di Dante Freddi
Ieri il consigliere Stefano Olimpieri , in occasione della discussione in Consiglio comunale di una sua interpellanza sulla “vendita del complesso immobiliare dell’ex ospedale di Orvieto”, preoccupato di fronte a una vendita poco chiara o non confacente alle esigenze degli orvietani che potrebbe essere effettuata dalla Regione, proprietaria dell’immobile, ha ritirato fuori la brillante idea della public company, di una società diffusa costituita da orvietani, qualche migliaio, che potrebbero acquistare l’immobile e destinarlo quindi a finalità destinate alla comunità, decise da noi e non dalla Regione matrigna.
L’idea, quando la titò fuori la prima volta, tra quattro anni fa, mi conquistò subito, forse perché era la prima che sentivo esprimere da Olimpieri, o perché era sostenuta anche dal mio amico Pier Luigi Leoni, o perché era coinvolgente, c’era da farci davvero una battaglia intorno. Insomma, ci scrissi sopra qualche articolo promozionale e ci misi la faccia, cosa che non mi pesò poco.
Ma alla public company ho creduto soltanto io e Leoni, perché mentre veniva lanciata l’idea, l’Amministrazione Còncina tentava di acquistare l’ex ospedale dalla Regione, essendo titolare della prelazione, per poi venderlo e guadagnarci qualche milione che serviva per andare avanti tranquilli senza arrivare al predissesto. L’operazione non funzionò perché il Comune non aveva i soldi per l’acquisto e perché la Regione, matrigna ma non cogliona, non si prestò certo ad autorizzare una sorta di giro di cassa in cui rimetteva qualche milione.
Di azionariato diffuso parlammo qualche giorno ancora io e Leoni, poi soltanto io, poi più nulla.
Oggi, con il vigore che gli dà un anno trascorso in panchina e convinto che le parole e gli scritti volino davvero come i somari, “riciccia” la bella idea. Che continua a essere una buona idea, difficile e affascinante come qualche anno fa, ma con l’insuperabile handicap che c’è di mezzo Olimpieri.