Proponiamo con piacere questo nuovo intervento di Pasquale Marino, che insieme alle proposte di Franco Raimondo Barbabella, è già un robusto stimolo per sostenere i progetti che si stanno costruendo nella “Strategia Area interna pilota Regione Umbria”, su cui associazioni e amministrazioni lavorano da mesi.
Ora si tratta di trovare il luogo giusto per aiutare fattivamente, al di là delle polemiche, che corrono il rischio di far inaridire un pianta in germoglio.
Segue l’intervento di Pasquale Marino, che ha reso disponibile anche il suo indirizzo e-mail, per poter trovare con maggiore facilità gli interlocutori disponibili. Anche per orvietosi.it, ovviamente, il tema è cruciale e aiuteremo a innescare le scintille che servono. (d.f.)
di Pasquale Marino, marinokp@hotmail.com
Vedo con rammarico che la proposta di aprire un pubblico dibattito sulla condizione e l’uso dei Beni Culturali a Orvieto e nel suo circondario non trova apprezzamento. Evidentemente il giudizio pubblico e democratico spaventa. La Rivoluzione Francese a noi Italiani “papalini” non ci piace; anzi, la consapevolezza democratica ci infastidisce. È preferibile che le decisioni siano prese “in alto”, da pochi “eccellenti”, in gran segreto. Peccato poi, che a pagare (anche in termini di soldi), non siano quei pochi “eccellenti”, che hanno preso le decisioni, ma tutti i comuni cittadini.
Condizione antropologica di noi Italiani che ci trasciniamo da sempre, ahimè!
Comunque se si vuole tenere la discussione ad ambito “letterario” di giornale, così sia! Sempre meglio di niente.
Il mio obiettivo era dare un inquadramento complessivo del “patrimonio culturale” di questo circondario, di cui l’ormai famoso e mai esistito Parco Archeologico, è solo una piccola parte del problema. È difficile proseguire nella discussione se c’è chi dice parliamo del “tutto” (perché i problemi si analizzano complessivamente) e c’è chi dice parliamo solo di una cosa (perché è solo questo che interessa). http://orvietosi.it/2015/08/beni-culturali-di-orvieto-e-dellorvietano-intanto-avviamo-il-dibattito/
C’è qualcosa che in questa pseudo discussione sul Parco Archeologico Orvietano che mi sfugge, il cosiddetto PAAO. Chiariamo, il parco archeologico per definizione assomma in sé varie caratteristiche; per questo è stato creato. Esso assomma valori storici (resti archeologici, che non significa solo di epoca etrusca e romana), valori ambientali, paesaggistici, architettonici. Dunque, esso è la massima espressione di valori culturali. Non capisco pertanto il battibecco sul creare un “parco archeologico”, oppure un “parco culturale”. Cosa significa scusate l’ignoranza, ma non capisco. Sì, l’dea del parco è degli anni Ottanta. Già solo per questo non bisognerebbe tirarla fuori. L’Italia è piena di opere materiali e immateriali, realizzate a trent’anni dalla loro ideazione, quando le condizioni che a suo tempo le avevano ispirate nel frattempo sono cambiate totalmente.
Ribadisco perciò, la domanda già fatta in un precedente intervento: chi paga? Si fa tutto con i soldi degli altri, ovviamente dei cittadini, magari senza coinvolgerli. Così è “vincere facile”. http://orvietosi.it/2015/08/parco-archeologico-inefficace-beni-archeologici-orvietani-nessun-dibattito/
Superato questo non semplice scoglio, per me importante, ma non per i nostri dirigenti a qualsiasi livello, visto che non sono mai realmente chiamati a rispondere dell’uso dei fondi pubblici, diciamo: il problema è analizzare complessivamente il “fattore cultura” nell’economia di questa città e del suo relativo comprensorio. Orvieto ha i presupposti per qualificarsi come Città della Cultura. Ma non per un anno, o per due. Orvieto potrebbe fare della definizione Città della Cultura, il suo marchio. Ne ha tutte le potenzialità.
In questo contesto, un corretto inserimento nel Programma per le Aree Interne del nostro Paese, di certo potrebbe aiutare questa terra ad uscire dall’immobilismo in cui è sprofondata e di cui dovremmo avere il coraggio di ammettere!
Già! Corretto inserimento. A tale proposito mi permetto di citare direttamente:
“Si moltiplicano sul territorio, anche per quanto riguarda i beni culturali, esperienze orientate all’innovazione sociale, che promuovono, cioè, una cultura che vede nella capacità di creare valore sociale la chiave di volta anche economica per creare nuove opportunità di lavoro qualificato.
Anche il tema della gestione complessiva dei beni culturali e di un’organizzazione su base territoriale della fruizione, in un quadro come abbiamo visto di estrema frammentazione della proprietà e degli attori coinvolti nella tutela e nella valorizzazione (Stato, comuni, privati cittadini, istituti ecclesiastici) che è ben presente nelle proposte di strategia, sembra fare i conti anche con una mutata domanda di cultura, meno centrata sui consumi passivi, ma più attenta alla rigenerazione del patrimonio materiale e immateriale esistente e ad nuova produzione culturale fortemente radicata sui territori, in grado di rinnovare continuamente l’offerta. Si moltiplicano i casi in cui ad uno specifico manufatto di valore culturale, o ad una tradizione artigianale e manifatturiera locale, vengono affiancate esperienze e proposte di rivivificazione, attraverso il coinvolgimento di università, anche lontane, centri studi, singoli artisti o ricercatori, ospitati in strutture di accoglienza temporanea, capaci di proporne una nuova narrazione.”
Leggere l’intero intervento citato è salutare e illuminante! Possiamo ancora parlare solo di Parco archeologico?
La discussione su cui ci siamo incamminati su questa testata, se deve progredire, non si deve incartare su se stessa, con una tecnica tanto cara alla dirigenza italiana: Un passo avanti e due indietro; due passi avanti e uno indietro. Tutto pur di rimanere fermi si un singolo obiettivo che interessa. Io la chiamo la “tecnica del minuetto”, tanto scoperta che anch’io la riconosco ormai.
La discussione deve essere complessiva, globale, lungimirante, innovativa. All’altezza delle aspettative e della situazione attuale. Altrimenti inutile discutere. Chi ha il potere di disporre disponga. Ma se ne deve assumere le responsabilità in caso di mancato obiettivo o di obiettivo parzialmente centrato. È chiedere troppo?
Pasquale Marino, marinokp@hotmail.com