di Franco Raimondo Barbabella
Chiarisco subito: intervengo ancora sul parco archeologico (che poi non è esattamente questo) non per alimentare polemiche ma per chiuderle. In un precedente articolo avevo giudicato l’inaspettato e gradito intervento del signor Pasquale Marino come un utile contributo a porre su basi costruttive il tema di come valorizzare i beni culturali del nostro territorio, e in particolare quelli archeologici, per strategie non momentanee di sviluppo. E ciò proprio in relazione al fatto che, essendo arrivato il momento delle decisioni sulla “Strategia per l’Area interna pilota dell’Orvietano”, bisognasse intervenire ad adiuvandum con ragionamenti fondati e proposte utili.
Evidentemente non avevo capito bene. Questo suo nuovo intervento, infatti, mi sembra animato da uno spirito più polemico che costruttivo. Per due ragioni: la prima è che, pur senza nominarmi (non capisco perché, magari sarà forse per il cognome lungo o il doppio nome), di fatto interpreta, deformandole, mie affermazioni, che a me sinceramente sembravano addirittura delle ovvietà; la seconda è che egli sostiene le stesse cose che ho detto io (sempre senza nominarmi), come se però da parte mia si sostenessero posizioni equivoche o addirittura opposte. Mi spiego e chiarisco.
- Non si può definire battibecco il tentativo di chiarire che l’idea di parco archeologico e ambientale è qualcosa di più che non l’idea di ambiti per iniziative culturali, ovviamente valide, in quanto essa può e deve diventare trainante proprio per una strategia di uso corretto e complessivo delle potenzialità di sviluppo del territorio. Peraltro quello che ho detto in questo senso in una franca discussione con Claudio Bizzarri, era per spingere ancora in avanti lo stesso processo per cui lui da tanto tempo e con merito lavora. Penso dunque che in realtà stiamo dicendo la stessa cosa, e allora sarà bene convincersi che qui non c’è nessuno che si illude di possedere l’unica verità e perciò è anche inutile sia pensare che cercare di strappargliela.
- Che senso ha dire che sì, l’idea di Parco Archeologico è degli anni ottanta, ma “solo per questo non bisognerebbe tirarla fuori”? A parte il fatto che rivendicare verità storiche non dovrebbe apparire disdicevole per nessuno, e a parte anche il fatto che la consapevolezza che le idee hanno una storia, indipendentemente da chi le ha avute, dovrebbe essere assunto come valore, c’è il fatto che è semplicemente ingiusto, e anche offensivo, deformare in un modo così plateale la realtà dei fatti. Dovrebbe bastare un minimo di considerazione per l’intelligenza altrui per ammettere che si è trattato di tutt’altra cosa. Infatti, per me tirar fuori l’origine di quell’idea (mi pareva di averlo detto chiaramente, e comunque mi sembrava fosse chiaro anche dal contesto) era sottolineare che essa nacque all’interno di una visione complessiva della strategia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali della città nel loro legame col territorio. Per cui non era tirar fuori ferrivecchi, ma affermare una concezione valida ancor più e a maggior ragione oggi, quando finalmente l’uso dei beni culturali diventa davvero una strategia di futuro se inserita bene nella “Strategia per le Aree Interne”. Roba dal sapore antico, ma aggiornata in tutti i sensi, altro che inopportuna! Non è questo che interessa anche Pasquale Marino?
- La “Strategia per le Aree Interne” è una buona occasione se utilizzata bene? Sì, certo. È appunto quanto ho sostenuto nel mio recente articolo sull’argomento. Mi dispiace che il sig. Marino dica cose praticamente identiche ma come se fossero dette in polemica con ciò che io stesso dico, cioè fare un’operazione corretta ed efficace, spendendo bene e in modo assolutamente responsabile il pubblico denaro.
- Ma al di là di tutto questo voglio chiarire, se ce ne fosse ancora bisogno (e purtroppo mi pare che ce ne sia), che non sto insistendo sull’importanza del Parco Archeologico e Ambientale Territoriale in polemica con qualcuno o con qualcosa e tanto meno per affermare una visione parziale dei beni culturali. Come se qui non si sapesse che cosa vuol dire per Orvieto, e in generale, operazione complessiva di valorizzazione dei beni culturali e addirittura non si conoscesse il significato dell’espressione “Città della Cultura” (prego umilmente il sig. Marino di informarsi un attimo). Sto facendo esattamente il contrario. Ma, siccome conosco piuttosto bene sia la storia recente di Orvieto che la realtà attuale, mi preoccupo di sensibilizzare i decisori in direzione di modalità di impostazione concettuale e di progettazione concreta che da una parte eviti altri errori e dall’altra utilizzi al meglio un’occasione straordinaria di uscita dalle difficoltà.
Mi pare di aver detto abbastanza. Questi, anche se non dovessero apparire così a qualcuno, assicuro ancora che sono solo chiarimenti che ritengo doverosi e che perciò non richiedono ulteriori risposte (ma non si dica che sto vietando risposte). Tanto meno vogliono essere l’ulteriore innesco di inutili polemiche. Oggi abbiamo solo il dovere di aiutare i processi decisionali ad andare in porto con il massimo di lungimiranza e di potenziale efficacia finale. Tutto il resto rischia di diventare secondario e deviante se fatto per affermare visioni personali fuori dal contesto in cui si muovono le forze reali che elaborano e poi decidono e che perciò vanno aiutate a sviluppare pensieri e strategie efficaci cercando di stabilire tra cittadini il massimo di sintonia civica. Ripeto, per questo sono ancora intervenuto, solo per chiarire e non insistere su aspetti poco utili. Che diamine, se si vuol dibattere sul serio, ci si dia un po’ di fiducia. In fondo il mondo non nasce ogni volta che qualcuno di noi apre la bocca!