La proposta del direttore Dante Freddi
Un dibattito scontato nei toni e nei contenuti. Un esito inutile
“Lo scorso 20 gennaio ho scritto un pezzo per commentare il dibattito svoltosi due giorni prima in Consiglio comunale sulla mozione presentata dal consigliere Sacripanti per chiedere le dimissioni dell’assessore regionale all’ambiente Fernanda Cecchini. Volete commentare anche voi quanto accaduto in Consiglio? Il mio pezzo “Titolo della pièce ‘La discarica delle parole’. Si recita su copione” si può leggere al seguente indirizzo: http://orvietosi.it/2016/01/titolo-della-piece-la-discarica-delle-parole-si-recita-su-copione/”
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
La lettura del dibattito consiliare sulla richiesta di dimissioni dell’assessore regionale all’ambiente Fernanda Cecchini avanzata con una mozione da Andrea Sacripanti quale primo firmatario, non posso negare che anche in me ha generato un senso di fastidio e lasciato un velo di tristezza.
Quello che colpisce subito, ha ragione il Direttore, è la recita, peraltro approssimativa e moscia, di un copione adattabile a mille altre situazioni, implicita denuncia dell’inconsistenza della cosa stessa, deviazione palese dalla sostanza delle questioni vere che, pur accennate di sfuggita da qualcuno, sono rimaste tuttavia sullo sfondo.
Che senso può avere una proposta di dimissioni di un assessore regionale formulata da un consiglio comunale, qualunque esso sia e di qualunque assessore si tratti, quando è chiaro a tutti che né può essere approvata (una maggioranza che la lasciasse passare dovrebbe essere cacciata via da qualcuno per incompetenza) e né, se per caso approvata, può essere praticata?
Forse un puro esercizio di politica identitaria della minoranza rispetto alla maggioranza. Ma in questo caso non si tratterebbe nemmeno di un peccato di ripetizione di schemi consunti, quanto piuttosto di vocazione al nulla di che. O forse una ‘maschia’ (chissà, si potrà ancora usare una simile aggettivazione?) esibizione di muscoli virtuali per mettere con le spalle al muro il sindaco e la sua maggioranza? Ma allora ben diverso avrebbe dovuto essere l’atteggiamento in consiglio e soprattutto ben diversa l’impostazione della battaglia, peraltro non da oggi.
Dico questo perché, essendo il mio animo ben disposto nei confronti di Andrea Sacripanti, non voglio credere che la sua iniziativa e la discussione che ne è seguita siano frutto davvero della volontà di mettere sul piatto della presidente Marini una delibera di consiglio con richiesta di dimissioni dell’assessore Cecchini quale ritorsione per le dichiarazioni rese a proposito dell’ampliamento della discarica di Le Crete. In altri termini non voglio nemmeno credere che siamo arrivati al punto di non avere più contezza del dovere istituzionale di evitare il ridicolo.
Sinceramente, questo spettacolo comunque mi intristisce. E sia chiaro, la maggioranza per questo ha fatto la sua parte! Se la minoranza, coma ha detto qualcuno, strumentalizza, la maggioranza che fa? Balbetta. L’unica cosa che anche da quella parte è venuta fuori è la contrarietà all’ampliamento della discarica. Ma l’alternativa quale è? Basta dire “Ah, se nel passato avessimo fatto quello che dovevamo fare!”? No, non basta, perché come minimo si avrà il diritto di chiedere: “E perché non lo avete fatto, visto che c’eravate, eravate voi che comandavate, lo sapevate e comunque vi è stato detto in tutte le salse?”. Basta dire e poi ripetere “Vai con la raccolta differenziata”? No che non basta!, la raccolta differenziata non solo, come si è visto, non si organizza in un giorno, ma quella seria fa parte di un piano, di un ciclo. Ma dov’è il piano?
Il dibattito avrebbe potuto essere credibile se, invece di pensare alle dimissioni dell’assessore Cecchini, ci si fosse presentati sfidando l’assessore e il presidente della giunta regionale a recepire nel piano regionale dei rifiuti (PRR) un ruolo del territorio orvietano come luogo di una gestione industriale del ciclo dei rifiuti avanzatissima, culturalmente, scientificamente, tecnologicamente, nel quadro di una seria e lungimirante politica ambientale e industriale, appunto dimostrando che si può fare politica ambientale e insieme politica industriale, si può avere una visione strategica del futuro e insieme risolvere problemi urgenti del presente. Ma questo richiede visione prospettica, studio, coraggio politico. E strategia di investimenti produttivi e occupazione. E battaglia culturale. Progetto contro lamento. E partecipazione vera, di tutti e non di gruppetti. Si sarebbe dovuti andare a vedere quello che fanno altri, a vasto raggio, alla ricerca del meglio. E tanto altro.
Si sarebbe dovuto discutere nell’ottica del dovere di accountability (obbligo per la pubblica amministrazione di render conto delle proprie decisioni assumendosene la responsabilità, dimostrando anzitutto di aver valutato attentamente i pro e i contro di una decisione in base a criteri oggettivi e non a mode, sensazioni, interpretazioni soggettive, piccoli interessi e assimilati) che oggi è sempre più diffuso in Europa e nel mondo e in diversi settori delle istituzioni pubbliche è da tempo praticata, almeno da alcuni, anche nel nostro Paese. Cioè si sarebbe dovuto fare un confronto teso a cercare la migliore soluzione per quello che oggettivamente è uno dei problemi di fondo della nostra area. Tenendo anche presente che non è disdicevole proporsi come territorio che compartecipa a vicende più larghe, regionali e nazionali con una sua specifica capacità di iniziativa.
No, non è solo cattiva recita. È politica di un certo tipo. Però non è l’unica possibile. È semplicemente quella che si fa oggi. Almeno diciamolo!
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Ho cercato per una vita di capire che gusto ci sia a fare il consigliere comunale e non ho mai trovato una risposta. Eppure quella riposta l’ho cercata anche nei 40 anni che ho trascorso nelle aule consiliari come segretario e, per 19 anni, anche come consigliere. Allora mi sono convito che una risposta non ci sia. C’è il fatto che gente, spesso normale, ci prova gusto e altra gente, spesso normale, che preferisce trovarsi altrove. Eppure uno, quando sta seduto in un’aula consiliare, ci provi gusto o no, sente il dovere di fare ciò che è bene per la città e di tutelare la propria dignità. Il comportamento stigmatizzato dal Direttore Freddi dimostra che in alcuni consiglieri comunali il senso del dovere e la considerazione della propria dignità sono piuttosto deboli. Ciò è dovuto a una sfavorevole congiunzione degli astri o c’è un motivo concreto? La mia impressione è che il contesto nazionale, quello regionale e quello comunale, impegnati più nell’incombenza di ripianare debiti che d’immaginare e creare un futuro allettante, abbiano un effetto deprimente. Ciò nonostante non sono pessimista perché le depressioni collettive hanno carattere ciclico e c’è sempre il sole sopra alle nuvole.
La proposta di Barbabella a Leoni
Il Presidente spara cannonate contro la burocrazia, ma la riforma è una cosa un po’ più difficile
«Un buon passo avanti», l’ha definito il presidente del Consiglio dei ministri. Dei primi dieci testi di riforma amministrativa conosciamo i titoli e la direzione di marcia, che è quella giusta, nel segno della semplificazione.
Il «piatto forte» della riforma deve ancora venire. È la nuova disciplina della dirigenza (per ora ci si è limitati ai dirigenti sanitari, con una soluzione di compromesso), per la quale si deve uscire dal vicolo cieco del sistema di patronato politico imboccato alla fine del secolo scorso, aprendo nuovi canali di promozione a «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi» (è uno dei sogni costituzionali rimasti inattuati). …
E deve ancora venire il coinvolgimento della pubblica amministrazione nell’opera di riforma. Come osservò qualche tempo fa un acuto osservatore francese, noi italiani mettiamo troppa enfasi sul testo: fatta la legge, pensiamo che sia fatta la riforma. Perché i buoni intenti legislativi e governativi divengano realtà, occorre una cabina di regia, la preparazione della burocrazia al cambiamento, un accurato monitoraggio dell’attuazione e dei risultati, la segnalazione dei punti da correggere. Le riforme amministrative non si compiono da un giorno all’altro, con una sola decisione. …
(Sabino Cassese, I burocrati e il passo che manca, Corriere della sera, 23 gennaio 2016)
La grande illusione dei riformatori della pubblica amministrazione, da Franco Bassanini in poi, è che l’imitazione delle tecniche dell’impresa privata porti maggiore efficienza (più razionale impiego delle risorse) e maggiore efficacia (migliore conseguimento degli obiettivi). Non si è tiene conto della differenza dei valori in gioco nel settore pubblico e in quello privato. L’imprenditore privato è proprietario della propria azienda e il suo scopo è il profitto. Anche quando egli sia un grande benefattore e viva come un monaco, non può che mirare al profitto, altrimenti l’azienda langue, non si ricapitalizza e poi fallisce. L’amministratore pubblico non è proprietario dell’azienda pubblica, non ha il compito di fare profitto, ma di soddisfare interessi pubblici procedendo su una corda tesa tra gli obiettivi della politica e il consenso del corpo elettorale. Un dirigente pubblico che si comporti come un amministratore delegato non può esistere, neanche a pagarlo oro. Non si può accollare al dirigente pubblico l’onere di assumere dei rischi, come la scelta di un appaltatore o di un fornitore, perché le pubbliche gare, nonostante siano spesso dei riti esoterici taroccati, sono un tabù imprescindibile. Non si può accollare a un dirigente pubblico l’onere di licenziare i fannulloni, perché, se i fannulloni impugnano il licenziamento e vincono la causa, il dirigente deve rifondere i danni all’amministrazione; ma nessuno lo premia per i fannulloni di cui riesce a liberare definitivamente l’ente per il quale lavora. Quindi i se i politici, se decidono veramente di levarsi dai piedi in 48 ore i furbetti del cartellino, dovranno licenziarseli da soli.