CHI DIFENDE IL NOSTRO PATRIMONIO CULTURALE E PAESAGGISTICO?
Caro Leoni,
Un comunicato congiunto di Legambiente e Italia Nostra sui progetti di eolico al Peglia e a Tuscania inizia così: “A Tuscania e a Orvieto è imminente il rischio che si realizzino due progetti di impianti eolici inaccettabili perché troppo invasivi e collocati nel posto sbagliato. I progetti eolici che impegneranno le prospettive intorno alla chiesa di san Pietro a Tuscania e il Duomo di Orvieto minacciano di stravolgere paesaggi pregiati, alterandone fortemente la percezione sociale e compromettendone la bellezza e il paesaggio che le circonda.” Io penso che si tratti di un pericolo reale di deturpazione del paesaggio e mi chiedo come sia possibile che le istituzioni non abbiano ancora provveduto a mettere le necessarie difese normative. La difesa del nostro patrimonio è affidata di fatto solo alla sensibilità dei cittadini? Lei che ne pensa?
Aristodemo G.
L’attrazione che esercitano i capitali pubblici disponibili per le pale eoliche eccita gli speculatori e di questo sono perfettamente consapevoli coloro che fanno le leggi e destinano le risorse estorte alla popolazione a settori dove ci può scappare qualcosa anche per loro. Questo circolo vizioso può essere rotto solo dalla protesta popolare nutrita dall’informazione. Per fortuna c’è ancora, nel popolo, chi prova conati di vomito di fronte a speculazioni così proterve e trova il coraggio di ribellarsi.
MA PERCHÉ HANNO PORTATO VIA QUEL CALICE NELL’INDIFFERENZA GENERALE?
Caro Leoni,
e così il Monumento del Calice, esposto nel primo anno del giubileo appena trascorso a Bolsena e nel secondo ad Orvieto in piazza Cahen, è stato smontato e trasportati via verso il Nord. Francamente stupisce il silenzio generale, quasi che un’intrusione fosse stata finalmente eliminata. Eppure quel Monumento significava qualcosa di serio e di grande; poteva essere l’inizio di un progetto straordinario, l’avvio di quel percorso verso “Orvieto Città del Corpus Domini” che tempo fa ha lanciato con merito un comitato guidato da Silvio Manglaviti. Secondo lei dobbiamo mettere anche questo nell’elenco delle idee e dei progetti intelligenti che la città non è in grado di fare propri e di tentare di realizzare?
Gualtiero G
Caro Gualtiero, la mia sensibilità religiosa e il mio gusto estetico mi tengono lontano da manifestazioni devozionali pubbliche come quel grosso calice eucaristico che ha campeggiato per alcuni mesi in piazza Cahen. Non mi sembra quella la strada per dare risalto al ruolo storico di Orvieto come città del Corpus Domini o, come preferirei, dell’Eucarestia. Anche se non disprezzo la cosiddetta devozione popolare, perché ho sperimentato su me stesso e sugli altri quanto gli oggetti fisici siano utili per riflettere sui misteri della fede. Però tengo la statuetta della Vergine che ho portato da Međugorje sul mio comodino; non la ostento sulla porta di casa.
TRAFFICO NEL CENTRO STORICO. LE SOLUZIONI PARZIALI SENZA IDEE GENERALI SONO SOLO PANNICELLI CALDI
Caro Barbabella,
non ho in tasca la soluzione per l’assetto ottimale del traffico in Orvieto; però mi aspetto dagli amministratori comunali uno sforzo nell’elaborare, o almeno nell’acquisire idee di carattere generale per dare un senso alle soluzioni in materia di disciplina del traffico. Invece mi pare che si proceda estraendo dal cappello soluzioni parziali, come quelle che possono venir fuori in una cena tra amici, ma senza la presenza di esperti veri.
Arturo B.
Ad un primo approccio non avrei nulla da obiettare alle sue considerazioni, caro Arturo. D’altronde è una vita che sostengo la tesi secondo cui tutte le città sono organismi viventi, e quelle come Orvieto se possibile lo sono ancora di più. Perché Orvieto è un unicum di cultura e natura, per cui qualunque aspetto richiama tutti gli altri e qualunque modifica parziale modifica il globale senza che ce se ne accorga. Dunque, se si assumono provvedimenti senza disegno, essi modificano le cose senza disegno, ciò che potrebbe anche significare senza criterio. In realtà però una cosa la devo obiettare: io non credo che le soluzioni possano derivare da “idee generali” indicate da “esperti veri”. Gli esperti, infatti, nelle amministrazioni che funzionano vengono chiamati ad approfondire ipotesi formulate dagli amministratori e a dare su di esse pareri fondati. Non sono loro che devono inventare le strategie; loro devono studiare la fattibilità tecnica di ipotesi progettuali che spetta alle amministrazioni formulare. Quindi mi permetto di dirle: “attento a non rovesciare la realtà!”, purtroppo vizio di molti, e non da oggi.
CSCO. SENZA UNA VERA POLITICA CULTURALE È SOLO SOPRAVVIVENZA. MA A QUANDO UNA VERA POLITICA CULTURALE?
Caro Barbabella,
il direttore e gli amministratori del Centro Studi Città di Orvieto si danno da fare per mettere in luce la nuova vita di quella istituzione, che s’impernia soprattutto sui rapporti con l’estero e pesa minimamente sul bilancio comunale. Non le sembra che stia arrivando il momento di raccontare la breve ma travagliata storia del Centro Studi? Chi è più adatto di lei, che fu vicepresidente nei primi anni e componente della commissione, nominata dal consiglio comunale durante l’amministrazione Concina, che dimostrò che il Centro Studi poteva essere salvato?
Valdo S.
Caro Valdo, un giorno forse, se non io, qualcun altro troverà ragioni sufficienti per scrivere la storia del CSCO, storia parecchio interessante in verità, giacché da essa si possono “indovinare” abbastanza bene gli orientamenti delle classi dirigenti, le loro aspirazioni e la coerenza o l’incoerenza dei comportamenti, gli slanci e le piccolezze, la creatività e la grettezza, le strategie lungimiranti e le tattiche strumentali. Forse sarò io stesso, ma non ora. Ora mi interessa di più capire in quale direzione sta andando questa istituzione, anch’essa, come la città, dotata di grandi potenzialità che non si riesce però a far diventare realtà. Orvieto e il suo Centro Studi sembrano essere infatti un perenne conato, un tentativo che non riesce ad andare in porto, una partenza che non arriva mai alla mèta. Bene naturalmente il rapporto con le università americane, che già noi come primi amministratori indicammo fin dall’inizio come una delle scelte strategiche. Bene anche le iniziative per diffondere cultura in collaborazione con le scuole. Bene i contatti con i cinesi. Bene anche altre cose. Ma, va detto, si tratta ancora di sopravvivenza, ciò di cui sono perfettamente consapevoli gli attuali amministratori. Il CSCO è uno degli strumenti fondamentali per lo sviluppo della città nei suoi settori strutturalmente vocazionali. Ma è evidente che senza una politica progettuale della città non potrà uscire dalle logiche di sopravvivenza.
Il merito di Simonetta Stopponi
di Franco Raimondo Barbabella
“Dalla polvere di Campo della Fiera ai riflettori di Rai1 per una nobile causa. Far conoscere il progetto in corso ai piedi della Rupe, nel sito in cui la moderna critica archeologica è concorde nell’identificare il Fanum Voltumnae, sede del santuario federale degli Etruschi risalente al VI secolo a.C. E magari vincere una somma di denaro tale da consentire un ulteriore sostegno economico alle campagne di indagine, già sostenute dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, e contribuire a nuovi interventi di restauro. Obiettivo ambizioso, quello che ha spinto Simonetta Stopponi, ordinario di etruscologia presso l’Università di Perugia e direttrice dello scavo orvietano a metterci la faccia, partecipando come concorrente alla popolare trasmissione “Affari tuoi” di Flavio Insinna. Un’avventura insolita, iniziata domenica 3 maggio, che costituisce un’occasione importante per promuovere la ricerca.”
Cominciava così qualche giorno fa un interessante articolo su Orvietonews. Lo prendo a riferimento per il mio elzeviro della settimana sia perché la notizia in sé merita rilievo sia perché ne è protagonista la prof.ssa Stopponi. Conosco Simonetta da quando ero sindaco e insieme ad Adriano Casasole elaboravo il Progetto Orvieto, nel quale il Parco archeologico anulare rappresentava tutt’insieme la storia materiale e spirituale della città e del suo territorio, il legame inscindibile tra cultura e natura, la proiezione nazionale e internazionale di Orvieto, insomma emblematicamente un progetto globale di valorizzazione dei beni culturali di un territorio. Tant’è che il Consiglio d’Europa, di fronte alla cui Commissione Cultura ebbi modo di illustrare il nostro Progetto nella sede di Strasburgo, elesse Orvieto a “Esempio da seguire in Europa per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali”. Mario Torelli e Simonetta Stopponi erano i nostri ispiratori. Mario più propenso alla spinta progettuale complessiva, Simonetta più attenta alle specificità dell’archeologia orvietana. Grande il suo merito per aver creduto all’idea del Fanum Voltumnae ed aver lavorato alla necropoli di Cannicella e alla scoperta del Fanum. E grande il merito della Fondazione Cassa di Risparmio per aver creduto al progetto ed averne reso possibile la continuazione anche in tempi di magra. Dunque una notizia che riguarda le iniziative di Simonetta Stopponi mi interessa sempre perché dove c’è lei c’è intelligenza, preparazione scientifica, serietà di intenti e coerenza di comportamenti.
Ma, dicevo, la notizia merita rilievo in sé, per i motivi che hanno spinto Simonetta Stopponi ad assumere una tale iniziativa: da una parte voler portare all’attenzione di un vasto pubblico i problemi della ricerca scientifica, di cui tutti parlano ma a cui poco fiato si preoccupano poi di dare in termini di concretezza, e dall’altra tentare canali di finanziamento anche inconsueti per rendere possibile la continuità di un progetto culturale che meriterebbe il massimo di impegno collettivo, direi di una comunità allargata. Non è la prima, Simonetta Stopponi, ad agire con questo spirito, spero di poterlo dire, di sfida positiva. E la sua, come appunto quella di alcuni altri, nei fatti è una denuncia forte della miopia di classi dirigenti che non riescono a trasformare un potenziale straordinario come quello dei beni culturali e ambientali in progetti ed attività permanenti di sviluppo e crescita materiale e spirituale.
Mi chiedo chi e quanti, oggi che Simonetta, in modo così coraggioso e intelligente, ha riportato all’attenzione di tutti la questione del Fanum e più in generale dell’archeologia ad Orvieto, si preoccuperanno di riscoprire il senso complessivo di un’operazione progettuale di sviluppo con al centro i beni culturali e ambientali e in essa l’idea del parco archeologico anulare, con politiche conseguenti e una vera programmazione delle attività. Non si metta la scusa dei soldi. I soldi ci vogliono, ma senza le idee, la lucidità, le relazioni giuste e il coraggio, i soldi non si trovano. E dunque alla fine bisognerà anche ammettere che la politica del lamento è una cosa, la politica del piccolo cabotaggio (espressione nobile di una realtà spesso tutt’altro che tale) e dell’attesa è un’altra cosa, e la politica del progetto e dei programmi coerenti è un’altra cosa ancora. Spero che questa volta non si alzi su il solito Pierino a dirmi che quando arrivano i soldi pubblici per i beni culturali si meridionalizza l’economia e si impedisce la crescita dell’imprenditoria autoctona. Comunque risponderei che, volendo ed essendone capaci, come peraltro dimostrano esempi sempre meno rari in Italia e in Europa, dei beni ambientali e culturali si può fare impresa, senza affidarsi necessariamente a privatizzazioni opache, improvvisate e speculative.