RIFIUTI. MA PERCHÉ INVECE DI DISCETTARE NON SI VA A VEDERE DOVE LE COSE FUNZIONANO E SI FA UNA VERA POLITICA DI SISTEMA?
Caro Leoni,
la seconda lettera dell’Osservatorio Le Crete al sindaco Germani con cui si esprime e si sollecita netta contrarietà all’estensione della discarica al terzo calanco non aggiunge nulla a quanto già noto se non che è stata ottenuta anche la firma di un deputato della Lega. Evviva, ma io immagino che l’opposizione alla cosa impotente era e impotente resterà. Non per cattiveria di qualcuno in particolare, ma perché è stato sbagliato tutto fin da quando, al di là delle chiacchiere, ci si è messi nelle mani di un soggetto privato e si è rinunciato a qualsiasi politica dei rifiuti. Perché invece di protestare tutti appassionatamente non si fa una politica dei rifiuti zero? Lei che ne pensa?
Concetta S.
Cara Concetta, da almeno dieci anni mi occupo di politica dei rifiuti zero. Nel senso che leggo ciò che viene pubblicato in materia e cerco di individuare i cosiddetti comuni virtuosi, cercando di distinguere quelli che fanno le chiacchiere da quelli che fanno i fatti. È una materia complessa e insidiosa, perché eccita la bramosia di denaro. Infatti non c’è modo più facile di arricchirsi che mettersi sul mercato della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Ho visto imprenditori improvvisati e altri specialisti del fallimento fare soldi o risollevarsi grazie ai rifiuti. Perciò non c’è altra soluzione razionale che spingere gli amministratori e i tecnici comunali ad alzare i tacchi e andare a studiare le realtà che funzionano.
L’IDEA DI ORVIETO CAPUT ETRURIAE È DA COGLIERE COME INDICAZIONE DI UNO SVILUPPO POSSIBILE
Caro Leoni,
nei giorni scorsi si è svolta una interessante manifestazione intitolata “Orvieto Caput Etruriae”. È stata promossa dal GAL Trasimeno Orvietano, ma è nata all’interno di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale dell’Etruria promosso dal Ministero dei beni culturali e dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio e dell’Etruria Meridionale che coinvolge ben 17 comuni delle regioni confinanti interessate con capofila proprio Orvieto insieme a Viterbo. Questa secondo me è la linea giusta di una politica locale che usa il passato per costruire il futuro. Lei che dice?
Alessandro C.
La fortuna di Orvieto in materia di valorizzazione delle memorie etrusche è che la lingua latina non ha gli articoli, cosicché Caput Etruriae può significare sia “il” capo dell’Etruria, sia “un” capo dell’Etruria. In ogni modo la civilizzazione etrusca, con la sua religione ctonia, cioè con la convinzione che le divinità stanno sottoterra e che la vita della anime continua nelle tombe, ha lasciato testimonianze abbondanti, ricche e non del tutto ancora esplorate. Ben venga quindi ogni forma di valorizzazione delle memorie etrusche. La sempre più documentata individuazione del Fanum Voltumnae nei pressi di Orvieto assegna alla nostra città una grande responsabilità, a cominciare dal coinvolgimento dello Stato nazionale, dell’Europa e del mondo intero nel finanziamento degli scavi che hanno un alto valore scientifico e didattico.
IL PROGETTO “AREE INTERNE” NON SOMIGLIA ALLA VICENDA DELLE COMUNITÀ MONTANE, MA CHE DIVENTI UN’OCCASIONE DI SVILUPPO MODERNO È TUTTO DA DIMOSTRARE
Caro Barbabella,
alcuni decenni fa, le Comunità Montane scaturirono da un’idea egregia, quella di salvaguardare i territori montani dallo spopolamento e dal degrado geologico e forestale. Poi si sa com’è andata a finire. Quegli enti, cioè quei centri di potere e di spesa, degenerarono includendo territori comunali che scendevano fino al mare. Delle Comunità Montane non restano che i rottami. Adesso vanno di moda le “aree interne”, che si basano sull’altra egregia idea di investire risorse pubbliche nei territori non attraversati dalle grandi infrastrutture e quindi posti in situazioni di svantaggio. L’attrazione esercitata dai finanziamenti che si prospettano ha messo in fibrillazione il mondo della politica e dell’economia e il comune di Orvieto s’è infilato in un’area interna della quale costituisce il centro maggiore. Orbene Orvieto appartiene a un’area interna come un città marittima appartiene a una Comunità Montana. La storia si ripete?
Alvaro S.
Caro Alvaro, il progetto “aree interne” non è paragonabile con l’istituzione delle Comunità Montane perché non è finalizzato alla realizzazione di nuovi organismi istituzionali. Ciò non vuol dire necessariamente che non vi sia il pericolo che, come per le Comunità Montane, dalle buone intenzioni derivino anche in questo caso cattive conseguenze. D’altronde che si sia partiti in modo nient’affatto chiaro e rigoroso, diciamolo pure: con le solite furbate all’italiana, lo ha rilevato lei stesso. C’è anche da dire tuttavia che questa delle “aree interne” potrebbe essere un’impostante occasione di riprogettazione dello sviluppo della nostra area, se con tanti soldi a disposizione si avesse un’idea e una linea lungimirante lungo la quale muoversi, costruendoci intorno progetti tra loro interconnessi e radicati nelle risorse reali e nelle opportunità che potenzialmente esprimono. Ma dov’è questa cultura progettuale? Qualche persona che tenta di dare un verso alle cose sembra ci sia. Però ci vorrebbe ben altro per non fallire, e forse è anche inutile dirlo, magari ti prendono pure per un presuntuoso rompiscatole.
IL VOLONTARIATO NON PUÒ SOSTITUIRE LE FUNZIONI DI SERVIZIO DELLE ISTITUZIONI
Caro Barbabella,
anche a Orvieto si registra qualche debole iniziativa di volontariato per curare strade, giardini e cimiteri supplendo alle carenze del servizio pubblico comunale. Il professor Alberto Asor Rosa, intervistato dal Corriere della Sera in merito alla città di Roma, dove risiede, ha detto che lui paga fior di tasse ed esige che gli addetti comunali alle pulizie e alle manutenzioni facciano il loro dovere. Lei come la vede?
Marianna B.
Gentile signora, il professor Asor Rosa su questo punto ha certamente ragione: se si pagano le tasse (tante, anche per conto di altri) per avere certi servizi, quei servizi ci devono essere. In altri paesi l’equazione funziona, per cui deve funzionare anche da noi. Altrimenti le istituzioni, che i servizi devono garantirli per legge, diventano inutili, fonti di sperpero, enti mantenuti in vita artificialmente. E così addio, fine della democrazia. È ben vero che i cittadini devono sentirsi ed essere effettivamente responsabili, non solo dei propri beni ma anche di quelli pubblici, e comportarsi con responsabilità. Non solo, ma devono tenere in ordine gli spazi che loro competono, anche per motivi di igiene e di decoro. Inoltre, in particolari circostanze, come possono essere quelle di Roma in questa fase, non è certo disdicevole che ci sia chi sente il dovere di prestare gratuitamente la propria opera collaborando con le amministrazioni per risolvere problemi che creano disagio a sé e agli altri. Detto questo, per me resta comunque fermo che se pago per avere un servizio questo servizio deve esserci. Anche perché – ci rifletta – è l’efficienza il riscontro della presenza o meno di responsabilità e onestà nella pubblica amministrazione.
Riforma della scuola. Ricominciamo da tre
di Franco Raimondo Barbabella
Ho partecipato alle tre sessioni di studio organizzate da ADi (Associazione Docenti e Dirigenti italiani) a Roma dal 27 al 29 luglio scorsi su: 1. Organizzazione della scuola autonoma; 2. Curricolo; 3. Docenza e Dirigenza. Il titolo degli incontri, “Ricomincio da tre”, non era casuale: come nel noto film di Massimo Troisi, chi ritiene di aver fatto nella vita almeno tre cose buone perché, nel caso di un nuovo inizio, dovrebbe ricominciare da zero? Nel caso, vorrà si ricominciare, ma appunto da tre, non da zero.
E ADi quelle tre cose le ha curate ormai da quindici anni, con analisi, comparazioni di soluzioni e proposte operative, la cui validità è largamente riconosciuta anche se poi non sempre ha, né in realtà può avere come pure meriterebbe un riscontro pratico, essendo il percorso decisionale italiano a tutti i livelli spesso scarsamente meditato e lineare o addirittura irrazionale. Com’è evidente, si tratta delle questioni decisive per la nostra scuola, giacché dalle soluzioni che per esse si adottano dipendono il funzionamento e l’efficacia del sistema. Il confronto perciò non poteva che svilupparsi intorno alle soluzioni o non soluzioni adottate con la “buona scuola” del governo Renzi, tradottasi ormai nella legge 13 luglio 2015 n. 107. Le tre sessioni sono state coordinate rispettivamente da Cristina Bonaglia, Maurizio Serafini e Giampaolo Sbarra. Le relazioni sono state tenute, dopo l’apertura della presidente ADi Alessandra Cenerini, da Rosario Drago e Luigi Berlinguer, Marco Bardelli e Maria Galperti, la stessa Alessandra Cenerini e Vanna Contini. Al termine di ogni relazione si è sviluppato un vivace e costruttivo dibattito. Dunque, che cosa è emerso alla fine dai due ADi-Days romani? Naturalmente con riferimento allo stretto essenziale e al senso della cose. Andiamo per punti.
- Sull’organizzazione dell’autonomia
La legge 107 nella sostanza lascia le cose come stanno, sia perché non tocca né la centralità né l’organizzazione e né la natura burocratica del Ministero, sia perché l’aumento di funzioni attribuite alle singole istituzioni scolastiche non si accompagna alla piena decentralizzazione delle funzioni organizzative e amministrative alle regioni e al coinvolgimento delle comunità locali nel supporto alle scuole autonome. Scuole che si vedono si attribuito il compito di elaborare un piano di offerta formativa triennale a cui si lega anche l’assunzione del personale necessario alla sua attuazione per la parte di materie aggiunte o potenziate, ma che possono agire solo entro strettissime maglie finanziarie e organizzative prestabilite. L’orario delle lezioni in teoria è più flessibile, ma gli ostacoli pratici lo rendono ancora molto rigido. L’orario di cattedra non viene toccato, ed è lontano dall’idea dell’orario onnicomprensivo che consentirebbe quella flessibilità e quella collegialità che in una scuola al servizio dello studente sarebbe assolutamente indispensabile. In sostanza è come se si dicesse alle scuole “adesso vediamo che cosa sapete fare”, senza dare però ad esse poteri veri con connesse adeguate responsabilità. L’autonomia è un’altra cosa: vedi anche sotto a proposito del curricolo. Insomma, rimane in piedi ben salda un’organizzazione quasi punitiva, lontana da quella scuola a cui lo studente ogni mattina va volentieri, addirittura senza classi e proiettata verso la creatività e la personalizzazione, che è nelle aspirazioni di chiunque sappia guardare fin d’ora al futuro.
- Sul curricolo
La legge 107 rompe finalmente con la lunga storia di un organico che Rosario Drago ha definito “corpo mistico” (qualcosa di intoccabile). L’organico del personale per la prima volta diventa modificabile in ragione dell’ampliamento dell’offerta formativa, cioè si lega al curricolo, che come si sa è fatto di apprendimenti e dunque di materie, orari, attività di insegnamento. Dunque un innegabile passo avanti, ma così timido da sembrare una novità solo perché inserito in un corpo sclerotizzato. Non viene infatti toccato il carattere essenziale del sistema, il fatto che esso continua ad essere costruito non sulla domanda ma sull’offerta di istruzione. Non sono i bisogni intellettuali, psicologici, relazionali, dei giovani, in sostanza il loro diritto a costruirsi un solido bagaglio di strumenti mentali utili ad un loro autonomo progetto di vita, a guidare il processo di adeguamento della scuola alle mutanti esigenze della società. È invece la necessità di “sistemare” 100/150 mila precari, cosa indiscutibilmente giusta arrivati a questo punto, ma certo da non fare in questo modo e in un contesto di sostanziale conservazione di fini e metodi. Così la questione di quali siano le competenze e le abilità, il sapere e il saper fare (lasciamo stare il saper essere che è cosa molto più complicata) di un giovane di oggi e di domani (la scuola è necessariamente prospettica) resta qualcosa di vago, che sta lì in una specie di limbo, come se fosse una cosa secondaria e marginale quando invece è l’essenza delle essenze di un sistema scolastico che voglia avere una giustificazione per il suo esserci. Dove sta la flessibilità e la personalizzazione del curricolo? Si vedono, nel caso, solo più materie e più ore, non più scelta e più qualità in rapporto a interessi e propensioni. Sembra come sempre più una risposta al bisogno di sistemare persone piuttosto che dovere di rispondere ad esigenze formative diverse. La questione poi dell’istruzione professionale statale e del suo rapporto con la formazione in capo alle regioni non è nemmeno sfiorata e il problema del rapporto della preparazione teorica con la realtà pratica non è certo risolto con le 400 ore di stage in azienda. Tirando le somme, si può dunque dire che la questione di un curricolo dei diversi indirizzi adeguato alle esigenze di una preparazione moderna dei giovani, con tutte le sue implicazioni di organizzazione del sistema e di utilizzazione funzionale del personale docente, resta del tutto aperta.
- Sulla docenza e la dirigenza
La legge 107 modifica aspetti non secondari della professione docente e della funzione dirigenziale, ma vediamo come. Per la docenza, non solo prevede l’assunzione di una notevole quantità di personale precario, ma per esempio istituisce l’organico dell’autonomia, un minimo di formazione obbligatoria in servizio e una forma di valutazione e di riconoscimento del merito, e parla anche di fine del precariato e di assunzione solo per concorso. Il guaio è però che l’organico dell’autonomia è tagliato su quell’autonomia di cui sopra ed è destinato a riprodurre quel precariato che si proclama di voler abolire, la formazione obbligatoria non si sa come verrà fatta e soprattutto se e come se ne conosceranno gli esiti, la valutazione del merito, peraltro con risorse esigue, viene affidata sbrigativamente ad un comitato formato anche da personale non esperto. Soprattutto, dov’è una vera carriera dei docenti come negli altri paesi dove la scuola funziona? Dove sono le funzioni intermedie che di tale carriera possono essere gli sbocchi, fino ai gradi più alti? Dov’è lo stato giuridico con la definizione degli standard professionali, i diritti e i doveri del bravo docente? Dov’è la valutazione del merito, che si fa in ingresso, oltre che naturalmente, ma in modo serio, anche in itinere? Tutti sanno o dovrebbero sapere che l’obiettivo di una vera riforma centrata sull’insegnante del 21° secolo è la costruzione in ogni scuola di un adeguato capitale professionale (capitale umano + capitale sociale + capitale decisionale), ma dov’è anche solo l’inizio di un processo del genere? Per la dirigenza poi, la nuova legge stabilisce certamente una notevole quantità di funzioni, ma queste in grandissima parte sono di fatto già esistenti, anche se magari spesso non esercitate o esercitate male. Però soprattutto si configurano più come incombenze che come poteri reali, per cui non emerge affatto quella figura di sceriffo che si è voluto presentare come il pericolo vero di una riforma autoritaria. Operazione polemica sbagliata e chiaramente strumentale, cosa chiara per chi si soffermi a leggere il dispositivo, anche senza andare al netto delle pur presenti ambiguità. In ogni caso anche per il dirigente non solo sono ambigui i suoi poteri reali e quindi il tipo e la portata delle sue responsabilità rispetto allo stato e all’utenza, ma non sono affatto chiare né le modalità di assunzione né quelle di valutazione e le conseguenze nel caso di esito negativo. Anche qui c’è spazio per lavorare a modifiche significative in fase di attuazione.
- Conclusione
Che cosa si può dire dunque a conclusione? Che non siamo di fronte ad una riforma di sistema, ma semplicemente alla risoluzione di un problema principale (l’eliminazione di una massa di precariato incompatibile con le norme europee) e ad aggiustamenti di una serie di problemi particolari, anche se importanti, con alcuni spunti innovativi nel quadro però di un sistema che resta centralistico, burocratico, centrato sull’offerta e non sulla domanda. Un sistema che continuerà a funzionare male e a non dare le risposte di cui hanno bisogno i giovani e il sistema Paese se non ci si deciderà ad adottare le soluzioni che non solo ADi, le indagini sul campo, gli esperti e gli esempi internazionali ormai da tempo indicano, ma anche il semplice buonsenso civico, il bene che vogliamo ai nostri giovani e con essi al nostro Paese. Ma, si dirà, c’è la legge con i suoi obblighi. Certo, però la legge è da attuare, e non solo ci sono aspetti delegati al governo su cui si può intervenire, ma c’è modo e modo per la gestione delle diverse fasi e dei diversi aspetti. ADi contrasterà in modo deciso gli aspetti negativi o addirittura pericolosi, ma contemporaneamente si adopererà per avanzare proposte possibili per un miglioramento urgente e necessario. La cultura di ADi è quella di chi non solo vuole il bene della scuola, libera da pregiudizi e da interessi particolari, ma di chi si impegna sul serio nell’opera di cambiamento. Nelle prossime settimane saranno pubblicati i risultati delle due giornate di studio e all’inizio di settembre faremo iniziative nelle scuole perché si possa scegliere tra protesta e proposta.