di Mario Tiberi
Fin dalla più giovane età sono rimasto sempre affascinato dall’universo femminile poiché simbolo di leggiadria, di venustà, di eleganza, di altruismo, di generosità, di dedizione.
Ho imparato, così, ad amare le donne a tutto tondo convincendomi, esperienza dopo esperienza, della consapevolezza che nessun altro essere umano sappia amare come loro stesse sanno amare e che, quindi, per amarle davvero altra via non vi è se non quella di integralmente rispettarle con tenera e delicata soavità.
Durante la presentazione pubblica del volume “Ipazia e le altre”, al quale ho arrecato il mio umile apporto con la novella romantica recante il titolo “Giulia: un amore oltre i confini della bellezza”, mi è prepotentemente tornata alla memoria la drammatica vicenda di Sally l’Egiziana.
Nel maggio 2011, a Sohag nell’Alto Egitto, fu barbaramente uccisa dalla violenza controrivoluzionaria Sally Zahran, appena ventitreenne, mentre stava pacificamente manifestando per la libertà del suo popolo. Esempio fulgido, anch’essa, del sacrificio della propria persona in nome di nobili idealità e dell’irrinunciabile contributo che la donna offre alla vita di intere comunità e nazioni.
E’ un contributo di natura innanzitutto spirituale e culturale, ma che possiede pure rilevanti connotazioni civili e politiche tanto da rendere giustizia al ruolo delle donne nelle società contemporanee, attribuendo loro “quel qualcosa in più” che non sembra esagerato designare come “genio femminile”. Il “quidquid pluris” consiste in quell’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specialmente a vantaggio dei più deboli e indifesi; in tale opera esse realizzano una forma di universale maternità affettiva e culturale e spirituale dall’inestimabile valore, sia per l’impatto e sia per l’incidenza che sanno imprimere allo sviluppo della singola persona nella proiezione di una collettività armonica più allargata.
Vi è da domandarsi, giunti a tale grado di giudizio, quanto abbia influito la presenza in piazza di Sally e di tutte le altre egiziane per la positiva riuscita della rivolta democratica contro il regime dispotico di Mubarak.
Viviamo un’epoca, e questo è dato incontestabile, di regimi dispotici mascherati sotto ingannevoli sembianze pseudo-democratiche (l’Italia renziana ne è un evidente esempio), dai quali non è possibile uscire se non attraverso lo strumento di rivolgimenti politici che siano in grado di accomunare tutti gli spiriti liberi nella rivendicazione, pacifica ma risoluta, della dignità umana nel nome della giustizia e della libertà.
Proprio la presenza delle donne, a mio manifesto avviso, impresse enorme forza morale al moto rivoluzionario rendendolo, così, rappresentativo di tutta la società egiziana, quantomeno di quella democratica, libertaria, non violenta. Il “genio femminile” rese inoltre la rivolta maggiormente giustificata e giustificabile agli occhi del mondo, soprattutto a quella porzione di mondo che temeva una sollevazione di stampo islamico radicale.
“Grazie a Te, donna, per il fatto stesso che sei donna”, verrebbe da dire usando le parole di Giovanni Paolo Secondo. Grazie a Te, donna, con la percezione sicura, propria della Tua femminilità, che Tu possiedi la facoltà di arricchire la comprensione del mondo e di cooperare al dispiegarsi della piena verità sulla consapevolezza delle relazioni umane.
Sulle donne però, nel corso dei secoli, si sono riversati pregiudizi su pregiudizi, ora da sgomberare. Ma un pregiudizio non può essere combattuto e abbattuto creandone di nuovi ed è solo, affrontando a viso aperto questi ultimi, che si possono realmente smorzare e attenuare, se non sconfiggere definitivamente, i più diffusi preconcetti e le più perniciose preclusioni.
Che vocaboli usare, poi, per aggettivare compiutamente la donna dell’oggi: libera, moderna o emancipata?. Ritengo che il modo migliore per una giusta collocazione verbale sia quello di accedere alla descrizione qui di seguito riportata: la donna emancipata non è la moderna bambolina che si trucca vistosamente e indossa abiti costosi, spesso di dubbio gusto; la donna emancipata è, al contrario, una creatura che crede fermamente di essere umana tanto quanto un uomo e, probabilmente, lo è anche di più; la donna emancipata, infine, non insiste oltre misura sulle sue libertà, le difende certo strenuamente, ma non ne abusa mai.
Con ponderate e debite eccezioni (“exceptionibus perpensis”) e qualora il tratto di cui sopra risponda al vero, non sarebbe del tutto fantasioso poter immaginare un futuro prossimo nel cui grembo si annidino le virtù femminee.