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Home LETTERE PROVINCIALI

LETTERE PROVINCIALI n° 43 dell’8 giugno 2015

Redazione by Redazione
9 Giugno 2015
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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IL CAMBISMO NON È RIFORMISMO

Caro Leoni,

molti commentatori ritengono che con le recenti elezioni regionali Renzi abbia preso una tranvata: Zaia più Tosi in Veneto fanno tre volte la giovane e belloccia Moretti, renziana di ferro; il portavoce berlusconiano Toti, catapultato all’ultimo momento in Liguria, espugna alla grande una delle roccaforti della sinistra sconfiggendo la pure renziana, anche lei giovane e belloccia, Paita; due regioni ritenute sicure, perse, e nelle altre regioni non è stato certo un trionfo, con due milioni di voti in meno di solo un anno fa. Molte le cause, ma riducibili a tre più chiare: promesse affastellate e costantemente non mantenute; riduzione delle istituzioni ad affare privato (il consiglio dei ministri è ormai lo staff del presidente); il ‘cambismo’ scambiato per riformismo. Quest’ultimo forse è l’aspetto più inquietante perché è un inganno, ma è il tipico inganno che affascina. Ragazze giovani e carine (Prima Boschi e Madia, poi Moretti e Paita) al posto di gente preparata e capace, e così, al grido cambiamo, cambiamo, in tutto il Paese c’è chi ha pensato che cambiare era solo un fatto anagrafico e di immagine, un po’ come aveva insegnato il Berlusca dei tempi d’oro. Ora il popolo sta rinsavendo? Io non credo: per me passa dalla padella alla brace (Salvini e Grillo). Io sono pessimista. Lei è ottimista?

Anacleto P.

Caro Anacleto, tu, nella smania di sparare su Matteo Renzi, arrivi al punto da definire giovane e belloccia la Moretti, che invece è una donna matura e molto bella. E arrivi al punto di definire giovani e carine la Boschi e la Madia che invece sono due bellezze rare. Certo, non bastano le belle donne per rinnovare la politica, ma ho l’impressione che una bella donna non arriverebbe al punto in cui è arrivata la Fornero, che ha massacrato il ceto medio, cadendo perfino nel tranello dei dati falsi fornitile dalla burocrazia statale. Credevi, caro Anacleto, che il ceto medio non si sarebbe incavolato? Come minimo non è andato a votare. Matteo Renzi non è perfetto e non le azzecca tutte; piace a meno della metà degli italiani, ma non ha instaurato una dittatura, e chi lo vuole sostituire è meglio che si organizzi, si unisca e trovi i voti, altrimenti Renzi invecchierà al potere insieme alle belle donne di cui si è circondato e che diventeranno tranquillamente delle belle tardone.

TRAPPOLINO: ASTENSIONISMO, LEGHISMO E GRILLISMO AVANZANO? ALLORA NOI FAREMO UN “SUPPLEMENTO DI RIFLESSIONE”. OHIBÒ!

Caro Leoni,

l’on. Carlo Emanuele Trappolino prima fa un’analisi soddisfatta del voto del suo partito in provincia di Terni, poi però, resosi conto che l’enorme astensionismo e il successo leghista e pentastellato non possono far dormire sonni tranquilli, dice che questi fenomeni “ci impongono attenzione e un supplemento di riflessione”. Io trovo questa frase veramente straordinaria. Lei che dice, sarà l’annuncio di una inaspettata rivoluzione? No, perché io non m’ero accorta che c’era stata una riflessione. Lei se n’era accorto?

Giuseppina T.

Tu, cara Giuseppina, vuoi indurmi a dire qualcosa di cattivo sull’on. Trappolino. Non ci casco, perché l’on. Trappolino e i suoi compagni avevano ben riflettuto sulla efficacia della nuova legge elettorale regionale che avevano fatta a proprio uso e consumo. Certo, la dimensione dell’astensionismo, il successo della Lega e dei grillini e, aggiungo io, il calo dei voti del PD, meritano un supplemento di riflessione. Ma sarà una riflessione molto breve: “Con la legge elettorale abbiamo dimostrato di essere ancora i più furbi.”

HA FATTO BENE TONI CONCINA A LASCIARE LO SCRANNO DA CONSIGLIERE A STEFANO OLIMPIERI?

Caro Barbabella,

Toni Concina si è dimesso da consigliere comunale. Secondo me ha fatto bene perché per un sindaco ricandidatosi e non confermato dall’elettorato, il seggio di consigliere spettantegli per legge è un contentino umiliante. Perciò ha fatto del bene a se stesso e al suo successore. Lei come la vede?

Antonio D.

Un’antica tradizione vorrebbe che chi si presenta alle elezioni come capo di uno schieramento per essere eletto sindaco ed è sconfitto resti in Consiglio come capo dell’opposizione. Io ritengo che questa tradizione andrebbe mantenuta e non condivido l’opinione che il seggio di consigliere che spetta al candidato sindaco sconfitto sarebbe “un contentino umiliante”: egli infatti dovrebbe essere e fare sul serio il capo dell’opposizione, non solo occupare formalmente uno scranno. Solo così la democrazia respira, perché l’essenza della democrazia è l’esistenza di opzioni diverse. Ma evidentemente questo costume non è più attuale ed altrettanto evidentemente non è più attuale l’idea che ci si mette al servizio delle istituzioni e non viceversa. L’argomento che non è il primo a farlo (lo hanno fatto in diversi, da Sergio Ercini a Loriana Stella, e – a proposito di coerenza – in entrambi i casi ho dato il giudizio di oggi) non attenua la mia contrarietà, ché anzi la rafforza, essendo chiaro che con la decisione attuale di fatto si rende ancor piu normale un comportamento che al contrario dovrebbe solo essere eccezionale e determinato da cause di forza maggiore. Per questo, mentre posso capire le motivazioni personali di Toni Concina, non posso condividere la sua scelta. Peraltro, mentre avrà forse fatto il bene di se stesso (solo lui può saperlo), non sono sicuro che avrà fatto anche il bene del suo successore (la cui funzione di consigliere è sì anche cosa personale, ma per conto di altri e per il bene di tutti, ciò che in concreto dovrà essere dimostrato), mentre sono sicuro che non ha fatto il bene dell’istituzione, sia per le ragioni dette sopra, sia perché impoverisce il Consiglio, essendo lui persona di spessore, di equilibrio e di stile.

ORA ORVIETO HA PERSO ANCHE L’ULTIMO ELEMENTO SIMBOLICO DELLA SUA AUTONOMIA

Caro Barbabella,

Luciano Dottarelli, professore di storia e filosofia ed ex sindaco di Bolsena, ha pubblicato un saggio intitolato “Musonio l’Etrusco – la filosofia come scienza di vita” dedicato al filosofo stoico del primo secolo d.C. di origini bolsenesi. Dottarelli mette in evidenza, a cominciare dal titolo, l’influenza della civiltà etrusca sul filosofo bolsenese. Molti secoli sono passati e molti eventi sono accaduti: l’affermazione del cristianesimo, le invasioni barbariche, le dominazioni straniere, l’avvento della modernità. Ma è rimasto qualcosa per cui possiamo sperare che, dalla riorganizzazione delle regioni, venga fuori la regione dell’Etruria?

Alessandro M.

Caro Alessandro, ho dedicato una vita all’affermazione dell’idea che aree come la nostra hanno un futuro solo se le classi dirigenti sanno guardare al di là degli interessi spiccioli per andare oltre i confini amministrativi e fare massa critica con le terre confinanti delle altre regioni. Ho parlato parecchi anni fa dell’Orvietano come area cerniera tra Umbria, Alto Lazio e Bassa Toscana, ed ho cercato in diversi modi di dimostrare che questa è la strada. Devo riconoscere che in questa direzione qualche passo avanti s’è fatto, se nella recente campagna elettorale ne hanno parlato anche coloro che per decenni l’hanno ignorata. E tuttavia a lei, caro Alessandro, sembra che sia realmente questo l’interesse prevalente? Valuti la realtà e decida. E poi lei stesso vedo che continua a proporre una prospettiva, che chiamerei “vetero-tuscista”, che non ci aiuta. La regione dell’Etruria (o Tuscia) era ieri e può essere ancora oggi una stimolante emozione intellettuale, ma niente di più, come è un’emozione intellettuale preziosa il libro di Luciano Dottarelli. Però per fare un progetto politico ci vuole ben altro che l’emozione che nasce dal richiamo delle comuni radici etrusche. Io parlerei piuttosto, come ho fatto in altra occasione, di “Regione dei due mari”, una Regione dell’Italia di mezzo, dal Tirreno all’Adriatico. Su questa prospettiva si potrebbe davvero costruire un progetto politico di grande respiro, in cui aree come la nostra potrebbero giocare un ruolo di avvio e di progressivo allargamento. Ma dove sono gli interlocutori capaci di svincolarsi dai lacci e laccioli che li tengono avvinghiati a ciò che è di immediato interesse? Non vede che, per mancanza di visione e di coraggio, si sono lasciati portar via tutto ciò che distingue una città da un paesotto?: l’altro ieri la ASL, ieri il Tribunale, oggi anche la rappresentanza regionale. Io ritengo brutta e grave questa situazione, ma oltre a dirlo e ad offrire una via d’uscita mettendoci la faccia non posso certo andare.

 

barbabella1L’elzeviro della settimana

 Orvieto ancor più ai margini. Ma a chi interessa?

di Franco Raimondo Barbabella

Ho partecipato alle recenti elezioni regionali per coerenza con l’idea della politica e dell’etica pubblica che ho coltivato fin dall’inizio delle mie esperienze amministrative e professionali. La politica è si passione, ma soprattutto è esercizio di razionalità, visione di possibilità e costruzione di futuro. La politica non è chiacchiera e spettacolo, ma idee e iniziative per lanciare prospettive e risolvere problemi. La politica è sguardo lungo, superamento degli interessi particolari a vantaggio di quelli generali. A quest’idea ho cercato di restare fedele.

Il tema centrale di queste elezioni era quale Umbria vogliano per l’immediato e per il più lontano futuro. Questione di stringente attualità, perché regioni piccole come la nostra non possono reggere di fronte alle sfide del nostro tempo, che spingono a riorganizzazioni durissime delle istituzioni e delle strategie di governo. Da qui la domanda: che si fa, si aspetta che altri decidano per noi o siamo noi stessi a impostare il nostro futuro? Bisognava porre il problema e il problema è stato posto.

Con alcuni amici, espressioni del civismo umbro, abbiamo lavorato per tempo alla costruzione di un movimento (“Alleanza dei Territori”) la cui idea portante era appunto l’inevitabile necessità di una macroregione dell’Italia mediana nella quale far giocare ai territori dell’Umbria il ruolo di zone-cerniera interregionali, o meglio, di ponti progettuali di uno sviluppo segnato dalla valorizzazione delle risorse specifiche, che nel nostro caso partono dalla filiera ambiente-agricoltura-enogastronomia, proseguono con la gemella arte-cultura-turismo e finiscono con la coordinata artigianato-formazione-ricerca-tecnologia. E abbiamo posto il problema.

Lo abbiamo fatto proponendo una legge elettorale contrapposta a quella che veniva avanti in Commissione statuto e che alla fine è stata votata dai due maggiori schieramenti. La nostra proposta rovesciava la piramide del potere e la tradizionale logica verticistica della politica, poiché garantiva la presenza in Consiglio regionale dei rappresentanti sia delle aree più forti e popolose sia di quelle più deboli e meno popolose. Quella proposta non è passata e alle elezioni si è andati con la legge condivisa dai due schieramenti, centralistica e verticistica. Si trattava per noi di partecipare o no.

Dopo travagliate discussioni, avendo registrato l’impossibilità di farlo con una lista autonoma, la partecipazione è avvenuta all’interno di diverse liste. Io e Monica Paparelli abbiamo accettato la proposta dei socialisti, nella cui lista ci siamo collocati come “Territori per l’Umbria” e con una specifica piattaforma programmatica che esprimeva coerentemente le idee di Alleanza dei Territori. Abbiamo dimostrato che si può fare politica senza dipendere da nessuno, armati solo di idee e di rapporto con i cittadini. Insieme abbiamo ottenuto un consenso sufficiente a tener aperta la possibilità di una presenza politica coordinata del civismo umbro. Possiamo dunque continuare a pensare e a lavorare per un’Umbria plurale che guarda al futuro con lo sguardo lungo.

Che cosa è successo ad Orvieto? Quello che era prevedibile (lo si è capito nello stesso momento in cui è stata approvata la legge elettorale, centralistica e verticistica): si è persa la rappresentanza in Consiglio regionale. Il Pd si è frantumato, altre aggregazioni non sono state possibili (né sono state tentate), si è andati in ordine sparso ed ecco ottenuto ciò che era nell’aria: se prima eravamo ai margini delle decisioni, oggi ne siamo proprio esclusi. È il risultato di un lungo percorso in cui si sono perse le coordinate della politica, si è perso l’orgoglio dell’autonomia, si è rinunciato al coraggio delle sfide propositive. La cosa più triste è stato vedere il nostro territorio ridotto a riserva di caccia, territorio di conquista, con agitatori impegnati a non far votare i candidati del territorio a favore di non meglio identificati “Amici di Orvieto”.

Fine ingloriosa di una storia? No. Per quanto mi riguarda certamente no. La mia partecipazione ha dimostrato che ci sono centinaia di persone che votano una persona solo per stima e per le idee che propone. Intorno a questo nucleo nel nostro territorio si può costruire qualcosa di consistente? Lo verificheremo. La proposta politica di “Territori per l’Umbria” avrà lo spazio che è necessario per trasformare un’intuizione in progetto operativo? Lo vedremo tra poco. Si riuscirà ora a riprendere il coordinamento delle diverse espressioni del civismo umbro? Anche questo non tarderemo a verificarlo. Nel frattempo coloro che hanno prodotto questo bel risultato di annullare il ruolo politico autonomo del nostro territorio si comporteranno come se ciò che è accaduto è da considerare normale e inevitabile? Come se vivessimo in una realtà senza spazio e senza tempo? Come se fossimo solo vittime del destino cinico e baro? Nessuno che si alzi su e gli chieda il conto?

 

 

 

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