di Mario Tiberi
Venti di guerra e di inaudite violenze soffiano dappertutto: Siria, Palestina, Africa centro-settentrionale e, poi, Afghanistan, Iraq, Ucraina ed altri teatri di belligeranza sparsi un po’ ovunque con tutti gli orrori derivanti e conseguenti e, dei quali, le prioritarie vittime sono i bambini, le donne, gli anziani, inermi ed indifesi. Ora anche l’intera Europa, e non solo la Francia, si trova in condizioni di agghiacciante stato d’assedio.
Il mio animo è turbato, inquieto e recalcitrante a fronte di codesto scenario mondiale il quale, mestiziamente, offre desolanti immagini di violente contrapposizioni ideologiche e religiose, di brutali interessi economici, di mai sopiti spiriti di vendetta e di rivalsa che tengono, tutti, con il fiato sospeso tra pacifica convivenza e volontà distruttive.
Il grido, “vogliamo la pace”, è troppo umano, troppo splendido e troppo naturale, ma affatto sufficiente, per una umanità da non molto tempo uscita da due spaventose guerre mondiali e minacciata dall’incubo sempre incombente di una terza guerra sterminatrice perché, ad esso grido, non debbano far eco ed infondergli massimo vigore e impulso tutti gli uomini e le donne che non abbiano cuori e menti da belve feroci.
Ma, subito, all’intelletto dell’essere più razionale e raziocinante che esista al mondo, si presenta l’ovvia domanda: “Come attuare il laico e, al tempo stesso, cristiano proposito del favorire, sempre e comunque, la pace e dell’aborrire, sempre e comunque, la guerra o, meglio, tutte le guerre?”.
Non giova, dopo secoli di fallimentari sperimentazioni, appellarsi ad ideali nuovi o a trasformazioni religiose e sociali mentre, sembra più percorribile, che unica guida possano divenire l’esperienza storica e il ragionamento.
Questi ultimi insegnano che non può essere reputato strumento sicuro per impedire i conflitti armati quello che, pur esistendo sotto l’egida dell’ONU, non li ha sinora impediti. Non è un mezzo totalmente efficace una religione piuttosto che un’altra poiché un gran numero di conflitti si sono accompagnati, e si accompagnano tuttora, alle religioni più disparate; del resto, neppure la religione cristiana proibisce di difendere se stessi contro le aggressioni ingiuste. E’ sempre accaduto, in avversione ai Dieci Comandamenti, che taluni siano dediti al furto, all’ozio padre dei vizi, al vagabondaggio, all’omicidio e alle guerre tanto che, agli onesti e ai giusti, non resta che difendersi usando anche la forza contro i malvagi.
Non sono un mezzo sicuro nemmeno le trasformazioni sociali in quanto si sono combattute aspre e cruente contese belliche in tutte le epoche, dalle tribali alle feudali, dalle imperiali a quelle che hanno visto sorgere e fiorire le società borghesi.
Se gli assunti sopra esposti hanno un qualche fondamento di verità storica, la conclusione a cui pervenire è una sola: tanto più agevole è conservare la pace quanto più numerose siano le forze morali anche indipendenti da uno Stato sovrano nella sua funzione di rappresentanza della volontà collettiva, come tanto più scorrevole è scendere in guerra quanto più il potere sull’economia e la finanza sia accentrato sotto la direzione di un’unica volontà politica.
E’ ciò che si sta ripetendo in occasione delle recenti crisi che sono esplose ed hanno infiammato il mondo arabo e islamico e a cui è seguita, in modo scomposto e confusionario, una alquanto indebita ingerenza delle potenze occidentali non ben coordinate e in ordine sparso tra di loro.
Non è così che si salvaguarda e si garantisce la pace mondiale: come ogni singolo Stato attraverso gli organi di polizia, la magistratura e gli istituti di pena previene e reprime gli atti delittuosi di ladri e assassini, così è necessario che una forza superiore ai singoli Stati, vale a dire una valida ed efficiente organizzazione supernazionale, assommi in sé la funzione morale e politica di prevenzione e repressione delle azioni pacicide di quegli Stati intenti ad aggredire, violentare e depredare gli altrui beni e ricchezze.
Quando si hanno a distinguere gli amici dai nemici della pace, non possiamo fermarci alle professioni di fede o di intenti, tanto più mendaci e ingannevoli quanto più proclamate a voce stentorea ed altisonante. Ci dobbiamo invece chiedere se vogliamo conservare, oppure no, una altera e quindi fittizia sovranità etica, prima ancora che politica ed economica, dello Stato nel quale viviamo e operiamo: se sì, ci vestiremo di un abito mentale potenzialmente predisposto a sacrificare le ragioni della pace a quelle delle guerre di conquista e di dominio di un popolo su altri popoli.
Se, al contrario, siamo più propensi a fornire il nostro appoggio a coloro che, convintamente, sostengono la necessità di trasferire parte della morale sovranità nazionale ad organismi ad essa superiori, allora, ma allora soltanto, potremmo veramente annoverarci tra i leali e coerenti fautori della pace nel mondo.
Il resto è menzogna!
P.S. : almeno per una volta al giorno dovremmo ripetere, assieme a Papa San Giovanni XXIII° , la parola sacra “PACE” scandita, così energicamente, nello “Appello per l’intesa e la concordia tra i Popoli”, diffuso in ogni Continente nel pomeriggio del 25 Ottobre 1962.