La proposta del direttore Dante Freddi
Ma le primarie a che cosa servono?“Le primarie sono una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione di una carica pubblica. La ragione delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati a cariche pubbliche, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti.” (Elezioni primarie, Wikipedia)
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Le elezioni primarie sono un’invenzione americana. Nascono verso la metà dell’ottocento in Pennsylvania e alla fine di quel secolo vengono adottate anche negli altri stati dell’Unione. Lì sono codificate nel quadro di un sistema elettorale a collegio uninominale maggioritario, che funziona. Naturalmente la partecipazione dei cittadini è quella che è, cioè bassa, e questo se si vuole dice che, anche dove il sistema complessivamente funzione, non sono le primarie che di per sé garantiscono la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.
Da noi le primarie sono state adottate in tempi recenti, una diecina di anni fa, dal centrosinistra, prima per elezioni regionali e poi nel 2006 per il candidato alla Presidenza del Consiglio (vinse Romano Prodi), nel 2013 per la designazione del segretario del PD (vinse Renzi) e in molte elezioni regionali e locali fino a quelle recenti del 2015. Gli altri partiti le hanno adottate in poche e sporadiche occasioni. E anche qui la partecipazione è sempre più scarsa.
Che dire dunque alla luce di questa esperienza, seppure breve e parziale? Anzitutto che si tratta di “primarie all’italiana”: regole senza regola, invenzione soggetta alle convenienze del momento, o per confermare scelte già fatte (Prodi 2005) o vittorie già segnate (Renzi 2013), o per dirimere controversie di cordate e lotte personali (in quante regioni e in quanti comuni?). Difficile sostenere che si tratta di democrazia, a meno che non si voglia far passare per democrazia una cosa per la quale sarebbe meglio inventare un altro nome. Anche gran parte degli orvietani, se interpellati, probabilmente potrebbero essere d’accordo.
La vogliamo dire la verità? Le primarie all’italiana sono la rappresentazione perfetta della trasformazione della nostra democrazia in qualcosa che ancora non è definibile ma che somiglia sempre meno a ciò che hanno immaginato i padri costituenti. Il PD non è un partito, né lo è FI, né lo è M5s, per dire dei tre maggiori. Né ci sono alleanze con minima garanzia di stabilità. Sono tutti, partiti e alleanze, aggregazioni senza progetto. Come si può pensare che siano in grado di entusiasmare e spingere alla fiducia e alla partecipazione?
Le primarie possono avere senso solo nel quadro di una democrazia che ha regole chiare e stabili per una selezione non occasionale e non di parte delle classi dirigenti. Ciò può avvenire solo se si garantiscono percorsi in cui la lotta politica è fatta per affermare idee e prospettive nel rigoroso rispetto dell’interesse della comunità, piccola o grande che sia.
Credo che ne siamo lontani, anzi, mi auguro che non ci stiamo ancor più allontanando. Sarebbe dunque il caso di prendere atto che lo strumento è nato consunto perché frutto di una pulsione di pancia al rinnovamento facile, che non esiste perché non può esistere. Di conseguenza sarebbe anche il caso di non insistere oltre, magari evitando di scivolare verso il mito della democrazia del clic, che sarebbe come cadere dalla padella nella brace.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Le elezioni primarie, così come sono attuate in Italia dal centrosinistra (il centrodestra ne parla, ma non si decide, e il Movimento 5 Stelle sta affinando il metodo) hanno lo scopo evidente di vitalizzare, con un momento competitivo, l’aggregazione delle varie anime del Partito Democratico e delle formazioni più a sinistra di tale Partito. Lo scarso rigore con cui vengono svolte comporta l’interferenza di elettori spuri che partecipano per condizionare da destra il risultato o anche semplicemente per gioco e perfino per buscare qualche mancetta. Le primarie vinte da Renzi furono senz’altro condizionate dalla destra; alcune primarie, come quelle per le regionali liguri e campane, forse anche da elettori prezzolati; i risultati delle altre furono determinati dalla convergenza delle sinistra interna con quella esterna al PD. L’unico risultato pratico è stato qualche brutta figura della segreteria nazionale del PD. Troppo poco per arginare la disaffezione alle urne che è diventata drammatica con l’incancrenirsi della crisi economica. Disaffezione provocata dal discredito della classe politica, incapace di tirar fuori l’Italia dalla crisi, ma anche di emendarsi da vecchi vizi, come la venalità sia legale (indennità di carica e vitalizi) sia illegale (corruzione). Il fenomeno di un centrodestra allo sbando aggrava la situazione e il movimentismo dei grillini non eccita abbastanza gli animi da portare la gente a votare. Non sarà sempre così, perché in questo mondo le cose cambiano anche quando non ce l’aspettiamo. Comunque non bastano le elezioni primarie a farlo cambiare.
La proposta di Barbabella a Leoni
La democrazia è sistema debole che ha bisogno di essere difeso o è forte di per sé?
“Una società di individui liberi, eguali, che lo Stato riconosce e protegge nei loro diritti è qualcosa che merita di essere difesa. I valori della democrazia non hanno bisogno di cercare il sostegno di ideologie laiche o religiose, diverse da quella che le è propria. … Si tratta di ideali e progetti, linee direttrici che legittimano la lotta per renderli concreti, presuppongono il metodo della tolleranza, del rispetto delle idee e modi vita altrui e apprezzano il pluralismo. Essi distinguono le società che li assumono come fondamenti da quelle che li negano e vogliono imporre a tutti un’unica verità, un’unica obbedienza, un unico modo di vivere, secondo dettami arcaici di religione e legge civile fuse insieme. Se non valori realizzati, almeno un progetto ideale che merita di essere difeso, senza implicite nostalgie per un passato di omogeneità imposta da un progetto religioso, politico o l’uno e l’altro insieme. La libertà richiede rispetto degli altri e eguaglianza. Essa frammenta la società in tanti modi di essere e pensare. Il vero ineliminabile collante è la tolleranza consapevole. Essa non è relativismo indifferente, ma riconoscimento della libertà altrui. Certo, in momenti di crisi, sotto l’attacco di fanatici che disprezzano la vita altrui come la propria, la società aperta, plurale, tollerante è più debole di quella resa monolitica da una unica ideologia totalitaria. Ma la storia d’Europa, che ha conosciuto roghi e fucilazioni di eretici e oppositori, ci porta ora a dire che è quel tipo di debolezza il carattere che occorre difendere.” (Vladimiro Zagrebelsky, Democrazia, una debolezza che va difesa, La Stampa, 23 novembre 2015)
Zagrebelsky mi pare che esageri un po’ descrivendo la democrazia moderna come un “eden”, cioè come “luogo delizioso”, secondo l’etimologia della parola. Ma dove senz’altro sbaglia è nel definire debole la democrazia nei confronti del totalitarismo politico e/o religioso. I paesi democratici sono in genere ricchi e, con la ricchezza, tengono in scacco i Paesi poveri, che in genere non sono retti da regimi democratici. Il metodo è quello antico del metterli gli uni contro gli altri, fornendo armi e munizioni e sfruttando ogni tipo di rivalità. È il metodo che consentì all’Impero Romano d’Oriente di sopravvivere di mille anni a quello d’Occidente. Il metodo è stato integrato col peso della superiorità tecnologica e, per quanto riguarda i Paesi del Medio Oriente, con una trovata particolarmente perfida: la fondazione dello Stato d’Israele, consentita e agevolata dalle democrazie occidentali, che ha immesso nel fianco dell’Islam una spina velenosa. Nel senso che un popolo con tecnologia, capitali e cultura occidentali è stato inserito a fianco di sultanati arabi fermi al Medioevo. Per di più Israele è stato imbottito di un arsenale atomico sufficiente per fare terra bruciata di tutto il Medio Oriente. L’odio che ne è scaturito ha portato alcuni degli Stati arabi, in varie occasioni, a coalizzarsi per distruggere Israele. Ma sono stati battuti e l’odio è diventato sempre più feroce. È lì che nascono organizzazioni di fanatici, come Al Qaeda e l’Isis, è lì che nasce il terrorismo come folle tentativo di vendetta. È lì che le ricche democrazie occidentali batteranno i terroristi. E correrà tanto sangue da disgustare perfino i kamikaze. Altro che debolezza delle sante democrazie.