di Mario Tiberi
Potrebbe sembrare a prima vista una esercitazione vana e inconcludente, ma prodigarsi con risoluta perseveranza per far emergere intelligenti crivelli, idonei a separare lo scaduto dal funzionale e funzionante, è da considerarsi quanto meno lodevole per tutti coloro che sono profondamente convinti che gli attuali metodi della politica di governo non sono più al passo con i tempi, ardui e contrastati.
Tenne la stessa linea di rigore razionale un tal Eratostene quando, per porre ordine nell’universo caotico delle numerazioni, si affidò ad un setaccio ideale di rara genialità e, da esso, ne ricavò l’intuizione e la scoperta dei cosiddetti “numeri primi”, fondamentali per la successiva evoluzione delle scienze matematiche.
Giriamo, e giriamo a vuoto, intorno ai cavilli e ai tarli della nostra spesso miserevole esistenza quando basterebbe, di fronte alle piccole e grandi questioni della società contemporanea, avere l’umiltà di dotarsi di un seppur rudimentale passino a maglie strette per setacciare la sabbia, intrisa di impurità, dalle pepite di nobile metallo rilucente.
E’ girare a vuoto, ad esempio, l’affannarsi nel mettere in piedi iniziative che dovrebbero rimuovere le cause delle ingiustizie e delle inefficienze e che, invece, altro non sono se non delle passerelle spettacolari offerte in dono di vita mediatica, puramente virtuale, a personaggi sull’ormai irreversibile viale del tramonto. Lo è, anche, intestardirsi nel volgere lo sguardo a strumenti di partecipazione, impregnati di solo presenzialismo, che mai hanno ben funzionato e che, a maggior ragione, non lo saranno nell’avvenire proprio perché inadatti ad interpretare ed assecondare le esplosioni innovative di nuclei sociali in rapida metamorfosi.
Una delle maglie dell’adottando setaccio intellettuale può, senz’altro, essere rappresentata da quella che tempo orsono mi sono permesso di definire la “sintesi propositiva del processo dialettico-riflessivo”.
Si stanno avvicinando ad ampie falcate scadenze di primaria importanza per il futuro europeo, nazionale e locale: funzione principe di una politica virtuosa la si dovrebbe esplicitare nella emendazione degli errori del passato, nella delineazione dei loro correttivi, nella proposizione e predisposizione di adeguati ed incisivi atti di operativa esecutività e, infine, nella individuazione di coloro che sapranno essere coerenti, fedeli e capaci interpreti delle indicate finalità.
Non potrà mai esistere un’azione di governo di siffatte qualità se non si abbandoneranno, definitivamente, le logiche delle spartizioni partitocratiche esperite dietro ad un tavolo da caminetto, quelle ancor più deleterie delle imposizioni perpetrate dai potentati lobbistici, quelle altre riconducibili al dissennato principio che non è tanto importante partecipare attivamente quanto, piuttosto, supportare passivamente e solamente coloro che offrono garanzie di cieca obbedienza agli “olimpici del potere”, a prescindere dal fatto se valgano o meno.
Quanto precede per il livello statuale o ad esso superiore; ma non dobbiamo dimenticarci di quello più a noi vicino e prossimo.
Nelle vicende politiche orvietane il ruolo del Partito Democratico, maggiore formazione come numero di consiglieri eletti, è contrassegnato da sembianze confuse, impalpabili, incolori e irrilevanti: la percezione di ciò risiede nel fatto che fintantoché si continuerà ad arenarsi su un asse di inefficienze, senza più credito di popolo e legittimazione di consenso, quel partito non sarà in grado di uscire dalle secche dell’inettismo immobilista poiché, quell’asse, altro non è se non un filo esilissimo di semiseta abbondantemente sfibrato.
Quei consiglieri o dovrebbero pretendere repentini cambi di rotta oppure, conseguentemente, rassegnare le proprie dimissioni. Non sarò certo io a reclamarle essendo perfettamente consapevole che, in una Nazione dove la parola dimissioni è stata espulsa e radiata dal vocabolario della lingua italiana, sarebbe come chiedere ad Astarotte di convertirsi e prendere i voti monacali. Nondimeno però, almeno un atto lo debbono alla comunità cittadina e, cioè, presentarsi in pubblica assemblea e rendere conto del loro operato, negligenze comprese, anche in ossequio al “Codice Etico del Buon Amministratore Pubblico” che, così, recita: “Il pubblico Amministratore fornisce ai cittadini, sia di propria iniziativa che a richiesta, tutte le informazioni utili a mantenere e rafforzare la fiducia nelle Istituzioni e a prova della certezza della trasparenza dei suoi comportamenti”.
Quanto scritto al fine di riportare la politica come all’interno di una casa di bianco vetro; sarebbe comunque bastevole se fosse anche solo una più modesta scatoletta di diafano e adamantino cristallo, più raffinato del plebeo vetro, e forse più idoneo affinché non si ponga in essere un maldestro gioco di scatole cinesi, nel cui buio e sui cui incastri, innumerevoli malefatte si sono compiute e consumate.