La proposta del direttore Dante Freddi
I nomi delle strade si possono cambiare a piacimento?
“I nomi delle strade sono un deposito della memoria. C’è sì un’abbondanza di santi, di protagonisti del Risorgimento, di musicisti, pittori, scultori, benefattori ma, se guardate bene, non vi sfuggiranno le vie dedicate a donne e a uomini che hanno governato lo Stato e rappresentato la nazione. Nomi e cognomi che rappresentano una storia. Anzi, la storia d’Italia. Spesso si tratta di storie che dividono. L’unità italiana venne raggiunta contro i cattolici, i primi governi post unitari si mossero abbondando in baionette e palle di cannone contro socialisti e repubblicani, De Gasperi venne a lungo ritenuto indegno di guidare il Paese – ‘il re dei forchettoni’, urlava la propaganda comunista -, Togliatti un esecutore degli ordini di Mosca e per giunta finanziato da Mosca, per tacere il ruolo avuto nell’Unione Sovietica delle purghe staliniane.
Cosa facciamo? A seconda di chi vince le elezioni comunali rivediamo larga parte della toponomastica italiana? Oggi abiti in via Rossi, cinque anni dopo in via Neri e dieci dopo di nuovo in via Rossi? O non dovremmo finalmente imboccare la strada maestra riconoscendo, come deve essere, dignità di statisti anche a coloro dei quali abbiamo combattuto le idee, ma che si sono rivelati importanti nel rendere l’Italia più civile, più libera e più autorevole nello scacchiere internazionale?
Lo dico ai sindaci democratici di Lissone e di Loceri che stanno conducendo una campagna per cancellare il nome di Bettino Craxi da due piazze dei loro comuni. Adottando quel criterio, ciascuno di noi potrebbe obiettare su una quantità di intitolazioni (o di mancate intitolazioni), addirittura sull’uso di alcuni santi che ebbero vite travagliate prima di raggiungere la gloria. Sarebbe un errore. Un gravissimo errore. I francesi, nonostante i morti provocati dalla rivoluzione in Vandea e altrove, non si sono mai sognati di rinunciare a una parte straordinaria della loro storia infissa nelle strade e nelle piazze. Sarebbe come togliere a Saramago il premio Nobel per la letteratura perché inneggiò al regime castrista che deteneva ingiustamente nelle carceri cubane un certo numero di dissidenti. Resta comunque un grande scrittore!” (Riccardo Nencini, Saltimbanchi, Avanti! del 15.12.2015)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
La toponomastica stradale, cioè la denominazione di strade, piazze e altre aree pubbliche di circolazione non solo è destinata ad avere a che fare con la storia, ma ha una sua storia. La toponomastica ha assunto particolare importanza con lo Stato moderno, nel suo assetto fissato dalle normative napoleoniche, per la sua importanza ai fini di una capillare organizzazione dello Stato. A fisco, leva militare, controlli di polizia e servizio postale sono necessari la registrazione di dove le persone dimorano. Il nome della località (città, paese, villaggio, ma anche denominazione dell’area agricola), il nome della via e il numero civico sono elementi di cui lo Stato moderno ha bisogno, con l’eccezione del Giappone. Come dire che non tutto ciò che è utile è anche indispensabile. Ciò detto, è bene che la toponomastica cambi il meno possibile, e che le nuove strade siano denominate senza indugio. La procedura per le intitolazioni è arcaica, controversa e poco rispettata. La competenza a deliberare appartiene alla Giunta comunale, ma sovente il Consiglio, invece di limitarsi a regolamentare la materia, provvede direttamente. La deliberazione non è efficace se non approvata dal Prefetto, ma sovente i Comuni “dimenticano” di chiedere l’approvazione prima di affiggere targhe e celebrare inaugurazioni. Il Prefetto dovrebbe chiedere il parere (non vincolante) della Deputazione regionale di Storia Patria. Ma è dubbio se le Deputazioni, da quando il ripristinato regime democratico restituì alle Deputazioni l’autonomia, siano state sostituite dal Ministero della Pubblica Istruzione (oggi dei Beni Culturali) o da nessuno. In questo marasma, è bene che i consigli comunali regolamentino la materia facendo assistere la Giunta da una commissione di storici sia locali che non locali. È un modo per non fare cose affrettate, data la proverbiale pigrizia delle commissioni, specialmente se composte da persone che non ci guadagnano niente. Una commissione di storici, inoltre, si sarebbe ribellata alla soluzione botanica ideata per Ciconia e a quella fluviale applicata a Sferracavallo.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Ma certo, ha ragione Riccardo Nencini a denunciare questa operazione delle amministrazioni comunali di Lissone e di Loceri, uno in Brianza e uno in Sardegna, unite dalla voglia di cancellare da due loro piazze il nome di Bettino Craxi. L’assessore alla comunicazione e alla viabilità del comune di Lissone, Roberto Beretta, ha detto al Corriere della sera che vuole farlo al più presto, nonostante i dubbi del prefetto sul cambio di una intitolazione che risale appena al 2011, aggiungendo che si tratta di una decisione che ha “un valore simbolico”. Voleva dire che è una decisione di squisita natura politica, cioè un atto con cui colpire avversari (in questo caso i socialisti) svalutando la figura di un uomo-simbolo come Craxi. Gli amministratori di Loceri probabilmente agiscono con lo stesso scopo e con le stesse motivazioni.
Si tratta di dinamiche politiche di bassissimo profilo, indice del degrado del nostro Paese, diffuso ormai dai grandi (Lissone, oltre 40.000 abitanti) ai piccoli (Loceri, manco 2.000 anime) centri. Degrado vero, culturale e morale. L’idea che dappertutto ci possa essere chi si senta legittimato ad ergersi a giudice di personaggi storici, la cui vicenda umana e politica non è ovviamente etichettabile con giudizio sommario, è semplicemente insopportabile per chiunque abbia a cuore tanto la verità storica quanto un clima di serena e produttiva convivenza civile. Dico di più, dovrebbe spingerci a reagire decisamente per opporci, indipendentemente dalla nostra ispirazione ideale, al governo dell’ignoranza e del moralismo interessato. Comunque sia, credo che questo sia l’aspetto più preoccupante di simili fatti, che non sono certo riducibili a semplici disfide paesane condotte a ‘targate’ sulla faccia degli avversari.
Per altro verso, sono invece convinto che nei modi dovuti, con fondamento culturale e con motivazioni solide, riferite sia al passato che al presente, il cambio di intitolazione di vie e piazze sia legittimo e opportuno. È il caso ad esempio dell’intitolazione di una via importante della nostra città a Ermanno Monaldeschi della Cervara, una proposta affidatami oltre dieci anni fa da Jader Jacobelli, che tempestivamente tradussi in mozione che il Consiglio comunale approvò all’unanimità. Essa legava, appunto nel nome di un grande personaggio storico, il passato al presente mediante un’operazione di rivisitazione della toponomastica della città in funzione della sua valorizzazione culturale e della sua fruibilità turistica. Non se ne è fatto nulla, e credo che a questa lunga e arrogante inadempienza non sia stata e continui a non essere estranea una permanente ostilità ideologica nei confronti di quel personaggio. Ostilità frutto di ignoranza storica e pregiudizio ideologico.
Qui dunque non si è trattato di cancellare ma di mettere un nome, scomodo magari per qualche testa confusa, ma anche utile per chi preferisce non muovere paglia per paura che qualcuno alzi la voce. Situazioni rovesciate, risultati simili. Cose tristi di un Paese incosciente e menefreghista del suo impoverimento, culturale e civico prima ancora che economico. Senza memoria, una civiltà non può né considerarsi né essere tale.
La proposta di Leoni a Barbabella
Coltivazione della canapa: perché Orvieto tarda a far tesoro della ricerca di Santina Muzi? L’esempio di Monsano (AN).
La Vallesina, compreso Monsano, aveva una grande tradizione nella coltivazione della canapa fino alla metà del secolo scorso. Le note vicissitudini dell’industrializzazione e gli interessi dell’industria petrolifera hanno cancellato questa coltura e molte esperienze sono andate perdute. Quando si parla di canapa si pensa subito alla marijuana, ma in pochi sanno che questa pianta così versatile in molti casi può perfettamente sostituire il petrolio, ad esempio per quanto concerne la produzione di carburanti e materie plastiche, oltre a rappresentare nel contempo un’alternativa ecologica al cotone per la produzione di fibre tessili, una risorsa alimentare da non sottovalutare ed una materia prima adatta per la fabbricazione di carta e di materiali per l’edilizia.
Alla luce di ciò il Comune di Monsano (AN) ha adottato una proposta de i GRE delle Marche, che sono la sezione marchigiana dei Gruppi di Ricerca Ecologica, per favorire la diffusione dei prodotti a base di canapa e dunque la sua coltivazione fondando Monsano Borgo della Canapa. Più borghi votati alla produzione di canapa costituiranno una Città della Canapa digitale.
Nel comune che si trova nella Vallesine, dove la canapa ha un forte valore culturale e tradizionale – per incominciare sono stati coltivati nel 2015 a canapa poco più di 10 ettari. L’idea è quella di riunire i coltivatori, i trasformatori e i commercianti per fare rete e puntare sui derivati dalla canapa prodotti in loco e provenienti da altre aziende artigiane, con la convinzione che possano dare un valore aggiunto anche dal punto di vista turistico. Un piccolo centro dove poter comprare alimenti, vestiti, tessuti, scarpe, carta, materiale per bioedilizia e tutto ciò che con la canapa possa dunque attrarre turisti e curiosi e dare stimolo a tutto il settore. (http://comunivirtuosi.org/)
L’opinione di Barbabella
Si tratta di un argomento di cui Pier Luigi mi ha parlato più di una volta con parole entusiaste che riassumerei così:
“L’argomento mi piace perché è di una concretezza sfacciata. Non mancano le idee in Orvieto, manca la solerzia, che invece non manca ai Marchigiani. Nel Medioevo le funi di canapa e il vino erano i principali prodotti esportati da Orvieto. Le funi di canapa (comprese quelle orvietane) determinarono la supremazia delle flotte cristiane sulla flotta turca, che adoperava funi di pelo di cammello, molto più grosse e pesanti (essendo le setole del cammello molto più corte delle fibre della canapa). Fino alla seconda guerra mondiale la canapa era largamente coltivata nell’Orvietano. Poi sono arrivati le fibre sintetiche e il cotone a prezzi stracciati. Ma la lunga fibra della canapa è più pregiata del cotone e vari sono gli impieghi della canapa. Basterebbe agevolare fiscalmente l’uso dei pannelli isolanti di canapa nell’edilizia per promuovere la coltivazione della canapa e l’industria dei pannelli. Se gli amministratori orvietani meditassero sul libro della concittadina Santina Muzi e s’informassero su ciò che si sta facendo nelle Marche, forse potrebbero essere presi dal desiderio di darsi una mossa.”
Io condivido senza riserve queste considerazioni di Pier Luigi, e non mi sembra necessario aggiungere molto altro. Dico solo che questa idea, come altre di portata simile, per essere trasformate in strategia di cambiamento richiedono nel potere pubblico e nella società una lucida capacità progettuale e un coraggio di scelte lungimiranti che al momento dalle nostre parti non mi pare siano di casa.