La proposta del direttore Dante Freddi
Conformismi. Il dibattito sulla legge Cirinnà. Dietro l’invocazione dei principi un altro interrogativo: basta la volontà di una maggioranza parlamentare per stabilire i diritti?
“Una cosa soprattutto mi ha colpito: il prescrittivismo giuridicista, adoperato così di frequente — in questo come in molti altri casi del resto — dai sostenitori della legge. Sposarsi? È un diritto. Avere un figlio? Un diritto. Adottarlo? Un diritto anche questo. Tutti diritti, e naturalmente tutti rigorosamente statuiti, previsti, dedotti, dalla oggi sempre invocata «democrazia liberale» (oggi che tutti vi si sono convertiti), alias «la libertà». Chi si riconosce nell’una e nell’altra — a sentire i più — non può che riconoscersi necessariamente non solo nel disegno di legge Cirinnà ma anche, si direbbe, in qualunque richiesta dell’Arcigay. Nessuno si è chiesto, però, come mai, pur esistendo la suddetta «democrazia» da oltre un secolo, tuttavia è solo da una decina di anni che il matrimonio gay con le sue varie appendici è entrato (non senza qualche difficoltà) nell’elenco dei diritti che sempre la medesima «democrazia liberale» non potrebbe negare, si dice, se non negando se stessa. Ma come mai — è inevitabile chiedersi — la rivendicazione di un tale diritto in precedenza non era mai venuta in mente a nessuno, neppure ai più libertari tra i libertari? Gli omosessuali non sentivano forse, ieri, il bisogno di sposarsi e di avere figli? La democrazia non era abbastanza liberale? Non eravamo abbastanza democratici, o che?”
(Ernesto Galli della Loggia, La vera radice dei diritti, Corriere della sera, 2 febbraio 2016)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Il dibattito in corso sul disegno di legge Cirinnà consiste nel fatto che l’orientamento omosessuale viene considerato da circa la metà dell’opinione pubblica perfettamente equivalente a quello eterosessuale. Mentre l’altra metà pensa esattamente il contrario. Il parlamento rispecchia grosso modo la frattura che divide l’opinione pubblica. Come rileva Galli Della Loggia, i valori dello Stato liberal-democratico non c’entrano niente. C’entra, invece, un cambiamento dell’opinione pubblica che sempre più simpatizza per gli omosessuali perché è stanca dei costumi tradizionali e ritiene progresso tutto ciò che li contesta e li umilia. Il matrimonio tradizionale, benché consacrato dalla cosiddetta più bella costituzione del mondo, ha stufato. L’equiparazione della coppia gay alla coppia di sposi maschio e femmina è uno schiaffo pesante al matrimonio tradizionale, e ciò piace ad almeno una metà della popolazione e del parlamento. Per il gusto di umiliare la famiglia tradizionale si trascura il fatto che gli orientamenti sessuali sono più complicati di come viene fatto apparire. Si trascurano i soggetti a orientamento bisessuale e tanti altri gusti in materia di sesso. Si sorvola sulla poligamia, che molti, non solo musulmani, vorrebbero praticare alla luce del sole e con la benedizione della legge. Quindi non è in ballo il valore della libertà e il rispetto degli orientamenti sessuali, ma l’adeguamento dell’ordinamento giuridico a una moda internazionale suscitata dagli omosessuali per imporre il loro potere; secondo la logica del potere, che consiste nel mettersi al posto di un altro potere.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Va riconosciuto a Galli della Loggia di essere uno dei pochi che hanno il coraggio di porsi spesso fuori dal coro e di discutere ciò che alla maggioranza dei comunicatori appare indiscutibile. In questa occasione si pone la domanda se può darsi per scontato far risalire automaticamente alla democrazia liberale non solo i diritti invocati oggi dagli omosessuali (oltre agli altri, diciamo di cittadinanza, quelli di sposarsi, avere o adottare un figlio) ma i diritti invocati da qualche minoranza. E, insieme a questa, l’altra, davvero cruciale, se basta la volontà di una maggioranza parlamentare per stabilire quali sono diritti e quali no.
Le risposte che egli dà alle due domande sono decisamente interessanti: i diritti omosessuali non scaturiscono necessariamente dalla democrazia liberale e dunque basta che vi sia una maggioranza (abilitata a decidere) che lo voglia perché ciò che prima non era diritto lo diventi. Ovviamente si tratta di intercettazione del consenso, reale o presunto che sia.
Dunque il punto diventa piuttosto come si formano gli orientamenti che appaiono maggioritari in un certo momento storico in una determinata società, cosicché ci sia qualcuno che abbia la voglia di interpretarli. E i meccanismi di tale processo non sono affatto scontati ma è certo che hanno a che fare con il potere e il suo esercizio. Oggi si presume che tutto ciò che affermano le organizzazioni gay sia giusto e quindi debba essere sancito come diritto. E questa è una decisione, non una folgorazione. In realtà i temi di cui parliamo – equiparazione o no delle diverse forme di unione al matrimonio eterosessuale, diritto o no di adozione del figlio del partner (o configlio che dir si voglia, comunque meglio di stepchild adoption), possibilità o no dell’utero in affitto – sono troppo complessi per essere data per scontata la bontà della loro soluzione con botte di maggioranza. Ma non c’è luogo, dai massmedia al Parlamento, dove la discussione sia fatta per approfondire, capire e decidere facendone capire il senso senza propaganda.
È perciò il modo di discutere e di decidere su temi fondamentali che personalmente mi colpisce: che si tratti dei diritti delle coppie gay, di scuola, di vita sessuale, religione, morte, ecc. è sempre la stessa cosa. Cioè: campi contrapposti, talk show televisivi solo per fare spettacolo, arzigogoli parlamentari, mediazioni astruse. Il tutto pur di portare a casa un risultato che qualcuno giudicherà un successo straordinario e qualcun altro la premessa di una catastrofe.
E poi quello che per me conta di più: il clima generale segnato dall’impoverimento della cultura civica che si fonda sulle responsabilità individuali. Cosicché ai processi di centralizzazione istituzionale a tutti i livelli corrispondono le tendenze delle minoranze ad omologarsi alle maggioranze. Ovviamente per farlo non si esita a tradire il principio, questo sì liberal, che la differenza fa ricchezza.
La proposta di Leoni a Barbabella
Pare che il futuro dell’informazione viaggi sul digitale. Sarà una buona cosa?
“Il quotidiano britannico The Independent, fondato nel 1986, da marzo smetterà di essere pubblicato su carta e avrà solo una versione online. Un comunicato sul sito dell’Independent ha spiegato che la scelta è stata fatta per concentrarsi sulla versione digitale, che negli ultimi anni è andata sempre meglio. Il comunicato spiega che negli ultimi 12 mesi i lettori mensili del sito dell’Independent sono aumentati del 33,3 per cento. Evgeny Lebedev ha detto che «l’industria dell’informazione sta cambiando e che questi cambiamenti sono guidati dai lettori. Ci stanno mostrando che il futuro è il digitale». La scelta di concentrarsi solo sul digitale è dovuta – oltre che al successo del sito internet – anche alla diminuzione di lettori della versione cartacea.”
(Da www.ilpost.it)
Il rapporto tra digitale e carta stampata si evolve ma mi sembra ancora piuttosto contraddittorio. La situazione, tanto per fare un esempio, risulta diversa se guardiamo alla stampa o al libro. Nel campo dei giornali anche in Italia c’è un’avanzata del digitale, ma non è omogenea: mentre Pagina 99 dopo solo 30 numeri in cartaceo passa al digitale e fa un bel salto, Repubblica fa il restyling del contenuto e diventa un settimanale che esce ogni giorno. Nel campo dei libri invece, che si guardi al mercato italiano o a quello USA, l’ebook non decolla.
Le ragioni di tale diversità di situazioni sono più di una e a mio avviso non hanno a che fare solo con la resistenza a cambiare abitudini o con il costo e la tipologia degli strumenti per la lettura. In verità, credo si possa sostenere che le due modalità rispondano ad esigenze diverse e possono convivere, con equilibri si mutevoli e magari progressivamente vantaggiosi per l’una o per l’altra, ma mai, almeno nel breve periodo, in modo totalizzante.
D’altronde chi ha sperimentato il digitale sia per l’informazione che per la lettura di libri si sarà accorto che per certe cose va bene il giornale online e per altre devi avere il giornale cartaceo tra le mani. Analogamente non si può negare che è comodo, al di là dei costi, attingere ai libri di Amazon con Kindle e leggere quelli che ti interessano portandoti dietro uno strumentino leggero invece che una biblioteca, ma anche goderti la lettura di un libro cartaceo che hai cercato e acquistato in libreria appena uscito non è cosa a cui si deve rinunciare per il solo gusto di stare al passo