di Mario Tiberi
Per affrontare con dignità il tema in argomento è d’uopo operare, preliminarmente, una necessaria distinzione tra Etica e Morale.
La Morale, e cioè gli usi, i costumi, le tradizioni, le usanze e costumanze, le abitudini di vita, genera e dispiega le sue potenzialità di indirizzo esistenziale in contesti storici ben precisi e delimitati nel tempo e nello spazio: possiede dunque una dimensione più terrena, più fisica, più tangibile nelle molteplici epoche in cui si sono susseguite e sviluppate le alterne vicende delle civiltà umane.
L’Etica invece, e cioè il bello, il buono, il vero e il giusto della vita, contiene e assorbe in sé un’unica dimensione: quella soprannaturale e metafisica per cui il suo “Nomos Basileus”, il regno delle sue leggi, è universale, eterno, immutabile e valido in ogni era e in ogni luogo.
Per introdurre, poi, i particolari della odierna dissertazione non è sconveniente riferirsi all’articolo 54 della Costituzione Repubblicana: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le Leggi”. Norma che trova degna finalizzazione nel corollario, così recitante: “I cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
In codesto passo della nostra Carta Costituzionale, viene evidenziato quale rapporto vi sia tra la moralità privata e l’esercizio di funzioni pubbliche le quali, è bene rimarcarlo, non sono solo quelle di origine elettiva (Sindaco e Consiglio Comunale, Presidenti di Regioni e relative Assemblee Legislative, Deputati e Senatori, Capo del Governo e suoi Ministri, Presidente della Repubblica), ma anche tutte quelle che riguardano l’insieme dei compiti assegnati alla Pubblica Amministrazione e, quindi, all’intera galassia dei pubblici dipendenti.
In ogni carica pubblica dovrebbe essere implicita la sua esemplarità in funzione educativa dei cittadini, rispecchiantisi nel pubblico funzionario o nel politico i quali, con i loro comportamenti improntati sì o no alle norme etiche, possono influenzare coloro che vengono in contatto con essi.
Proprio per dette ragioni il politico, come del resto il funzionario pubblico, deve essere persona di specchiata moralità poiché il suo agire è capace di condizionare, positivamente o negativamente, le condotte civili individuali come quelle collettive.
Tale rapporto tra moralità privata e moralità pubblica, meglio sarebbe fiatare di etica nel senso sopra specificato, sembra oggi affievolito se non azzerato e, ciò, poiché i modelli di una agevole e rapida affermazione sociale così come quelli del perseguimento del successo fondato sul denaro e sul potere, seppur effimeri e purtroppo propagandati quali veri e propri campionari di una umanità vuota e priva di valori, rappresentano ormai la primaria se non l’unica meta cui tendere.
Detto svilimento si è riflesso anche nella sfera del governo pubblico ove lo scadimento delle classi dirigenti è divenuto tanto palese, quanto deprimente, come gli ultimi fatti di corruzione hanno ampiamente dimostrato in tutta la loro crudezza, ove il mercimonio del sesso si è eretto a strumento per oliare ed ottenere favori, ove il denaro ha assunto la mansione di metro per ogni azione politica e amministrativa, entrambe sempre più subornanti e declinanti rispetto alla funzione morale di cui dovrebbero essere investite.
In ragione di ciò, vengono promulgate delle leggi che producono degli effetti devastanti sull’etica collettiva come, ad esempio, i condoni fiscali o edilizi o di altra natura sananti, con minime sanzioni, gli abusi e le ruberie diffuse.
Gravi responsabilità, a tal proposito, vanno però individuate anche nella cosiddetta società civile. Bisogna, infatti, sfatare il mito di una società civile migliore del ceto politico che essa stessa si sceglie, più o meno liberamente, attraverso il voto popolare; il ceto politico, in ultima analisi, altro non è se non lo specchio della società civile medesima che, aberrazione su aberrazione, esalta i manigoldi e condanna coloro che invece sono onesti.
Non vi sono anticorpi che possano convincermi che un ladro non sia un delinquente e che un evasore fiscale non sia un ladro di futuro e che, all’opposto, l’onesto sia da evitare come fosse peste perché molesto e anacronistico.
Si innesca, così, un cortocircuito morale tra politica e società civile che, sempre più, si ingarbuglia in un nodo gordiano, soffocante e inestricabile, all’interno del quale una condotta eticamente corretta viene vista come un qualcosa di anomalo e contrario agli schemi abituali e, come tale, da scansare e rifuggire.
Da qui allo sconfinamento nel relativismo etico il passo è breve e, dal relativismo etico a quello materialistico, è ancor più breve in quanto, in nome di esso, tutto può giustificarsi nel contesto di contingenze pragmatiche e utilitaristiche.
Si genera in tal modo una società atomizzata, segnata da comparti incomunicanti tra loro, con il risultato finale che anche i migliori centri educativi non riescono a tenere il passo di quelli votati, per tornaconto e scelta scellerata, a diffondere paradigmi diseducativi delle masse popolari.
Mille se, mille perché, mille domande affollano la mia tormentata ed umile coscienza; voglio solo sperare che non prevalga lo sconforto e il pessimismo e, cioè, che siamo per davvero un popolo di corrotti e di corruttori e che, per grazia e provvidenza, solamente un miracolo di catarsi etica potrà consentirci di rialzare i nostri cuori e le nostre menti.