di Mario Tiberi
Non sarà sfuggita ad alcuno la circostanza che il soggetto principe dei miei più recenti editoriali sia stato il popolo delle genti. Forse si dirà che codesto soggetto, per chi Vi scrive, stia divenendo una vera e propria ossessione, ma non è mi possibile uscire da tale tunnel poiché fin da sempre mi sono sentito uno proveniente dal popolo, intriso del popolo, marciante con il popolo, attivo per il popolo.
E allora mi è sovvenuto uno scritto di alcuni anni orsono e che gli anni, però, non hanno né oscurato e né obliato. Intendo dunque riproporlo, pur in versione aggiornata, alla cortese attenzione di chi vorrà prestargli ascolto.
Casualmente fui ripreso, dall’estro fotografico di un amico a me carissimo, in una posa spontanea appoggiato sul davanzale di una finestra aperta mentre, languidamente, tenevo tra le dita una nociva ma fedele compagna di vita e mentre, distrattamente, volgevo uno sguardo malinconico verso il vuoto che giaceva sotto i miei occhi.
Era, però, un vuoto popolato e fievolmente vociante: donne, uomini e bambini in un andirivieni lento come lo è il tempo della nostra città e, contestualmente, quasi fosse forsennato come lo impone il ritmo convulso della modernità. Di sfuggita mi è parso pure di intravedere una lunga e cupa ombra grigiastra che, sgomitando tra i passanti, forniva l’impressione e l’intendimento di volersi materializzare o rimaterializzare.
Esistono innumerevoli modi o motivi per posizionarsi ad una finestra: vi è chi vi sta per curiosare, chi per crogiolarsi non avendo di meglio da fare, chi per pensare o tenere lontani angustianti pensieri, chi per concedersi una parentesi di relax e così di seguito. Ma una finestra e il suo davanzale, apparentemente freddi e indifferenti, bruciano comunque della visione che offrono e fanno ardere il cuore e la mente di chi vi sosta con animo ricolmo di passioni.
Sovente, e lo ripeto, mi sorge spontaneo rivolgere accorate digressioni al popolo sovrano, ritenendolo depositario di saggezza antica e di istintiva lungimiranza. Mi devo forse ricredere?
In parte sì, e perché? Perché a fronte di mille ragioni per ribellarsi, mobilitando le virtù della saggezza e della lungimiranza, ne noto al contrario una passiva acquiescenza sempre pronto e disposto, lui popolo, a deglutire qualsiasi disgustosa bevanda o boccone avvelenato che gli venga propinato. Disgustose bevande o bocconi avvelenati quali il malaffare, l’immoralità, le disuguaglianze, gli intrecci criminosi, le vessazioni, la corruzione.
Come, ad esempio, non reagire sdegnati alle imposizioni radiotelevisive che, con certosino assillo, martellano le nostre coscienze somministrandoci, quotidianamente, gli annosi e non più tollerabili rituali di accaniti presenzialisti della politica, della finanza, dello spettacolo, obsoleti e parolai?
Il culmine di simile degrado è stato raggiunto in questi giorni quando tal Matteo Renzi e tal Matteo Salvini erano presenti, in contemporanea, su tutte e tre le reti RAI.
E il popolo continua stancamente a passeggiare!
Come, ancora, assistere senza muovere un dito all’affermarsi sempre più vigoroso della perversione del “bellum omnium contra omnes” che, poi, altro non è se non la guerra fratricida tra popoli, genti e singoli individui?
E il popolo continua stancamente a passeggiare!
Come, ancora in più, rimanere impassibili al cospetto del nichilismo dominante che genera vacua vuotezza tanto che in Orvieto, come del resto anche altrove, si è ridotti ad essere o terra di conquista o riserva di caccia a cagione dello stolido e criminale annientamento della sua migliore indigena dirigenza politica e amministrativa?
E il popolo continua stancamente a passeggiare!
I discendenti di quella che fu la gloriosa stirpe italica, o quel che ne resta, disorientati e confusi vagabondano come greggi senza pastori.
Potrò riuscire a colmare il vuoto politico e sociale che mi circonda con il vuoto che avevo sotto di me, affacciato a quella finestra, e che però mi ha ispirato le espresse parole e gli enunciati pensieri?
Si verba valent, acta evenient!