La proposta del direttore Dante Freddi
Mattarella: “difenderemo la qualità della nostra civiltà”. Ma come?
“Quello del terrorismo, ha osservato il Capo dello Stato, “è un tentativo di guerra globale dalle modalità inedite quello che sta deturpando l’inizio del nuovo millennio. Dobbiamo essere uniti, essere determinati e insieme affermare i principi del nostro umanesimo. Non può mancare il senso di giustizia, né la disponibilità a cooperare per uno sviluppo sostenibile e per ridurre le aree dove prevale la violenza e lo sfruttamento”.
“Dobbiamo garantire sicurezza ai nostri concittadini senza rinunciare alle libertà conquistate, affrontare il fanatismo e l’estremismo con assoluta fermezza, e promuovere il dialogo fra le culture e la tolleranza – ha concluso -. Non sradicheremo l’odio facendolo entrare nelle nostre vite e nella nostra civiltà” ma anzi “difenderemo la qualità della nostra civiltà e la offriremo al mondo, rimanendo fedeli ai valori che l’hanno ispirata e affinata nel tempo”. (Presidente Mattarella, http://www.repubblica.it/politica/2015/11/18/)
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Il Presidente della Repubblica deve essersi reso conto che non se la poteva cavare con questo sermoncino sfuggente nel quale fa l’elenco delle auspicabili quanto immaginarie virtù del perfetto occidentale: civiltà, altruismo, coraggio, intelligenza, equilibrio, discernimento. Infatti, in un articolo scritto sabato scorso per il “Foglio”, cerca di essere più esplicito. Dopo la solita tiritera sulla necessità della convivenza e collaborazione delle varie fedi, porta ad esempio l’Indonesia, che ha recentemente visitato, dove la maggioranza musulmana convive armoniosamente con la minoranza cristiana. Speriamo che duri. Ma poi si lascia andare a dichiarazioni un po’ più solide, del tipo: «Quella contro il terrorismo fondamentalista – che rappresenta oggi e probabilmente negli anni a venire la più grave minaccia per la pace nel mondo – sarà una lotta impegnativa e complessa che va condotta in ogni luogo e senza quartiere non solo con le necessarie azioni di forza e con il rafforzamento della sicurezza, a cui ogni cittadino ha diritto, ma anche con le armi della cultura, del dialogo, del diritto. E con un dispiego d’intelligenza e di lungimiranza che devono essere almeno pari alla indispensabile intransigenza. Molti errori di valutazione sono stati compiuti nel nostro recente passato. Ora non si può più sbagliare.» Mattarella non suggerisce azioni concrete; rimane coerente con la sua rigorosa interpretazione della funzione del Presidente di una Repubblica parlamentare. In parole povere: «Caro Renzi, tu mi hai fatto eleggere, ma ciò nonostante la rogna te la gratti da solo.»
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Le parole del Presidente Mattarella sono quelle di un capo si stato preoccupato di indicare la linea del Piave rispetto ad un attacco inusitato ai caratteri fondanti la nostra civiltà. Niente da eccepire dunque. Ma noi non possiamo sentirci rassicurati solo così, noi abbiamo bisogno di capire e di orientarci.
Lo stesso Mattarella ci aiuta un pò di più quando in un articolo su Il Foglio di sabato ci spiega che gli attentati di Parigi si inseriscono nella scia di una lunga storia di persecuzioni a carattere religioso, che oggi nell’area mediorientale colpiscono con particolare accanimento i cristiani e che però a loro volta sono “parte della violazione, feroce e sistematica, delle libertà fondamentali dell’uomo, di cui il diritto a professare, a predicare, persino a cambiare la propria fede religiosa, senza dover subire discriminazioni o addirittura violenze, è elemento fondamentale”.
Dunque un attacco alla civiltà di cui le nostre società sono espressione. Allora dobbiamo attestarci sulla posizione dello scontro tra religioni e tra civiltà? Io credo che questo non è né vero né utile. Troppe sono le distinzioni reali rispetto a questo schema grezzo e deviante. Ma non si può nemmeno continuare a discutere di islam radicale e di islam moderato, accontentandoci di qualche dichiarazione o di qualche manifestazione pubblica di dissenso da chi sgozza, massacra di qua e di là e fa strage di gente inerme colpevole solo di passare una serata fuori casa. Esiste l’islam, e i gruppi jihadisti che fondano una stato islamico e portano la morte nel cuore dell’Europa non sono in esso un corpo estraneo.
D’altronde nell’Occidente non è mancato né il fondamentalismo cristiano né il fondamentalismo ideologico con le loro propaggini violente, belliciste o terroriste . Sarebbe perciò il caso di ricordare sia il lungo e drammatico percorso durato secoli per affermare la separazione di stato e chiesa e i diritti individuali e collettivi di libertà con i connessi doveri civici, sia la capacità delle nostre società di fare i conti con le contraddizioni interne quando si è trattato di reagire al terrorismo e di estirparne la malapianta.
Allora, io credo, dobbiamo essere coscienti che il fenomeno dell’estremismo islamico non è cosa di breve durata, non sarà estirpato solo con operazioni militari, non sarà contenuto solo con potenti, diffuse, efficienti, sistemi di sicurezza, pure tutte cose mi pare inevitabili. Dobbiamo sapere che si tratta di una battaglia culturale, e insieme di una rigorosa affermazione delle ragioni dello stato di diritto. Lo hanno detto, oltre allo stesso Presidente Mattarella, numerosi altri, tra cui con particolare lucidità Ernesto Galli della Loggia e Claudio Magris.
Dice Galli della Loggia: “Non si tratta di dichiarare né una guerra tra civiltà né una guerra tra religioni. Bensì di iniziare un’analisi, una discussione dai toni anche aspri se necessario, sugli effetti che ha avuto per l’appunto il ruolo identitario della religione islamica sulle società dove essa storicamente è stata egemone, una discussione su che cosa sono queste società, e sulle vicende storiche stesse del mondo islamico, forse un po’ troppo incline all’oblio e all’autoassoluzione. Un confronto-scontro con quel mondo di carattere eminentemente culturale. In sostanza lo stesso confronto-scontro che la cultura laico-illuministica occidentale ha avuto per almeno due secoli con il Cristianesimo e con la sua influenza storico-sociale, ma che viceversa si mostra quanto mai restia ad avere oggi con l’Islam”.
Dice Magris: “Più che marciare, le comunità islamiche devono capire che se l’invocata multiculturalità è un valore, quest’ultimo si realizza nell’incontro, in cui ognuno conserva identità e valori ma li arricchisce di nuove esperienze. Venire accolti in un’altra terra vuol dire rispettarne leggi e costumi”.
Ecco allora la novità di fronte alla quale siamo e alla quale non possiamo sfuggire con il furbesco funambolismo all’italiana: non tanto se fare o no la guerra o lasciare che altri la facciano per noi, cosa peraltro non proprio banale, quanto come intendere l’integrazione e come concretamente in ogni luogo e in ogni situazione assicurare l’esercizio dei diritti e insieme il rispetto dei doveri. La favola è finita. È venuto il tempo della realtà.
La proposta di Leoni a Barbabella
Gabriel Matzneff: In Francia è morto un dio e ne subentra un altro. Ma è proprio così?
“I popoli hanno una sete metafisica e in un Paese, quando un dio muore, un altro prende il suo posto. In Francia è morto il cristianesimo e quindi un’altra religione sta avanzando. I Francesi sono i più decristianizzati dei popoli d’Europa… Nessuno qui vuole nuove chiese. Pure quelle vecchie siamo stufi di mantenerle. Nei villaggi e nei paesi in Francia le chiese chiudono. È strano, ma dopo settant’anni di persecuzione della Chiesa ortodossa in Russia, mi pare che la Russia sia meno decristianizzata della Francia… A fronte di una vivacità dell’Islam, c’è un’indifferenza diffusa in Francia… Quando i trenta copti furono decapitati in Libia, Hollande disse “trenta egiziani”, non usò neppure la parola “cristiani”… [I seguaci del Califfo] non sono pazzi. C’è una grande lucidità. Sono dei pazzi intelligenti. Vogliono distruggere, vogliono soltanto distruggere. Un filosofo svizzero, Max Pickard, scrisse su Hitler un libro dal titolo “L’uomo del nulla”. Titolo spietato che si può applicare al Califfo. È il piacere del nulla e della morte. Bisogna rileggere “Il Diavolo” di Papini. C’è qualcosa di mefistofelico, la politica non può spiegarlo. Il male è un’idea astratta hegeliana, per noi è il diavolo, il maligno, il Satana. È l’angelo più bello. C’è questa bellezza della morte, del sacrificio. I ritratti di questi ragazzi che hanno assassinato al Bataclan hanno una loro bellezza, stregati dall’odio, dal male, dalla voglia di distruggere. Sono molto pessimista, penso che sia soltanto l’inizio.” [Gabriel Matzneff, citato dal “Foglio”del 21 novembre 2015]
Non è la prima volta che mi imbatto in posizioni di questo tipo, e confesso che ogni volta ne provo fastidio. È vero che Gabriel Matzneff è uno di quegli scrittori francesi che hanno costruito la propria immagine di intellettuale acuto e indispensabile sull’essere strutturalmente fuori dalle righe, e non si vede perché dovrebbe rinunciarvi proprio ora che per certi versi la realtà sembra dargli spago. Ciò non toglie che non basta essere originali per dire e fare cose apprezzabili.
Già l’11 settembre 2012 egli scriveva: “Il diavolo non è così cattivo come si dipinge. Che c’è dentro di me? Debolezze, peccati, colpe, dubbi, lampi di fede nel Cristo risorto e lampi di scettisismo pirroniano, incessanti contraddizioni. Ho una sola certezza che costituisce il perno e la giustificazione della mia traboccante vita: siamo su questa benedetta e maledetta Terra per creare dell’amore, per creare della bellezza”.
Non è una maledizione essere ossessionati dall’idea del diavolo, né è una bestemmia dire che il peccato, compreso quello estremo di dare la morte a qualcuno perché diverso da te, può esercitare su alcuni un certo fascino e su altri un desiderio irresistibile. Quel che conta però è perché lo si dice, giacché nessuna posizione, nemmeno quella che pretende di essere puramente descrittiva di uno stato di fatto, è esente dal riferimento ad un fine o priva di conseguenze, dirette o indirette. Giacché non è solo questione di intenzioni soggettive, è anche questione di contesto.
Dunque, considerando il quadro di riferimento, ciò che dice Gabriel Matzneff mi appare tutto il contrario di un contributo “per creare dell’amore, per creare della bellezza”. Interpretare la storia francese come storia dell’abbandono del dio cristiano per far posto al diavolo, che ha un suo fascino, è qualcosa di peggiore di un arbitrio. È porsi sullo stesso piano dell’islamismo fondamentalista.
È ben vero che la Francia repubblicana più di altri ha trasformato la cultura in puro divertimento, ha sciolto nell’indifferenza l’orgoglio di aver trasmesso al mondo il lume della ragione, ed ha coltivato l’idea che “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, per cui non solo la verità è relativa ma è anche del tutto inutile, cosicché ognuno si può costruire la sua e tutto diventa possibile. Per cui si può capire che per criticare tutto ciò si può essere attratti dalle conseguenze del “Dio è morto” di Nietzsche e dal racconto del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij.
Ma si deve anche sapere che non c’è bisogno di predicare la fine del diritto alla libertà e il ritorno alla società teocratica per reagire alla superficialità e all’irresponsabilità che per troppo tempo ha ammorbato le società dell’occidente. Ci sono altre vie, più belle e intelligenti, più colte e sicuramente più efficaci, e sono quelle che, nel sottolineare la forza della realtà rispetto all’inganno delle favole luccicanti, dicono che della verità non si può fare a meno. Ma la verità è ricerca, e nessuno può presentarsi sulla scena affermando di essere portatore dell’unica verità e in nome di essa disporre della libertà e perfino della vita altrui. Questa è la massima conquista dell’occidente. Le prediche che indirizzano verso società illiberali, gerarchiche e teocratiche, o simili, come risposta alle analoghe di altri contesti storici, culturali e religiosi, sono del tutto ingannevoli.