di Mario Tiberi
Nel partecipare alle pubbliche assemblee, il più delle volte sarebbe mia intenzione non prendere la parola per assecondare il dovere all’ascolto docente al posto dell’interlocuzione infertile ed, anche, per non essere tacciato di eccessivo presenzialismo e/o protagonismo.
Tanto è vero che, spesso, mi capita di posizionarmi nelle ultime file delle sale che ospitano le assemblee di cui sopra e, ciò, per starmene in assorta elaborazione di pensiero e tendere l’orecchio a chi ha da dire di meglio di quello che può uscire dalle mie labbra.
Ancor più spesso, però, non so trattenermi e, quasi senza accorgermene, alzo istintivamente la mano per chiedere parola, soprattutto quando vengono oltrepassati i limiti della umana pazienza.
Senza, spero, abusare della Vostra, vorrei narrare brevemente quanto accadutomi in una delle conferenze, non molto lontane nel tempo, e a cui ho partecipato.
Il tema dell’incontro verteva su “Fede e Politica”.
In via di normalità, non arrotolo mai preventivamente il filo conduttore dell’intervento che andrò ad espletare ma, in quell’occasione, lo srotolamento del filo medesimo fu più naturale del solito.
Nella mia memoria visiva, d’improvviso, è apparsa la figura di Don Luigi Sturzo che mi imponeva di riaffermare vigorosamente, a oltre novant’anni di distanza, di come l’impegno politico nella vita pubblica, anche e soprattutto dei cristiano-democratici, non può non avere che una matrice laica e aconfessionale poiché la dimensione di Dio è ben altro rispetto a quella di Cesare.
Così deve essere e così sia!
Poi, avendo poco prima osservato un andirivieni nevrastenico di alcuni personaggi più interessati alla verifica del numero dei presenti che alla qualità del dibattito, sono stato preso da un fervore critico che mi ha portato a pronunciare la parola “mediocrità”, non aurea, ma bronzea.
Sento il dovere, a tal punto, di tracciare un conciso profilo del “mediocre”.
E’ mediocre chi mai si manifesta e preferisce sempre nascondersi, per codarda autodifesa, nelle zone d’ombra del buio del “…non so…”, “…vedremo…”, “…forse domani…” e, tutto questo, per non decidere mai e lasciare al vento il disperdersi delle proprie responsabilità. E’ mediocre chi, quando parla, non ti guarda mai negli occhi e, rivoltando nervosamente le mani sudaticce l’una sull’altra, ti pianta in asso perché non ha più nulla da dire in quanto fin dall’inizio non aveva nulla da dire. E’ mediocre il superbo perché, obnubilato dalle irreali certezze della sua presunzione, non sa distinguere il vero dal falso, anzi tende a spacciare per vere le falsità del microcosmo che si è ad arte costruito per una esistenza senza colori e sapori.
La quintessenza, però, del mediocre risiede nella circostanza che egli è il peggior conservatorista. Badate bene, ho usato il termine “conservatorista” e non “conservatore”. Tra le due figure, infatti, corre l’abissale differenza che il primo è un retrivo apriorista mentre, il secondo, è un convinto e spesso saggio difensore di valori non meritevoli di essere gettati alle ortiche.
Il mediocre è conservatorista in quanto lo spaventa ogni qualsivoglia novità non essendo attrezzato ad affrontarla, in quanto deve mantenere ad ogni costo le rendite di posizione acquisite poiché altre non è in grado di conquistarle, in quanto è talmente disonesto con sé e con gli altri da non voler ammettere che il suo tempo è ormai scaduto e, dunque, che vi è necessità di dare spazio a chi ha più propellente e nel corpo e nell’Anima.
Me ne rendo conto: sarebbe splendido vedere i mediocri-conservatoristi i quali, volontariamente, decidano di mettersi da parte, soprattutto nella sfera del cimento politico, ma, se non agiranno per volontà, ne saranno costretti per obiettive cause di forza maggiore.