di Mario Tiberi
Voglia di verità: ne siamo tutti così bisognosi al punto che la dimensione etica della vita e il coraggio della verità, vale a dire la “parresia” classica, stanno ritornando prepotentemente alla ribalta almeno nelle coscienze più lungimiranti ed illuminate. A tal proposito, non mi stancherò mai di rammentare che, in un’epoca dominata dagli inganni e dalle menzogne, professare e praticare anche una sola verità è di per se stesso un atto rivoluzionario. Quindi, prima a me stesso e, subito dopo, a tutti coloro che non sono affatto disposti ad abbassare la testa e ad inchinarsi di fronte ai “tronfioni” e agli “ingordi di potere”, intendo dedicare le righe qui sotto riportate.
Alcuni mesi orsono, mi sono domandato se il potere può coniugarsi con l’equità; oggi mi rivolgo la medesima domanda, ponendola sul versante della verità.
Si proceda con ordine, andando innanzitutto ad analizzare, seppur succintamente, il significato storico-filosofico della “Potestà d’imperio”.
Il concetto di potere, sia esso verbo o sostantivo, nel corso dei secoli e a seconda delle epoche ha subito profonde trasformazioni oscillando, a guisa di pendolo, da una sponda all’altra del suo significato più proprio ed etimologicamente corretto.
“Possum”, nel mondo latino, stava a rappresentare l’esplicazione della funzione di governo e di comando attraverso l’esercizio della “Auctoritas” che, a sua volta, racchiudeva in sé il riconoscimento unanime delle potestà pubbliche e ordinamentali assegnate alle Magistrature costituzionali nel segno della severità e della autorevolezza.
Mi consentirà Pier Luigi Leoni se riporto, qui di seguito, un brano tratto dalla sua “Lectio Magistralis” tenuta in occasione di un evento rievocativo a me molto prossimo: “Fu Costantino il Grande, fondatore dell’impero cristiano, che istituì la classe politica dirigente come “militia”, distinta da quella combattente. L’elite politica dell’impero cristiano (parallela a quella militare nella terminologia, ma superiore nel rango) dovette indossare il “cingulum militiae”, vale a dire il cinturone, che conferiva la “Dignitas”, lo “Honor” e la “Potestas”. Agli appartenenti a questa elite spettava il titolo di “Illustris”, cioè luminoso e che irradia la luce della propria autorità. E’ da precisare che, nella primigenia concezione cristiana del potere, Autorità equivaleva a Servizio.
Servizio a Dio per mezzo della fedeltà al “princeps”, la cui autorità aveva origine divina. Nella moderna concezione del potere, a seguito del superamento delle monarchie assolute e l’avvento delle libere democrazie, l’autorità è al servizio del popolo, con il popolo e per il popolo. In tale ottica, il senso della storia, e quindi anche della politica, è stabilito dalla Maestà di Dio con il concorso delle volontà umane che si rivelano nella natura, nel tempo, nello spazio e nella coscienza di ogni essere umano”.
Congiure di palazzo, atti di sabotaggio, giochi al massacro per deliri di potere sono vecchi quanto la storia dell’umanità, nonostante i sani principi appena descritti. Il correttivo e la compensazione a tali devianze lo si è sempre trovato in figure di alto profilo esemplare che della probità, dello spirito di servizio disinteressato, della nobiltà d’animo hanno plasmato tutta la loro esistenza elevandoli a permanenti valori e ideali di vita.
Di fronte a siffatti personaggi, molti degli attuali detentori del potere dovrebbero coprirsi la faccia di vergogna per la loro meschinità e ridicolaggine, avendo scambiato l’autorità con la sopraffazione, il ricatto, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il mercimonio dei corpi e delle coscienze.
La causa che genera il malcostume dilagante va ricercata, e me ne convinco sempre di più, nel rifiuto pregiudiziale della ricerca della Verità. Perché la verità punge e scatena dolori e sofferenze, non copre più le malefatte e gli inganni, porta alla luce misfatti inconfessabili, sbatte contro il muro delle proprie responsabilità gli incoscienti e i superficiali, chiede il conto secondo giustizia.
Certo, il perseguimento della verità non è impresa agevole se, nel concreto dei nostri limiti umani, essa può assumere poliedriche sfaccettature e distinzioni. Si può, ad esempio, dissertare su una verità mediatica e tutti sappiamo come troppo spesso i mezzi d’informazione sono elargitori di falsità e di notizie inattendibili; su una verità giudiziaria e non è raro il caso di clamorosi errori dei collegi giudicanti per cui, non sempre, la legge è uguale per tutti; su una verità politica e qui, per davvero, è possibile andare oltre i confini della realtà e della più fervida immaginazione.
Ma la Verità in se stessa, quella vera, può trovare ospitalità nelle dimore della mente e del cuore degli uomini? Sono convinto di sì, a patto che ad essa si accompagni un puro e genuino sentimento di Giustizia.
Roberto Saviano ha recentemente affermato che la verità non coincide mai con il potere: mi trovo solo parzialmente in sintonia con tale secca denuncia in quanto, per onestà e virtù, non bisogna mai confezionare con ogni erba un fascio e perché non è giusto criminalizzare tutti per una parte marcia ed empia.
Di gran lunga più vicino alla mia formazione umanista risulta essere ciò che pronunciò Giordano Bruno, poco prima di salire sul rogo. Così sentenziò il frate domenicano: “Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di aver vinto”.
E’ quello che ci attendiamo dagli alfieri, me compreso, del MoVimento Cinque Stelle.
Ai potenti che, proprio perché tali, si credono autorizzati a prendersi beffe della Verità sia di monito che, se a mala pena riusciranno a sfuggire alla giustizia terrena, non potranno certo farla franca con la inflessibile Giustizia Divina.