di Dante Freddi
Il Pd, partito di maggioranza relativa a Orvieto, è in mezzo a una bufera che dura da oltre un anno e chi ne subisce le conseguenze è ovviamente la città. Intendiamoci, il fatto che si faccia meno politica partitica e che la presenza di via Pianzola siano ormai un flebile e raro sospiro, data l’esperienza del passato recente, non preoccupa, anzi, forse ci sono meno danni.
Però, questa situazione di scontro insanabile nel partito erede di tanti elettori di centro e di sinistra intristisce, perché offre la misura nostrana, vicina, prossima, del degrado della politica, anche nell’unico partito vero che è rimasto. Soffoca la speranza, per chi ce l’ha, che ci sia un luogo pubblico dove persone si incontrano per discutere della città, del Paese, del Mondo, come attori, portatori di culture politiche diverse, ma disponibili a studiare un progetto comune per vivere meglio. La destra orvietana ha già rinunciato a questa organizzazione popolare, qui e in Italia, da vent’anni, e quindi non c’è neppure più il ricordo di un pensiero che proviene da quell’area, se non riferito a ottime persone singole, appassionati amministratori, ma senza casa “dove” far crescere le idee.
Chi non ha mai partecipato alla vita di un partito, come gran parte dei giovani, non si rende conto quale palestra fosse fino a una trentina d’anni fa. Sì, certo, interessi personali, clientelismo, ma anche un popolo gorgogliante di ideali, di fede, di passione, a destra e a sinistra. Si poteva ascoltare ed essere ascoltati, ragionare, parteggiare, infocolarsi, perfino coltivare inimicizie profonde, ma c’era una vitalità che prorompeva dalla convinzione che ci fosse la possibilità di contribuire a migliorare quanto avevamo trovato, in un modo o in un altro.
Nelle parole di Trequattrini e di Giovannini, portavoce dei dissidenti della segreteria Scopetti in occasione dell’incontro con la stampa della scorsa settimana, si sentiva il rimpianto di un “ambiente politico” più che le rimostranze per presunte violazioni delle regole statutarie, che ci hanno detto travolte con sicumera, senza rispetto per il partito comune e per le ragioni degli altri.
Trequattrini sospirava un ambiente perduto e Giovannini un ambiente agognato, ma la voglia di costruire è sembrata sincera. Entrambi si sono appellati al segretario provinciale del Pd, Carlo Emanuele Trappolino, perché si attivi per dar vita a circoli locali del partito in cui le idee possano confrontarsi e trovare la possibilità di tradursi in progetti e in azioni, che sappiano sostenere l’Amministrazione Germani, che costituiscano riferimento per i cittadini. Insomma, vogliono “fare politica” e accusano Scopetti di impedirglielo per gestire senza scocciature il Pd come fosse “cosa sua”.
“Rassegniamo le dimissioni dal coordinamento comunale del Pd di Orvieto- scrivono in 15-.. Ribadiamo di voler continuare ad esercitare la nostra attività politica nei circoli del Pd nei quali siamo iscritti, con l’impegno e la passione che anima chi, come unico interesse, ha lo sviluppo sociale ed economico della propria città e la crescita del Pd”.
I dimissionari sono Pietro Caiello, Lamberto Custodi, Federico Giovannini, Silvia Fringuello, Giorgio Caiello, Umberto Fringuello, Michela Ricolfi, Flavia Rizzica, Serena Piazzai, Andrea Bracciantini, Carlo Carletti, Fabrizio Trequattrini, Gianluca Foresi, Fabrizio Pacioni e Valentino Filippetti.
Non sono certo tutte mammolette e qualche nome porterebbe istintivamente a dar ragione a Scopetti. Poi, guardando dall’altra parte, si comprendono le ragioni di Trequattrini, che almeno sostiene la necessità dell’assoluto rispetto delle regole statutarie e della massima partecipazione per selezionare a far vivere una nuova classe dirigente, attenta e rispettosa del bene comune.
Sarebbe un primo passo verso il bello, il buono, il vero e il giusto della politica, verso il rispetto della sua etica. E vale a destra e a manca.