IL TEATRINO MASSMEDIATICO CHE NASCONDE LE VERITÀ SCOMODE
Caro Barbabella,
il signor Massimo Gnagnarini, quando non era né consigliere né assessore, inventò un tormentone contro l’amministrazione Concina consistente in un quadretto su Orvietosì dove scorrevano i numeri, sempre in aumento, del debito del Comune di Orvieto. Ho sentito dire che l’attuale opposizione sta preparando uno scherzetto del genere con lo scorrere dei giorni dall’insediamento dell’amministrazione Germani senza che sia risolto il problema della destinazione del Casermone. Le risulta?
Amedeo G.
No, caro Amedeo, non ne so nulla; me ne informa lei, e non ho motivo di dubitare che questo scherzetto ci sarà. Ma sarà appunto uno scherzetto, come lo era l’altro. Massimo Gnagnarini aveva deciso di aiutare il PD, e segnatamente Giuseppe Germani, a riprendersi il Comune dopo quella che veniva considerata la parentesi Concina, e aveva messo a disposizione dell’operazione di riconquista la sua fantasia finanziaria e la logica della zanzara mediatica. Naturalmente lo scherzetto se preso come tale era efficace, ma aveva anche il sapore del nascondimento della realtà, giacché l’indebitamento del Comune derivava dalle amministrazioni precedenti e la Giunta Concina non faceva altro che arrabattarsi, a dire il vero senza creatività progettuale, per contenere i danni. Tant’è che una volta diventato assessore della Giunta Germani, Gnagnarini non ha modificato granché di quello che ha trovato, né in realtà avrebbe potuto farlo se non nel quadro di una politica di slancio progettuale, che certo non dà risultati immediati ma è l’unica che crea futuro. Io credo non casuale che proprio questa politica non venga fatta. E così il non farla è il vero elemento di continuità amministrativa tra la fase di centrodestra e la ripresa del centrosinistra. Che dire allora dello scherzetto di cui lei mi annuncia l’arrivo? Anche questo avrebbe sì la funzione di una fastidiosa zanzara mediatica ma sarebbe anche un nascondimento della realtà, esattamente come l’altro, anzi, questa volta con qualche aggravante. Infatti, chi ormai dieci anni fa affossò deliberatamente il progetto di rifunzionalizzazione del Casermone furono non solo i massimi responsabili politici e amministrativi della maggioranza di centrosinistra ma anche esponenti diversi delle minoranze, tutti interessati a che l’operazione che RPO aveva ben avviato con un serio business plan non andasse effettivamente in porto. Questo comportamento l’ho sempre ritenuto più che un’anomalia una caratteristica della politica e della mentalità orvietana. I dieci anni di stasi che ne sono seguiti sono anche dieci anni di danni per la città e per l’intero territorio, e io non finirò mai di stupirmi che gli amministratori (e non solo loro ovviamente) ad oggi non abbiano sentito – dico nessuno di loro – il dovere di rilevarli e di chiederne il risarcimento a chi li ha fatti. Perché meravigliarsi ora che si cerchi di nascondere ancora la verità con il teatrino massmediatico e non si imbocchi, senza guardare in faccia nessuno, la strada maestra della denuncia delle responsabilità vere e conclamate e nel contempo quella della progettualità di ampio respiro nella quale inserire una nuova operazione di rifunzionalizzazione a scala urbana dell’ex Piave? Operazione che sarebbe per forza di cose non meno ambiziosa e innovatrice della precedente, se non altro per la mancanza oggi dei vincoli (eccessiva presenza delle destinazioni pubbliche) che allora ne limitavano pesantemente l’appetibilità di mercato.
NÉ OTTIMISMO PADOANRENZIANO NÉ CATASTROFISMO PASSERANO
Caro Barbabella,
Corrado Passera, fondatore di Italia Futura, e prossimo candidato a sindaco di Milano sostiene che, con la politica economica del governo Renzi, che non riesce a mobilitare investimenti nazionali e internazionali, pubblici e privati, l’Italia va a sbattere. Ho l’impressione che i dati del debito pubblico e della disoccupazione gli diano ragione. Lei come la vede?
Francesco M.
Caro Francesco, se c’è una cosa che con il tempo mi è diventata chiara è che in un mondo nel quale tutti si sentono autorizzati a parlare di tutto non possiamo evitare di sopportare anche le chiacchiere degli economisti. Non saprei dire se Corrado Passera è capace di analisi e previsioni più attendibili di altri, ma è certo che è meglio credere alle previsioni del Mago Telma che a quelle di un economista. Naturalmente con questo non sto affermando che è credibile l’ottimismo padoanrenziano, seppure supportato dai dati positivi di questi giorni sulla produzione e sull’occupazione. Mi metto solo su un piano di prudente attesa, con la speranza che i segnali di ripresa diventino effettiva e stabile inversione di tendenza. Certo, questa fiducia poggia ancora soprattutto sul fatto che durino le condizioni favorevoli esterne (il prezzo del greggio, le iniezioni finanziarie della BCE, gli spazi di mercato mondiale per i prodotti del Made in Italy). Ed è sicuro che non si vedono riforme interne capaci di incidere in modo duraturo su evasione, sprechi e corruzione, i tre cancri che da soli, se affrontati sul serio e rimossi, ci farebbero non solo stare sul sicuro, ma essere anche uno dei paesi più ordinati e benestanti del mondo. Insomma, se sono prudente con le spruzzate giornaliere dell’ottimismo renziano, non lo sono di meno con le bordate periodiche del catastrofismo passerano.
RIMPANGERE LE PROVINCE? MA NON SCHERZIAMO!
Caro Leoni,
i presidenti delle Province di Terni e Perugia, insieme ad altri 8 presidenti di province toscane, laziali e marchigiane, denunciano l’impossibilità di fare i bilanci 2015 a causa dei pesantissimi tagli operati dal governo con la legge di stabilità (6 miliardi nel triennio 2015-2017) e la mancata attuazione della legge Delrio (passaggio delle funzioni alle regioni, ai comuni e allo stato stesso dal 1° gennaio 2015). Chiedono al Parlamento un intervento risolutivo perché – dicono – non approvare il bilancio equivale a non far funzionare servizi essenziali. Chiedo io: ma perché qualche volta, se non in tempi ormai lontani, i servizi gestiti dalle province hanno funzionato? E Renzi, all’epoca della furia rottamatrice, non aveva detto che le province dovevano essere semplicemente abolite?
Girolamo S.
Le riforme si chiamano riforme per distinguerle dalle rivoluzioni, e i riformisti si chiamano riformisti per distinguerli dai rivoluzionari. In altri termini, le riforme servono per calmare l’ansia di miglioramento, prevenendo l’esasperazione e la rivolta. Alle riforme sono ostili i conservatori, cioè coloro che hanno paura di tutte cose che non sono state già fatte. Renzi e il suo governo sono scaturiti dalla necessità di uscire dal melmoso andazzo di uno Stato inefficiente e indebitato. Le province erano l’obiettivo giusto per cominciare: quasi tutti le consideravano inutili e dispendiose e piacevano solo a coloro che ci lavoravano e agli amministratori di secondo livello che andavano lì a farsi le ossa, o a curarle dopo essersele rotte altrove. Non c’era niente di meglio che cominciare con l’abolizione delle Province. Ma c’era di mezzo la Costituzione. E poiché non è possibile abolire le province senza modificare la Costituzione (campa cavallo!) ecco il decreto Delrio. Lo scopo non era fare una bella riforma, che senza soldi e a Costituzione invariata, era impossibile, ma dimostrare che il governo aveva la forza di riformare qualcosa. Le strade sono piene di buche e gli edifici scolastici cadono a pezzi? È colpa di Delrio e del debito pubblico?
COS’È CHE, TRA UN’ALLUVIONE E L’ALTRA, FRENA LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?
Caro Leoni,
la neoeletta Presidente Marini, in veste di commissario delegato alla protezione civile, ha finalmente firmato il decreto che rimodula gli “interventi indifferibili” per la “mitigazione del rischio idraulico” del fiume Paglia. L’assessore Custolino si dichiara soddisfatto perché ora potranno (ma niente di preciso) essere affidati i lavori con “procedura negoziata”. Sarebbe interessante analizzare il linguaggio per capire come nella realtà funzionano le cose al di là dei proclami. Ma io le voglio porre un’altra domanda: non sarebbe necessario che gli amministratori, prima di ogni altro discorso, chiarissero ai cittadini perché, dopo lo stanziamento di cospicui finanziamenti per le opere urgenti – si badi bene, URGENTI – è passato così tanto tempo per la definizione delle procedure di affidamento dei lavori (e non ancora per il loro inizio) che l’Associazione Val di Paglia si è vista costretta a rivolgersi direttamente al Paglia invocandone la benevolenza in vista della prossima stagione delle piogge?
Adriano M.
Caro Adriano, la lunghezza dei procedimenti pubblici e la lentezza delle decisioni politiche creano situazioni di emergenza che poi consentono di adoperare scelte molto discrezionali nell’affidamento di incarichi professionali e nell’appalto di lavori e di forniture. Nonostante ciò, non ci vedo solo malizia. Ma sono dell’opinione che la lentezza sia causata prevalentemente dalla paura. Il decisionismo dei politici e dei dirigenti pubblici è frenato dallo spettro di una magistratura troppo ficcante che mette quotidianamente nei guai politici e dirigenti, aiutata da una legislazione farraginosa. Le amministrazioni regionali e locali condussero una lunga battaglia per liberarsi dei controlli preventivi amministrativi e caddero nelle braccia della magistratura. Nell’attuale contesto il rischio di un processo è molto più alto di quello di un’alluvione.
Teologia e povertà
di Pier Luigi Leoni
Troppa teologia, più che l’età, aveva stressato Papa Ratzinger. E lui aprì umilmente la porta a un personaggio che poco si era occupato di teologia e molto di povertà. Quella povertà che, se non scandalizza il cristiano, è solo perché costui non è cristiano; anche quando dice, e magari crede, di esserlo.
Non so se Papa Bergoglio abbia letto la scanzonata terzina del Belli:
Inzomma, da la predica de jjeri,
ggira che tt’ariggira, in concrusione
venissimo a ccapí cche ssò mmisteri.
Fatto sta che Papa Francesco ha lasciato in pace i misteri insondabili della dottrina cristiana e si occupa di un mistero molto sondabile: lo scandalo della povertà.
Per Bergoglio non è questione di capitalismo e di comunismo, di liberismo e di socialismo. È questione di ricchezza e di povertà. Il ricco, comunque sia diventato ricco, ha il dovere di aiutare il povero, e il povero, comunque sia diventato povero, ha il diritto di essere aiutato.
La messa in ombra della teologia imbarazza i cattolici conservatori, che del resto sono conservatori anche perché la Chiesa li ha spesso esortati a esserlo. E il richiamo pressante al dovere dei ricchi nei confronti dei poveri è irritante per coloro che non vedono altre strade per l’umanità oltre al capitalismo reale, anche perché la demagogia dei cosiddetti progressisti li ha profondamente disgustati.
Ma Papa Francesco non fa che ispirarsi alla parabola evangelica del giovane ricco che, quando Gesù lo esortò a vendere i propri beni e a dare il ricavato ai poveri, non se la sentì “e andò via triste”.
Secondo l’interpretazione della Chiesa, confermata da Papa Ratzinger, Gesù esortò il giovane ricco a liberarsi dei beni non perché ne sarebbe derivata una società più giusta. Anzi, coloro che lavoravano per il giovane ricco avrebbero perso il salario, e i poveri beneficati, dopo un momentaneo sollievo, sarebbero ridiventati poveri. Ma Gesù si era reso conto che l’anima del giovane era schiavizzata dalla ricchezza e quindi, per essere libero e felice, doveva spezzare le catene. Ciò che fece Francesco d’Assisi dodici secoli dopo.
Ma non tutti i ricchi sono come il giovane del Vangelo e come il figlio viziato del ricco mercante di Assisi. Papa Francesco li esorta semplicemente e saggiamente, anche per il loro bene, a usare le ricchezze che eccedono le necessità di una vita dignitosa e gli accantonamenti per le prospettive familiari e aziendali, per togliersi dalla coscienza il peso che non può non dare lo spettacolo della povertà.