di Franco Raimondo Barbabella
Due settimane fa si è sviluppata tra me e Claudio Bizzarri una discussione sul parco archeologico e ambientale nella quale è intervenuto poi anche Pasquale Marino. Per me è stata l’occasione per ripescare un’idea nata negli anni ’80 all’epoca del Progetto Orvieto, quella del parco archeologico come struttura ben organizzata che custodisce e valorizza (e dunque proficuamente utilizza per la comunità) una particolare tipologia di beni culturali, che è tale in sé ma anche in quanto si presta a generare politiche strategiche a scala insieme urbana e territoriale.
Allora quell’idea faceva parte di un’operazione di salvaguardia del masso tufaceo e di riconnessione della città con le sue pendici e con il territorio circostante, cosicché si configurava come parco archeologico e ambientale anulare, ed aveva come punti focali le Necropoli di Crocifisso del Tufo e di Cannicella, si estendeva fino all’area in cui si ipotizzava fosse localizzato il Fanum Voltumnae e si proiettava anche verso Sferracavallo, richiedendo così operazioni complessive di governo del territorio.
Oggi, con la prosecuzione degli scavi, il consolidamento della scoperta del Fanum, la costituzione del PAAO con l’inclusione delle zone archeologiche del circondario, l’idea originaria del parco si amplia ed è più complessa. Ma diventa anche più forte e interessante, assumendo di fatto il ruolo di strumento sia di tessitura culturale identitaria che di possibile traino di uno sviluppo moderno di un’area molto vasta. Un’area che è si quella orvietana attuale, ma che può poi benissimo connettersi a macchia d’olio, con appropriate iniziative, alle aree circonvicine aventi caratteristiche similari, a partire da Bolsena.
Io penso che il Parco Archeologico Ambientale del Territorio Orvietano (PAATO, ma se si vuole si può continuare a chiamarlo PAAO) sia l’innesco del moderno processo di sviluppo che da tempo stiamo cercando di immaginare. Per questo ho già scritto così: “io ritengo che ci sia bisogno di un vero e proprio progetto funzionale, nel quale siano contemplati tutti gli aspetti necessari (urbanistici, finanziari, gestionali, ecc.) a cui far seguire un programma realizzativo. … Un progetto grande, bello, ambizioso, lungimirante, attivo, dinamico, moderno. … Un vasto campo di impiego di competenze qualificate. Un investimento per le generazioni di oggi e di domani.” Esso si configura come rete di siti e di ambienti che direttamente interessano i comuni di Orvieto, Porano, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Allerona, Parrano e San Venanzo e però indirettamente, mentre interessa anche tutti gli altri comuni, si proietta inevitabilmente, per la portata che assume, ben oltre gli attuali confini amministrativi.
È da tempo una grande prospettiva di potenziale sviluppo. Oggi è venuto il momento di progettarla e di realizzarla. Ce n’è l’occasione. Essa è rappresentata dalla “Strategia nazionale per le Aree Interne”, nella quale è inserita la nostra zona con Orvieto capofila insieme ad una parte rilevante del territorio umbro, Strategia che chiama le amministrazioni locali ad avere una vision territoriale e ad organizzare su tale base programmi operativi coerenti al fine precipuo di intervenire su due aspetti: 1. aggredire con operazioni lungimiranti i punti di debolezza strutturale nei settori della mobilità, della sanità e dell’istruzione; 2. rilanciare lo sviluppo con progetti capaci di valorizzare le risorse locali.
Per il nostro territorio i beni culturali, e in particolare quelli archeologici, insieme al patrimonio ambientale, costituiscono di per sé un marchio di qualità e un potenziale di straordinario sviluppo. Possono essere il collante di tutte le operazioni di rilancio e di dinamismo culturale e una fonte di occupazione. Si legano alla salvaguardia e all’uso corretto del territorio. Sono il fondamento di una promozione e di un’organizzazione turistica moderna ed efficiente.
Peraltro, se si riuscisse a legare tra loro quattro operazioni rendendole coerenti, e cioè il Contratto di fiume e il Parco Archeologico-Ambientale Territoriale con la Strategia delle Aree Interne, e questa con il riuso dell’ex Piave e dell’ex Ospedale, allora il tutto si potrebbe configurare davvero come la grande occasione di rilancio, la svolta che andiamo immaginando da tanto tempo.
Sto parlando di coordinamento, non di finanziamento con canale unico. E non sto pensando solo al ruolo delle istituzioni e dei soggetti pubblici, ma anche a quello dei privati, e non in posizione subordinata. Ma è importante una vision territoriale e un disegno di governo di processi che indubbiamente sono molto complessi. Una strategia, di cui fa parte integrante il superamento dei particolarismi, una cultura della collaborazione e un coordinamento attento e costante.
La cosa non è affatto impossibile: oltre a tutto ciò che ho già detto, va tenuto presente che il Contratto di fiume è giunto ad un punto di avanzamento importante e che per l’ex Piave, se non si vuole riprendere aggiornandolo il BP di RPO Spa, c’è la proposta “Orvieto Global Campus” presentata da Adrian P. Misarti nel 2014, che per come è configurata costituisce comunque un’idea di città internazionale degli studi che si sposa perfettamente con le attività di ricerca, di operazioni didattiche in situazione, di convegni e di attività turistiche ad amplissimo raggio, che sono strettamente connesse con il progetto di parco archeologico-ambientale territoriale.
Per tutte queste ragioni mi auguro che il dibattito assuma ora questi connotati perché siamo al momento cruciale in cui le idee vanno selezionate e devono diventare progetti che ci parlano di un futuro possibile. Abbiamo l’occasione per riprendere le fila di un modo di intendere il territorio che negli anni ottanta ottenne importanti risultati e riconoscimenti. I meriti di chi ha operato in positivo esistono e vanno riconosciuti, di tutti. Ma oggi è importante fare il salto che la situazione rende finalmente possibile.