La proposta del Direttore Dante Freddi
Cari Barbabella e Leoni, ci dite di “Comunità in Movimento”?
“La Comunità è in movimento per dove? Dove la vogliono portare Leoni e Barbabella? con chi?” (Dante Freddi)
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Rispondo alle domande del nostro amico direttore subito dopo la prima uscita pubblica di “Comunità in Movimento”, che considero un bel successo sia per la qualità delle relazioni e degli interventi non programmati che della partecipazione del pubblico. Il Direttore può eventualmente confermare o smentire, dato che era personalmente presente. Ovviamente non posso dire cose diverse da quelle che ho appena detto in quella sede, ma sono prioritariamente necessari alcuni chiarimenti.
Il primo è che il termine ‘Comunità’ è sia singolare che plurale, e come tale assomma in sé sia le particolarità che le interrelazioni di ciascuna con le altre, in orizzontale e in verticale. Il secondo chiarimento è che questo tentativo non porta la firma di sole due persone, ma è davvero un bell’esperimento di costruzione plurale. A dire il vero, come sa bene anche il nostro amico direttore, tra i tentativi di costruzione plurale questo non è certo il primo, perché dovremmo annoverarci senz’altro il COVIP. Questo però nasce spinto da condizioni molto diverse.
Oggi, infatti, non si tratta di dimostrare che i diversi possono collaborare per il bene della comunità (quante volte è stata presente nei nostri discorsi questa parola, così importante, così concreta!) nella quale viviamo, che si è impantanata nell’acquitrino dell’anatra zoppa. Oggi le urgenze sono altre: in un mondo che cambia così rapidamente e in cui si stanno affermando linee di tendenza neocentralistiche e un esercizio del potere potentemente verticistico, non ci si possono più permettere le meline che allora, al tempo della nascita del COVIP, impedirono il successo della linea collaborativa tra i due schieramenti contrapposti che noi avevamo immaginato e che ad un certo punto, fino ad un certo giorno alle tre del pomeriggio, sembrava cosa fatta.
La politica verticistica e neocentralistica, che si espande a macchia d’olio dal centro alla periferia, mentre irrigidisce le classi dirigenti in piccole cerchie in lotta tra loro e nel contempo le une alle altre subordinate, impedisce che nei territori si sviluppino confronti costruttivi su progetti di crescita con utilizzo razionale delle risorse.
Le comunità allora si devono mettere in movimento, perché non si può assistere passivamente a questo vero e proprio massacro delle opportunità e al riproporsi con prepotenza della logica delle aree centrali che emarginano quelle periferiche. La piega che sta prendendo la questione della macroregione dell’Italia centrale è emblematica dell’arroganza e insieme della miopia di una classe dirigente che non si rende più conto che le riforme istituzionali o coinvolgono le comunità o non esistono proprio.
La Comunità è in movimento per dove? La nostra intendo, in questo caso. Noi vorremmo che si mettesse in movimento per affermare i suoi diritti ed esercitare i suoi doveri e la smettesse di accettare, il più delle volte manco mugugnando, le politiche che ci hanno massacrato e umiliato. Non le cito, mi vergogno solo a ricordarle. Vorremmo che ci si decidesse a reimpostare le linee essenziali delle scelte strategiche, non solo in un confronto aperto con la comunità stessa, ma in relazione con le più accreditate conoscenze tecnico-scientifiche e le migliori esperienze pratiche. Vorremmo che il lavoro per l’unità di territorio diventasse prioritario e fosse assunto come asse strategico di quella coraggiosa politica interregionale che in questa fase storica spetta necessariamente a tutte le aree cerniera.
Con chi? Con chi ci sta. Noi ci spenderemo, senza le illusioni degli autoelettisi salvatori del mondo, ma facendo di sicuro quello che è nelle nostre possibilità per discutere con scienza e coscienza di come affrontare le questioni fondamentali che nell’oggi preparano il futuro. Ne abbiamo dato un assaggio nel nostro primo incontro pubblico con le relazioni di Leoni, Giulietti e Petrangeli, e gli interventi non programmati di Franzini e Maravalle. Speriamo di poterne dare presto altra dimostrazione. Mi auguro che in molti ci capiscano e che aderiscano a questo nostro sforzo di aiutare la comunità a mettersi in movimento con occhi aperti e cervello lucido.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
“ … O forse non c’incontreremo mai, / ognuno a rincorrere i suoi guai; / ognuno col suo viaggio, / ognuno diverso / e ognuno in fondo perso / dentro i cazzi suoi.” Questi versi disperati di Vasco Rossi descrivono con poetica tenerezza la solitudine di chi ha perduto il senso della comunità; di chi si rifugia rabbiosamente nei propri sogni fregandosene dei sogni degli altri. È proprio per sfuggire a questo genere di disperazione che nascono associazioni come “Comunità in movimento”. C’è uno che lancia un segnale dalla propria solitudine alle persone che stima; alcune di esse rispondono; quindi s’incontrano, confrontano le loro idee, trovano una sintesi, si organizzano, si presentano alla pubblica opinione. Il tema che aggrega le persone di “Comunità in movimento” è il disagio delle comunità locali di fronte ai poteri costituiti, sia europeo che nazionale e regionale, che approfittano spudoratamente del loro silenzio. I poteri costituiti progettano i destini delle comunità locali, come tutori che consumano i capitali dei minorenni loro affidati, preoccupati della propria autoconservazione più che del bene dei propri assistiti. Ciò avviene perché le comunità hanno una voce flebile, perché i cittadini hanno subìto per alcuni secoli il lavaggio del cervello, essendo stati abituati a confondere la sovranità popolare con quella dello Stato. Quindi le comunità locali devono “svegliarsi”; magari “ri-svegliarsi”, facendo appello alla tradizione gloriosa delle libertà comunali, che rifondarono la civiltà italiana quando i poteri superiori erano allo sbando. E perché il risveglio avvenga alla luce di evidenze di interesse comunitario, la nuova associazione ha già individuato quattro urgenze su cui è necessario riflettere per agire consapevolmente e risolutamente: la riorganizzazione dei Comuni, la valorizzazione delle ricchezze culturali, la tutela dell’ambiente e la razionalizzazione delle iniziative nel settore energetico. Certo, si tratta di un’utopia. Mi piace citare, per trovare e trasmettere coraggio, un grande italiano: Adriano Olivetti. “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.”
La proposta di Barbabella a Leoni
L’Arca di Noè
“Il prossimo 7 luglio l’arca di Noè (ri)aprirà. A Williamsburg, Kentucky, l’organizzazione Answers in Genesis («Risposte nella Genesi») ha deciso di costruire una replica dell’imbarcazione biblica rispettandone le dimensioni «reali», e poiché all’epoca l’unità di misura era il cubito, la distanza tra pollice e gomito, diversamente interpretata, non è stato facile, ammettono gli ideatori, scegliere a quale parametro fare riferimento. … L’attrazione, costruita all’interno di un parco di tre chilometri quadrati per un costo di 92 milioni di dollari, è nata con un obiettivo preciso, dichiarato sul sito da Ken Ham, co-fondatore e portavoce di Answers in Genesis: «Mostrare al mondo il nostro punto di vista». Ovvero il creazionismo, l’idea secondo la quale l’Universo e l’umanità sono stati creati direttamente da Dio così come sono oggi e nella modalità descritta nei testi sacri. Per Ham, infatti — e, stando ai dati della società di ricerca Gallup, per circa quattro americani su dieci — la Bibbia è un testo da prendere alla lettera, all’interno del quale sarebbe descritta la scienza storica, fondata su avvenimenti accaduti e diversa da quella empirica, e fallace, basata invece sull’analisi dei fenomeni. … «Osserviamo le cose come sono oggi — ha dichiarato Ham — e assumiamo che siano state sempre così. Ma abbiamo un problema: noi, prima, non c’eravamo». Ergo: non possiamo dimostrare nulla. Per il fondatore di Answers in Genesis, quindi, l’arca non ha uno scopo religioso, bensì educativo. Nel parco non ci saranno predicatori, ma seminari e workshop pensati per le famiglie, oltre a ristoranti, negozi, merchandising a tema. Nel parco non ci sarà solo l’arca, che la prossima estate resterà aperta 40 giorni e 40 notti in memoria della durata del diluvio universale: per offrire un’esperienza «immersiva» della Bibbia, saranno costruiti anche una Torre di Babele, un villaggio dell’epoca e verrà rappresentata la vita di Abramo.” (Corriere della sera, La Lettura 6.12.15. Federica Colonna, I creazionisti rifanno l’Arca di Noè. E salpano all’assalto della scienza).
Questa trovata dei cosiddetti creazionisti, concepita come un luna park ispirato alle suggestioni bibliche, mi diverte perché mi fa pensare a quanto la cosa fa incazzare gli appassionati di scienza a tutti livelli, dagli astrofisici ai ragazzini che giocano col “piccolo chimico”. E poi mi fa pensare con molto rispetto ai teologi del Concilio di Trento che confermarono solennemente come la libera interpretazione della Bibbia sostenuta dai protestanti fosse una pericolosa eresia. Infatti è quella deriva teologica che produce pacchianate come la nuova Arca di Noè. Come figlio del popolo mi considero un ciabattino della teologia e mi affido al proverbio per cui il ciabattino è meglio che si occupi della ciabatta (ne sutor ultra crepidam). E sempre a proposito di teologia, come diplomato del liceo classico, mi rifaccio ai versi di Dante: «Or tu chi se‘, che vuo‘ sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d’una spanna?» Comunque, se potessi permettermi la spesa, una capatina a Williamsburg ce la farei.