di Dante Freddi
Oggi, in piena polemica sulle contravvenzioni di qualche sera fa, un dei contendenti ha tirato fuori la battuta che a Orvieto i commercianti sono di due tipi: quelli che guadagnano e quelli che se la prendono con l’Amministrazione. Quale che sia.
Battuta aspra e senza pietà in tempi così duri, ma poiché non ci aspettano domani impennate di floridezza, tanto vale tentare di ragionare francamente.
Tutti si sentono autorizzati a sparare sulle amministrazioni se non ci sono i turisti e se la gente che gira per acquisti è poca. Se ospiti e clienti in giro ci sono, allora ci si lamenta perché non comprano, perché hanno un livello inadatto, ci scappa anche qualche rimbrotto. Al turista tocca “poraccio”, “pellegrino” e all’acquirente “burino”, “da mercato” e lo storico “villano”.
Si racconta di un ristoratore che ha chiuso l’attività perché questa città sempre più popolare non sa attrarre il suo target. Ragionamento di puro marketing che non fa una piega, ma se sia l’offerta inadeguata per mancanza di target o per sua stessa inadeguatezza, questo andrebbe verificato.
E allora diciamocela tutta, con serenità e con una gran voglia di migliorare: ma siamo sicuri che questo Centro commerciale naturale costituito dall’acrocoro corrisponda adeguatamente nell’offerta di merci e servizi a chi capita a Orvieto per turismo o per acquisti?
Il bacino commerciale è sostanzialmente quello storico, i comuni dell’Orvietano con circa quarantamila utenti.
Ma perché un acquirente dovrebbe andare in un negozio a Orvieto centro? Non tiriamo fuori la balla dei parcheggi, che non regge e serve soltanto per giustificare insuccessi professionali e alimentare speranze politiche.
Ci va se trova quanto cerca e dopo un paio di giri se ha trovato torna oppure no.
Se non c’è soddisfazione al bisogno, dato che negli ultimi decenni è avvenuto uno straordinario fenomeno, a cui neppure il miglior sindaco può opporsi, la mobilità diffusa, da Castel Giorgio si fa un “salto” a Viterbo e da Fabro o Ficulle un ”salto” a Perugia o, molto più semplicemente allo scalo, alla scalo di Orvieto, due passi.
Allora mi chiedo ancora: ma le associazioni dei commercianti hanno uno studio di marketing da offrire ai loro associati, almeno con una definizione dell’offerta commerciale orvietana, inserita in fasce merceologiche e all’interno di queste in fasce di mercato? Sanno se offrono quello che si vende, non che si vende in generale, ma sulla rupe, con un’analisi della concorrenza nel contesto esterno al Centro commerciale naturale?
Il Comune deve offrire una “bottega”, diciamo con termine poco tecnico ma chiaramente evocativo, accogliente, facile da raggiungere, ordinata, adatta per il turista e per il cittadino del bacino commerciale. E se in “bottega” ci sono sbavature e qualche angolo con la polvere, giù improperi, ma se ” sto qui tutto il giorno e non entra un cane” è il caso di chiedersi se è così perché vendo a prezzo esagerato rispetto a Viterbo, su internet o allo scalo, se vendo quanto chiedono, se il vantaggio competitivo di stare nel centro storico non è invece uno svantaggio per il mio genere merceologico..
È necessario fermarsi un attimo a ragionare e a capire, prima che a espellerci sia il mercato, che se ne frega di storie di vita e di tradizioni commerciali di famiglie e generazioni.
Conclusione propositiva del breve ragionamento: coinvolgiamo istituzioni, associazioni, banche, privati, in uno studio di mercato che fotografi l’offerta commerciale della rupe com’è oggi, per vedere meglio e più lontano, per cambiare quanto c’è da cambiare, per capire se è coerente con il progetto di centro storico che sta emergendo, per scelte politiche e per naturale cambiamento.