regno della scemenza, nemmeno i suoi critici più feroci. Però è vero che la democrazia, più di altri regimi, deve fare i conti con gli stupidi, che ci sono eccome! Anzi, qualcuno ha elevato la stupidità addirittura ad oggetto di studio. Lo ha fatto già negli anni settanta del Novecento quel genio dell’umorismo scientificamente fondato che è stato lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla. In un famoso saggio dal titolo “Le leggi fondamentali della stupidità umana” egli formula ed illustra come cosa seria le cinque leggi della stupidità, delle quali la terza, detta anche “legge aurea”, in sintesi è così formulabile: “Lo stupido è colui che fa male agli altri senza alcun vantaggio o addirittura con perdita per sé”. La legge si dà per verificata se si trova almeno uno con questi connotati. Provateci, non vi costa nulla.
Non argomento ulteriormente il tema perché basta già quanto suggerisce l’intuizione. Con la sola avvertenza che probabilmente la stupidità è da collocare un gradino sotto l’imbecillità. Ma chi lo dice? Forse è il contrario, oppure magari si equivalgono. Comunque sia, si tratta di condizioni umane socialmente rilevanti, la cui consistenza, variabile nello spazio e nel tempo, oggi appare progressivamente crescente, se non altro come capacità di incidere sul clima complessivo. Vi si può porre rimedio in qualche modo? Chissà, forse qualcosa si può fare. D’altronde ce n’è la controprova, minimale quanto si vuole ma pur sempre esistente: quando alcuni direttori di testate online (una per tutte: questa del nostro Direttore) hanno deciso di non lasciare più campo libero alla piccola schiera dei maldicenti per vocazione e dei mestatori professionisti, che si sfogavano contro questo o quello straparlando di tutto, hanno forse impoverito la maturazione civica e fatto danno alla vita democratica o, mentre hanno dato più forza e spessore al giornale, hanno costretto nel contempo chi ha da dire qualcosa ad essere più corretto e ad argomentare le proprie opinioni e hanno indirettamente reso più civile il dibattito pubblico? La seconda che hai detto, è evidente!
Si dice anche: “questa è la logica dei social”, e perciò se qualcuno li frequenta questa logica deve accettare. Ma che sciocchezza!, l’imbecillità resta tale sia che si manifesti sui social sia che emerga in altri campi. Diciamolo dunque: che quella logica sia da accettare solo perché esiste è l’argomento di chi sguazza dove non ci sono regole e dove non vige il principio di responsabilità ma quel mondo dell’anarchia che funziona per te solo finché non ti si ritorce contro. Ne conosco più di uno che ragiona così. E va dato per scontato che anche una persona intelligente e corretta può scadere talvolta in comportamenti da imbecille, nel qual caso si tratterà di imbecillità di uno altrimenti intelligente, ma la natura della cosa in ogni caso non cambia.
Resta fermo invece tutto il positivo che è connesso alla rete e in particolare ai social, un positivo che Umberto Eco evidentemente capiva e apprezzava, anche trasportato da quella curiosità intellettuale che è stata la sua cifra di studioso e di docente. Lui, preoccupato di una società troppo incline alla superficialità e all’omologazione, pensava che i social la favoriscono solo perché di essi si fa un cattivo uso. Ma non è necessario e inevitabile che se ne faccia un cattivo uso. Per questo interveniva in quel modo esplicito e forte, fuori dalla logica del politicamente corretto. E così lui, che non era certo perfetto e aveva talvolta anche ceduto a mode intellettuali poco commendevoli (ad esempio ad un antiberlusconismo di maniera), resta comunque nella storia italiana recente, insieme a pochi altri, uno dei massimi esempi di lucido esercizio della moderna ragione critica.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Umberto Eco aveva ragione, ma non credo che ambisse a passare alla storia per una battuta così scontata. Certamente i social danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Ciò non implica che tutti coloro che praticano i social siano imbecilli o che tutti diventino imbecilli se usano i social. Certamente l’epoca in cui si dicevano scempiaggini solo nelle case, nelle strade, nei bar e nelle strade è finita. Si è dilatata enormemente l’agorà nella quale si sproloquia, ma nessuno vieta ai saggi di dire cose sagge, persino sui social. Chi è scandalizzato o infastidito dal dilagare dell’imbecillità sul web può uscire di casa e deliziarsi con le scempiaggini che si sentono nei luoghi pubblici. Rimpiangerà la possibilità di respingere messaggi, revocare amicizie e spegnere il computer.
La proposta di Leoni a Barbabella
Il movimento “anti-gender” è fascista?
Il movimento “anti-gender”, ostacolando l’estensione dei diritti civili alle persone LGBTI (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), non si limita a una reazione emozionale al panico diffuso dalla propaganda “no-gender” né all’ingerenza della Chiesa nella politica italiana. La reazione conservatrice che esprime il discorso “anti-gender” costituisce anzitutto un fronte di mobilitazione anti-democratica promosso dall’alleanza tra integralisti cattolici e tradizionalisti neofascisti, dando forma, in sostanza, a un contro-movimento sociale impegnato in una crociata morale contro il principio di uguaglianza che definisce la democrazia.
(http://www.ilpost.it/giuliasiviero/2016/02/22/i-movimenti-no-gender-spiegati-bene/)
Immagino che chi si imbatte per la prima volta in un testo come questo può essere preso da un attacco di orticaria. E anch’io, che ne ho letti di peggiori, stento a credere che ci possano essere “animali razionali” (è la definizione aristotelica di uomo, che non è detto sia realmente applicabile a tutti, indipendentemente dall’essere uomo o dall’essere donna) così sadici da diventare anche masochisti (essere incomprensibili agli altri fino al punto, immagino, di precludersi la possibilità di capire se stessi).
Vediamo dunque di porci sul piano della normalità per capire se, dietro le astruserie linguistiche, si può trovare un discorso comprensibile. Comincio dalla teoria del gender (= genere maschile/femminile). Su Wikipink si può leggere quanto segue: «Quello di “teoria del gender” è un concetto creato dall’estrema destra religiosa fondendo le definizioni di “genderstudies” e “queer theory”. Il risultato è una presunta “gender theory”, che però, al di fuori di questo contesto, non esiste, e non è mai stata teorizzata da nessuno. In Italia, la provenienza dei sostenitori di questa visione dalle frange più estreme della Chiesa cattolica spiega l’insolita rozzezza delle loro tesi, la cui difesa è spesso affidata a “esperti” autonominati, dei quali è spesso facile dimostrare che letteralmente “non sanno nemmeno di cosa stanno parlando”». Dopodiché per andare avanti a parlarne ci vuole del coraggio.
In ogni caso, per teoria del gender, che esista o no, si intende ciò che ne dice un suo detrattore, il diacono Gerolamo Furio: «La teoria del gender è una idea che sostiene la non-esistenza di una differenza biologica tra uomini e donne determinata da fattori scritti nel corpo, ma che gli uomini e le donne sono uguali da ogni punto di vista; c’è quella differenza morfologica, ma non conta niente. Invece la differenza maschile / femminile è una differenza esclusivamente culturale, cioè gli uomini sono uomini perché sono educati da uomini, le donne sono donne perché sono educate da donne …».
Traduciamo: poiché le differenze di genere non derivano dalla natura ma solo dalla cultura, i generi si possono cambiare a piacimento di ognuno, fino alla definizione di un terzo genere, indifferente alla distinzione tradizionale maschio/femmina e dunque capace di stare su entrambe le sponde, cosa che peraltro già avviene. Che si vuole di più? La fantasia mascherata da scienza può fare miracoli! È facile vedere qui una conseguenza esasperata del decostruzionismo francese (Foucault, Derrida) e del postmodernismo con la sua derivazione da Nietzsche dell’assunto di base per cui “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Ma questi riferimenti li cito solo per il gusto delle connessioni concettuali e non certo per dare una qualche dignità culturale a posizioni che non hanno alcun fondamento se non quello di aggregare le forze più becere e ignoranti per guerre distruttive, nello stile di questi nostri tempi tristi.
Da qui deriva poi tutta la polemica che ha investito perfino ambiti scolastici e che, scava scava, alla fine appunto risulta un qualcosa che potrebbe essere assimilato alla discussione sulla teoria delle “scie chimiche”, cioè niente di niente. La tristezza è che da una parte c’è chi ci crede e dall’altra chi si impegna a polemizzarci, gli uni e gli altri in una difesa armata dei rispettivi territori presentati entrambi come regno della verità quando invece si tratta semplicemente di lande desertiche.