La proposta del direttore Dante Freddi
Problemi della gravidanza in affitto. Un caso emblematico negli USA. Che fare?
New York. Quando a novembre Melissa Cook ha raccontato la sua vicenda di madre surrogata che non voleva abortire uno dei tre figli che portava in grembo, come da richiesta del padre committente, la cosa ha fatto un certo rumore. Associazioni si sono scatenate, avvocati hanno discettato, femministe hanno tentennato… Anche l’innominato uomo che è della Georgia e che in questo affare ci ha messo sperma e denaro, dice il suo avvocato, è molto preoccupato per la salute dei tre bambini, e vorrebbe farne fuori uno finché c’è tempo per massimizzare la possibilità di averne due in salute. La madre surrogata dice invece che è più preoccupato di altri aspetti, innanzitutto la situazione finanziaria.
[IL FOGLIO QUOTIDIANO, 9 gennaio]
L’Opinione di Franco Raimondo Barbabella
Tutto ciò che riguarda il tema della procreazione va trattato con particolare attenzione sia agli aspetti generali dei valori e dell’organizzazione sociale che a quelli particolari delle persone che ne sono coinvolte. Qui infatti entrano in gioco orientamenti valoriali, questioni di diritto privato, drammi già consumati e aspettative di vita, bisogni impellenti e slanci d’amore. Cose complesse, problemi che la legislazione può risolvere solo in parte, essendo troppe le variabili che entrano in gioco nei casi reali.
La questione dell’utero in affitto lo dimostra ampiamente. Laddove, come in molti Stati USA, la legislazione lo consente, sicuramente il legislatore ha cercato di risolvere i problemi di persone che non potevano avere figli secondo i canoni naturali, con riferimento alla storia e alla cultura costituzionale del luogo. In questo caso la Costituzione americana, che tra gli altri principi contempla il diritto alla felicità, e la cultura giuridica fondata sull’utilitarismo, che tra l’altro contempla il diritto ad avere e soddisfare desideri. E io aggiungo meglio il coraggio della trasparenza che l’arte dell’arrangiarsi o di lasciare le persone a macerarsi l’animo in solitudine.
Dunque non sento di potermi scandalizzare perché da qualche parte del mondo, dove è legale la fecondazione eterologa, che una donna ospiti a pagamento embrioni altrui e faccia crescere nella propria pancia figli che poi non dovrà e non potrà allevare. So bene che gli Stati possono legittimamente legiferare e che poi le persone possono scegliere di fare o di non fare ciò che la legge consente, in base a valutazioni proprie, bisogni e istinti.
Ciò che tuttavia mi fa riflettere è il fatto che anche in vicende come queste, in cui tutti gli aspetti positivi della vita dovrebbero trovare lo spazio ottimale di autoesaltazione, emergano invece gli aspetti miserrimi di un’umanità sbandata. Non mi riferisco alla signora Cook, ma al committente, che vorrebbe soppresso uno dei tre gemelli, non importa che il motivo sia uno o un altro.
Che ci siano motivi sufficienti per chiedere e per accettare la pratica dell’utero in affitto dunque ci può stare. Ma non ci può stare che tale pratica prenda la strada della più ovvia e brutale logica di mercato. Ci sono modi per evitarlo, e mi auguro che, nel rispetto delle libertà fondamentali delle persone, si faccia ciò che è necessario perché venga tutelato sempre prioritariamente il diritto del soggetto più debole, in questo caso il nascituro. Io credo che ci siano già troppi segnali che indicano il degradare nella mentalità comune del significato di essere umano. Mi pare che il comportamento di quel tizio faccia parte di questi segnali.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
In materia di procreazione umana, il tentativo di conciliare la carta dei valori laica con quella cristiano-cattolica mi sembra molto difficile, per non dire impossibile. È già successo con l’aborto volontario, in merito al quale l’éscamotage dell’obiezione di coscienza non ha sedato, né in Italia né in America, il contrasto frontale tra abortisti e antiabortisti. Sta succedendo in America con la legge che regola il cosiddetto utero in affitto, precorritrice di una legge che la laicità globalizzata, come è successo per il divorzio e per l’aborto, imporrà anche in Italia. Per i cattolici, le coppie che non possono avere figli dovrebbero dedicare la naturale propensione alla maternità e alla paternità ai figli degli altri, mediante l’adozione o altre forme di responsabilità, o, in genere, a chi ha bisogno. Per quanto riguarda l’utero in affitto, in cui la procreazione diventa oggetto di un contratto di diritto privato, il giudice, in caso di contrasto tra le parti, non può che applicare la regola basilare dell’interpretazione del contratto, che si basa sulla volontà delle parti. Dove le parti sono la donna titolare dell’utero e colui (o colei) che l’ha preso in affitto. Il feto (o i feti) non hanno voce in capitolo perché, nella visione laica, non sono persone e quindi non possono essere parti in un contratto. La visione laica non è arrivata ancora a dire che i dementi non sono persone, perché si ribellerebbero coloro che emotivamente sono loro legati, ma secondo la ragione umana non sottomessa a un Dio che si è rivelato, il demente vale molto meno di un feto sano. La Chiesa cattolica si è molto data da fare per convertire tutta l’umanità, ma finora c’è riuscita solo in parte. E questa parte è minoritaria.
La proposta di Barbabella a Leoni
Angelica e la nutria Mariah
“Il mondo inizia a girare alla rovescia alle dodici di un 26 dicembre da brividi sui Navigli di Milano. Seduta a un tavolo dell’ Osteria del Pallone sorseggio il mio aperitivo analcolico insieme a una nutria gigantesca di nome Mariah. Lei mi guarda. Io la guardo. Unghie affusolate strette attorno a una fetta di pane abbrustolito, incisivi rossastri e diabolici che sminuzzano fino all’ultima briciola sul piattino, mentre lunghi baffoni bianchi si allungano intrepidi inseguendo gli effluvi di una pizza appena sfornata.
Angelica e Mariah. O dovrei dire “non c’ è Angelica senza Mariah”?
«Siamo inseparabili da tre anni. L’ ho trovata che aveva sei mesi e giaceva moribonda nel cortile di un caseggiato. Era precipitata da un muro di cinta altissimo e si era spezzata la colonna vertebrale e gli incisivi davanti, nessuno dei volontari del canile sapeva cosa fare perché si muoveva velocissima ed era incazzosissima, hanno chiamato me che sono guardia zoofila e amo alla follia ogni tipo di topo e roditore».
Non mi dire… te la sei portata a casa?
«Prima a Gaggiano, dove c’ è un grosso centro che fa piani di sterilizzazione. Poi a Lodi, dove un medico esperto le ha fatto risonanza, radiografia e tac. È stato lui a dirmi che pur avendo la colonna spezzata il midollo passava e non avrebbe rischiato occlusioni intestinali».
E lei ha scelto te.
«I primi giorni sono stati durissimi. Ho sempre avuto la casa e la vita piena di topi e ratti ma con lei ero disperata, non sapevo che fare. Poi a un certo punto le ho detto “senti Mariah, se andiamo avanti così non ti posso aiutare” e lei ha capito. Ha lasciato che la nutrissi con gli omogeneizzati perché aveva gli incisivi spezzati e poi, a poco a poco, ha iniziato a fidarsi. L’ ho trovata il sabato e il mercoledì stava già in braccio a me che si faceva fare i massaggi ai piedini con la pasta di Fissan».
Quanto vive una nutria?
«Da sei mesi a due anni. Quelle domestiche 4 o 5 anni».
La tua ne ha 3. Non voglio sembrarti cinica ma tra poco…
«E adesso mi chiederai se immagino una vita senza di lei. No, non la immagino. Giravo con un ratto domestico sulle spalle, poi ho scoperto le nutrie e ho trovato la mia missione nella vita».
Che sarebbe?
«Quella di cambiare le cose, convincere le persone che le nutrie non sono quegli animali orrendi che noi crediamo. Io guardo Mariah e penso sia bellissima».
Ho letto che lavori in una nota catena di fast food. Non sei un po’ a disagio con Mariah quando torni a casa la sera?
«È cominciato tutto per caso e quando mi hanno assunta ero vegetariana, non ancora vegana. Poi ho iniziato a far carriera, un passo dopo l’ altro e alla fine sono vicedirettore».
Un modo carino per lavarsi la coscienza.
«Ognuno di noi fa compromessi nella vita e io posso assicurarti che il mio stipendio va tutto per la salvaguardia degli animali».
Hai figli?
«I bimbi non mi sono mai piaciuti, mi disturbano, mi stressa molto più un bimbo che piange di un cane che abbaia per ore. Non voglio sminuire l’ importanza dei figli ma riesco a instaurare un rapporto migliore con gli animali. Se io potessi fare un figlio sapendo già che uscirà nutria o topo sarei felice».
Dai, stai scherzando.
«Ascoltami. Io accudisco le mie nutrie come figli e sacrifico tutto per loro. Detto questo preferirei adottare un bimbo e salvarlo da una vita di sofferenze che farne uno mio per puro egoismo».
Mariah annuisce mentre raccattiamo le nostre cose e mi accorgo che la puzza che sentivo non era lei ma il tipo che sedeva alle mie spalle.E fuori dal locale la magia ricomincia: i bimbi accorrono a frotte, le signore chic si prodigano in sorrisi e salamelecchi. Finché un omone grosso ci ferma e domanda: “questa cosa cos’ è?”, “Una nutria” replica Angelica. “Una nutria? Ma perché?”.
Appunto. E il mondo torna a girare come sempre.
(Simona Bertuzzi, Convivo con una nutria. La mia missione per farle amare, Libero, 6 gennaio 2016)
Amo moltissimo gli animali. Ho avuto anche un breve incontro con una nutria domesticata a Losanna, sul lago Lemano. Quindi non mi scandalizzano quelli che considero eccessi nel rapporto affettuoso con gli animali. Però mi domando perché tali eccessi esistono. Da parte mia posso arguire che gli animali rispondono a quell’intenso e sconfinato bisogno di dare amore e di essere ricambiati, che è tipico degli esseri umani. Gli animali, coi loro comportamenti istintivi, cioè senza malizia, compensano la difficoltà nei rapporti d’amore tra esseri umani. Quindi l’amore per gli animali può essere sostitutivo (aspetto negativo) di quello tra esseri umani, ma può anche essere formativo (aspetto positivo) nei rapporti umani. E poi c’è un aspetto culturale che si è intensificato nelle società più ricche del pianeta, come è la nostra, nonostante i piagnistei sulla crisi: la crudeltà con cui sono trattati gli animali allevati e soppressi per la nostra alimentazione o torturati per le nostre sperimentazioni scientifiche, il ribrezzo che sempre più provocano gli allevamenti, i mattatoi e i laboratori dove si fanno esperimenti sugli animali hanno messo in crisi la tradizionale concezione dell’uomo padrone, signore e arbitro della natura. Peraltro la stessa scienza, che fino a qualche anno fa esaltava la nobiltà e indispensabilità delle proteine animali, sta dimostrando non solo che si può vivere senza mangiare carne, ma che essa è gravemente patogena e antieconomica. Perciò le sdolcinatezze verso gli animali mi urtano e non mi offrono alcuna garanzia di altrettanta delicatezza nei confronti degli umani, però mi inquietano molto meno della insensibilità e della crudeltà verso questi esseri che, in fondo, sono nostri, più o meno lontani, cuginetti.