di Alessio Tempesta
Caro Beppe Natale, questa settimana non ho tanta voglia di scriverti, perché dopo quello che è successo venerdì 13 a Parigi, sono un po’ più toccato per quello che è accaduto, forse perché la vicinanza ti spinge a ricordare e pensare di più, di più di ogni altra volta quando penso, o meglio quando mi ricordo di pensarci, a tanti bambini e persone meno fortunate di me, che muoiono ogni santo o maledetto giorno per guerre, fame, malattie, violenze private ed interessi economici.
Ma siccome io cerco nella mia vita di evitare, nella forma e nella sostanza, l’uso della doppia morale, dell’ipocrisia e della strumentalizzazione, ti scrivo lo stesso perché domani tutti dobbiamo ripartire e rifare le cose di ogni giorno, anche se lo faremo con uno stato d’animo più cupo.
Quindi ti scrivo anche perché lo avevo promesso a Cesira e Pasquino, che stanno sulla nuova rotonda con il canotto, e sono molto preoccupato per loro!
Il 12 novembre era per me un giorno già triste, l’anniversario di un’alluvione, per fortuna senza vittime umane, che solo la grande forza degli orvietani ha fatto sì che fosse presto dimenticata, dai cittadini (gli uni) e peggio ancora dalla politica della città (gli altri).
Ma mentre gli uni da soli spalavano il fango ed aspiravano l’acqua dalle cantine delle loro case, dai negozi, dalle attività industriali, con l’aiuto di altri cittadini che solidalmente hanno partecipato alla rimarginazione di questa ferita morale e geomorfologica, gli altri non perdevano occasione per scannarsi reciprocamente, per strumentalizzare un disastro, con una serie funambolica di rimbalzi e rimandi di responsabilità degne di un circo senza paragoni.
Qualcuno ha cominciato a ricordarci che Orvieto, già in epoca etrusca, aveva un porto fluviale all’incrocio tra il Paglia ed il Tevere, il porto di Pagliano, che è praticamente perduto come solo è capacità della politica riuscire a perdere una così grande quantità di beni storico-architettonici, e solo in epoca recente parzialmente recuperato ed adibito a campo scuola archeologico; peggio ancora quel qualcuno ha cominciato a raccontarci che Orvieto poteva tornare ad avere un parco fluviale, un luogo da vivere e da valorizzare, con piste ciclabili, percorsi naturalistici e faunistici, zone turistiche quasi come se ci fossero gli stabilimenti balneari, e forse tanti hanno pensato che tra poco ci avremmo visto attraccare anche le navi da crociera!
Ma per tutto questo ci vuole il Contratto di Fiume, tra la Val di Chiana e la Val di Paglia, che serve a prendere i fondi comunitari, che servono a progettare, e per progettare ci vogliono i soldi… ma anche per la volontà vera di realizzare qualcosa?
Per adesso a noi orvietani è arrivata solo la bolletta da pagare, la tassa su questi fiumi che non ho ben capito a cosa serva, alla bonifica di che, alla tutela di cosa, alla sicurezza di chi!!!
Attendiamo con fiducia di andare sul fiume a pescare il pesce pieno di mercurio ed ogni altro umano-tonico, di prendere il sole sulle spiaggette dietro la piscina comunale o davanti al Mercatone, di fotografare il ripopolamento degli aironi (che mangiano anche i topi non solo i pesci ve lo garantisco), di navigare e sfrecciare sul fiume con i nostri motoscafi verso l’Italmobili per andare a comprare i bagni da Carloni oppure arrivare a Roma via fiume dopo aver messo la benzina all’Agip dei fratelli Forbicioni…
Nel frattempo mi domando a cosa siano serviti mesi di ruspe che spostavano la ghiaia dal fiume al costone, ma che con un semplice ingrossamento delle acque tornavano al centro del fiume, dilavando ed erodendo il costone e così via, a cosa serva la variante che alleggerirà un traffico solo privato mentre il casello nord di Orvieto resta una chimera e la storiella di ogni tornata elettorale, a cosa servirà rifare la passerella dei laghetti se in tre anni non si è ancora visto lo straccio di una sponda strutturata che possa garantire una reale protezione in caso di nuova esondazione ai cittadini ed alle attività commerciali, che dopo aver spalato il fango, sono ancora lì, con la stessa fiducia nelle parole, nello stesso posto, con lo stesso rischio in se viene un’altra alluvione!!!
Caro Beppe Natale, noi orvietani semo tanto boni, e per questo semo anche tanto creduloni. Se uno ce racconta ‘na storiella, noe abboccamo, forse perché semo sempre vissuti su ‘n fiume! Intanto Pasquino e Cesira, e mica solo loro, stanno lì, col canotto, perché honno capito che se torna l’alluvione a Orvieto, te poe salva’ solo se c’hae ‘l canotto! E dopo il 20 de ‘sto mese le previsioni dicono che il tempo mette brutto…
Caro Beppe Natale, questa storia del Parco sul Fiume piacerebbe pure a me, ma se ci porterai, o almeno ci farai vedere qualcosa di tutti quei racconti che ci sono stati fatti, ti prometto di essere più buono l’anno prossimo, certo che me ne darai la possibilità!