Che qualcuno abbia ancora la pazienza di dedicarsi all’amore, in questi tempi asfittici, sembra già un esercizio desueto. Che qualcuno decida di dedicarsi all’amore utilizzando la poesia appare addirittura inverosimile. Viviamo un tempo costruito al contrario, i valori su cui la nostra letteratura ha costruito un pezzo di civiltà della galassia sembra dissiparsi ogni giorno in processi di povertà lessicale che lasciano spaesati quelli – anche io, tra questi – che hanno deciso di non cedere alla tecnologia lo spazio del cuore. Scrivere di poesia non è più l’impronta di un’intelligenza che viene dall’anima, scrivere di poesia è una caparbia affermazione di esistenza. Un poeta cileno, non abbastanza conosciuto (del resto è un poeta, perché qualcuno lo dovrebbe conoscere?) Roberto Bolano, ha scritto pagine mirabili sul talento dei poeti “Nessuno al mondo è più coraggioso di loro. Nessuno al mondo sa affrontare il disastro con più dignità e lucidità. Sono dei deboli, all’apparenza, lettori di Guido Cavalcanti e Arnaut Daniel, lettori del disertore Archiloco che attraversò un campo d’ossa, e lavorano nel vuoto della parola, come astronauti perduti su pianeti senza via di scampo, in un deserto dove non ci sono lettori né editori, solo costruzioni verbali o canzoni idiote cantate non da uomini ma da fantasmi. Nella categoria degli scrittori, sono il gioiello più grande e meno ricercato.” Per questo, quando ho iniziato a sfogliare con la curiosità del neofita le pagine del volume di Mario Tiberi, che gioca con le parole costruendo un affresco scomposto eppure pieno di armonia, ho subito pensato a come si possa vivere, oggi, da poeti.
Mario Tiberi vola attraverso corpi di donna che somigliano alla primavera per approdare a racconti bucolici, tanto verosimili da risultare immaginabili come l’affresco di una vita che è stata nostra, e lo fa con un entusiasmo, una rabbia, un coraggio, una veemenza che mi hanno fatto ricordare quanto si collochi oltre lo spazio la volontà dei poeti.
E se non avessi avuto nella vita il tempo e la fortuna di conoscerlo di persona ed apprezzarne la generosità con cui si dona al mondo, avrei immaginato Mario Tiberi come una creatura dibattuta negli entusiasmi dell’adolescenza. Perché in questo libro l’amore è raccontato con entusiasmo, senza pensare ai rischi che si corrono quando ci si mette a nudo davanti ad una platea dove tutti sanno chi sei.
Io, fossi in voi, questo libro lo leggerei. Lo leggerei per leggerezza e per rabbia, lo leggerei per amore o per odio, lo leggerei per non farmi scappare la possibilità di ricordare che non è vero che siamo diventati cibernetici. Che i giocolieri della parola esistono, sono pieni di passione e non hanno il tempo di invecchiare. E certe assonanze con un linguaggio antico, le donzelle, l’immenso amor sono un patrimonio che ci appartiene, e che passa attraverso la penna di chi ha fatto tesoro del passato dei grandi. Il cuore ha perso un battito, quando lo sguardo si è posato su verso eroico e languido, proprio di Guido Cavalcanti che Mario Tiberi richiama, uno di quelli che mi sono più cari: Perch’i’ no spero di tornar giammai. Io se fossi in voi, anche solo per tornare ragazzo, questo libro lo leggerei.