Ci sono delle cose che non sono di dominio pubblico e credo invece che dovrebbero esserlo, una, che potrà apparire ai più poco importante, è invece per me straordinaria e riguarda i rondoni. Sto parlando proprio di quelli uccelli neri a forma di falce che arrivano con le comuni rondini in primavera e riempiono con i loro acuti garriti i pomeriggi assolati dei vicoli di paese.
I rondoni hanno infatti una straordinaria caratteristica che vi lascerà stupefatti, ma provate prima a rispondere a questa domanda: dove dormono i rondoni? Facile penserete voi, “sotto i tetti” sarebbe quindi l’immediata risposta. Ma è così solo in parte in quanto sotto i tetti ci vanno per covare le uova o per tenere caldi e nutrire i loro pulcini, poco più di una quarantina di giorni all’anno, ma quando non sono in fase riproduttiva dove dormono? Ed ecco che si scatena il panico. “Ma che domanda è? Ma chi se ne frega di dove dormono i rondoni! C’ho le bollette da pagare, devo andare prendere il bambino a scuola e sto in un periodo in cui rischio pure di perdere il lavoro e mi devo chiedere – dove dormono i rondoni? – ” In effetti questa domanda, posta nel momento sbagliato, può suscitare reazioni, come dire, negative. Però il problema resta: dove dormono i rondoni?
Procediamo con ordine, in primavera-estate di rondoni è pieno il nostro amato Paese, dalle Alpi a Capo Passero, quindi non dovrebbe essere difficile sapere dove vanno a dormite: sui fili? No, quelle sono le comuni rondini e non i rondoni. Sotto i tetti? Sì, ma solo quando sono in fase riproduttiva. Nelle grotte? Sì, certamente nelle grotte, è per questo che poi non si vedono dove vanno a dormire. Ma non è così! Non sono mica pipistrelli! Ma allora dove vanno? Ecco, non lo sappiamo, fossero stati banalissimi piccioni lo sapremmo: “sui cornicioni” avremmo risposto come tanti bambini in un coro disordinato. Ma se spostiamo la nostra attenzione dal più comune dei coinquilini delle nostre città ad uno un po’ diverso e per di più stagionale come il rondone ecco che non sappiamo più niente.
Eppure la cosa è davvero particolare perché i rondoni non “vanno a dormire” da nessuna parte perché “dormono” continuando a volare per tutta la notte. Non è straordinario? Eppure non lo sa quasi nessuno. Ma non è finita qui. Se il rondone si “posa” solo nel periodo riproduttivo per covare le uova ed accudire i piccoli sotto i tetti vuol dire che i giovani nati, che ci mettono due anni a diventare adulti e poi a riprodursi, volano ininterrottamente per due anni prima di toccare qualcosa di solido con le loro zampe. Zampe che, proprio perché non “strutturate” per toccare terra, non sono minimamente adatte a far spiccare il volo a questi uccelli che, se per disgrazia cadono al suolo, diventano facile preda del primo gatto che passa. Non mi credete? Allora andate da qualcuno che vende binocoli e compratene uno (sono certo che quasi nessuno di voi lo possiede già), vi consiglio un 8 x 30 oppure un 10 x 50 (meglio per osservare gli uccelli), dopo di ché al tramonto, quando gli stracci di nuvole sono diventati rosa, puntate il binocolo sulle vostre teste e regolatelo quasi all’infinito. Assisterete piano piano, mano mano che riuscirete a centrare la regolazione alla giusta altezza di cielo, allo svolazzare più lento e regolare dei giovani rondoni che non si stanno riproducendo sotto i tetti delle case e sono andati a dormire fra le nuvole. “Non è possibile!” esclamerà qualcuno, eppure e così. Come fa a dormire mentre vola? Si sa anche questo: il cervello del rondone dorme a metà. Prima l’uccello riposa una metà e regola il volo con l’altra, poi cambia metà e riposa l’altra. “Non è possibile!” esclamerà di nuovo quello di prima, eppure è così. Straordinario? Sì, ma mica tanto, il sistema è applicato da altri animali, non si sa da quanti, ma certamente dai delfini. Anche loro infatti ”volano” in un fluido, l’acqua, in cui cadrebbero verso il fondo se non navigassero in continuazione e riposano alternativamente le due metà del cervello.
Certo è bello venire a sapere queste cose anche se a me queste informazioni creano terribili angosce. Ma quanto ancora non sappiamo del mondo che ci circonda se non sappiamo quasi nulla neanche di un animale straordinario che svolazza per sei mesi l’anno fra le nostre case? Sicuramente tantissimo, ma anche cose che si sanno ormai da decenni non vengono adeguatamente diffuse e talvolta questo “non sapere” cambia il nostro approccio al mondo. Faccio un esempio: tutti noi mangiamo la frutta e la verdura, ma non sappiamo che la differenza tra la genetica del nostro corpo ed un vegetale è minore del 50%. Non sto dicendo che se ci mangiamo una banana stiamo dando un morso ad un parente, ma che, avendo tutti i viventi di questo pianeta un’origine comune, siamo tutti in qualche maniera imparentati. Non è un caso quindi che quando mi occupavo di fare la riproduzione artificiale di spigole, orate ed altri pesci adoperavo, per far maturare le loro uova, ormoni estratti dalle urine di donne incinte. Insomma quello che voglio dire è che su questo pianeta tutti i viventi, nessuno escluso, sono in qualche modo collegati fra di loro e ciò che danneggia una pianta o un insetto può seriamente danneggiare anche noi.
Questa è una di quelle informazioni che circola troppo poco, anche nelle scuole. Abbiamo infatti, per cultura occidentale e religiosa, una concezione così antropocentrica da farci immaginare che tutto quello che ci circondi ci appartiene e che noi ne siamo fuori e soprattutto al di sopra. E’ naturalmente una visione sbagliata e lo stiamo vedendo con questo inizio di cambiamento climatico che, se dovesse ancora andare avanti di 4-5°, darebbe una bella botta al genere umano ed alla sua presunzione religiosa e tecnologica. Ma ci sono una data ed un uomo che ci hanno indicato, nella storia dell’umanità, come stanno realmente le cose, la data è il 1859, la persona un signore inglese di nome Charles Darwin.
In un suo arcinoto trattato (per chi ha voglia di sapere: “L’origine delle specie per selezione naturale”), edito appunto nel 1859, ha di fatto sbattuto (rende meglio però un’espressione spesso adoperata dal commissario Montalbano e cioè “catafottuto”) l’uomo in mezzo agli animali. Quando Darwin arrivò alle sue straordinarie conclusioni, lui, che da giovane aveva studiato per diventare un abate di campagna, perse la fede ed affrontò, dopo molte e lunghe esitazioni, i tanti (e feroci) preconcetti culturali e religiosi del suo tempo.
Perché vi racconto queste cose (a chi ha la pazienza di leggermi)? Perché credo che il mondo possa diventare migliore con una maggiore consapevolezza delle cose e dove vedo che c’è poca conoscenza è proprio nella collocazione dell’uomo su questo nostro unico pianeta a noi disponibile.
Facciamo un altro esempio: finalmente, dopo più di vent’anni, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito il Glyphosate “probabile cancerogeno e mutageno”. “ E beh?” Sento già dire da qualcuno “ma chi se ne frega del glifocheee?” e no questa volta non è come coi rondoni, questa volta deve interessare tutti perché questo prodotto è un “disseccante” dei vegetali, molto probabilmente pericoloso anche per noi. Un erbicida derivato dai “defolianti” utilizzati in Vietnam dall’esercito americano per individuare meglio i Vietcong nella giungla facendo perdere le foglie agli alberi e la vita ai Vietcong.
Questo prodotto è oggi largamente usato per “ripulire “ i campi dalle erbe, ve ne accorgete facilmente perché le erbe, magari in piena primavera, diventano di un innaturale colore rossiccio.
Viene usato tantissimo nei vigneti ed anche laddove ci si vuole sbarazzare in fretta di qualche fastidioso vegetale. Lo usano i comuni (il Comune di Orvieto lo ha invece bandito) e le province per la ripulitura stradale dalle erbacce, evitando così il taglio periodico. Orbene, anzi male, il glyphosate (i nomi commerciali sono diversi a cominciare dal Roundup) è dimostrato che quando giunge nei corsi d’acqua rende sterili gli anfibi e ce lo siamo ritrovati nel latte materno, un prodotto che era reclamizzato come a bassissima persistenza nel terreno e quindi innocuo per uomini ed animali ed invece lo diamo anche ai neonati con le poppate (G. Beghini, Assoc. Studi e Inf. Sulla Salute, 8 Genn. 2015). Ma come ci è finito nel latte materno? I ricercatori suppongono con l’alimentazione (la verdura fa bene!), ma che ne possiamo sapere quando compriamo la frutta, la verdura, il vino, l’olio, il latte e tanto altro ancora che è privo dei residui di questo e di altri prodotti chimici usati in agricoltura? Non lo possiamo sapere, è per questo che coltivo pazientemente (e faticosamente) un orto, ma, meraviglia delle meraviglie, ho scoperto che molti orticoltori dilettanti usano il Glyphosate per pulire i loro orti dalle infestanti. Oddio! Ma allora anche i più appassionati non sanno niente? E’ per questo che il loro orto è sempre più bello del mio!
Purtroppo siamo ormai totalmente vittime della necessità di produrre e di farlo al prezzo più basso possibile, compriamo a 15 euro al litro il miglior olio per il motore della nostra auto e poi spendiamo 4 euro per l’olio “extravergine” per condirci l’insalata. La verità che non ci vogliamo dire è che se da una parte viviamo più a lungo dall’altra siamo sempre con qualche più o meno serio problema fisico ed i nostri figli, cioè il futuro della nostra specie, nascono sempre più spesso già affetti da qualche problema e crescendo non migliorano e ci dibattiamo tra allergie ed asme croniche nei casi migliori. Non è un bel segnale e non lo è neanche il fatto che dal 70 al 90% (75% nella regione Umbria) dei bilanci delle nostre regioni vadano “in fumo” per la spesa sanitaria. Più che un politico alla presidenza delle regioni dovremmo eleggere un sanitario.
Ne possiamo uscire da questa trappola in cui ci sta cacciando un’economia distorta? Credo di sì, ma in un solo modo: partendo dalla scuola per affiancare le famiglie in questa rivoluzione.
Dobbiamo avere il coraggio e la capacità di inculcare nei ragazzi una nuova scala di valori, una nuova morale che oltre alle regole del vivere civile e della tolleranza sociale sia capace di abbracciare la consapevolezza e la sana preoccupazione dei nostri limiti come esseri umani ed il rispetto per gli altri viventi con cui condividiamo il pianeta.
Il Club di Roma portò alla pubblicazione nel 1972 de “I limiti dello sviluppo”, un “testo sacro”, tradotto in quasi tutte le lingue del mondo, in cui si preconizzò con largo anticipo l’illusione di una crescita demografica e tecnologica infinita del genere umano. Testo che fu scritto da esperti di tutto il mondo quando sul pianeta eravamo meno di tre miliardi d’individui, oggi ne siamo più del doppio ed ancora non ci siamo accorti che mentre noi aumentiamo tutti gli altri viventi del pianeta diminuiscono, ad eccezione delle specie opportuniste come topi, gabbiani e scarafaggi: i nostri compagni di viaggio nel futuro dell’umanità.
Anche i rondoni stanno diminuendo progressivamente, pare che siano diminuiti del 30% negli ultimi 10-15 anni , così come tanti altri uccelli e la caccia non c’entra niente. Sono insettivori e si nutrono di insetti che noi avveleniamo ed in un mondo sempre più compromesso loro muoiono e noi ci becchiamo un tumore. Chissà quand’è che finalmente capiremo che così non può funzionare.
Mi aspetto molto da Papa Bergoglio e dalla sua enciclica in progress che tratterrà proprio dell’ambiente. Da un Papa così intelligente, coerente e fortemente collegato con la realtà c’è da aspettarsi finalmente una rivoluzione nell’attuale concezione cattolica del rapporto uomo/natura che fino ad oggi mal si è conciliata alla naturalità delle nostre origini che facciamo di tutto per ignorare. Certo può non fa piacere a qualcuno il sapere che tra uno scimpanzé e l’uomo ci sia solo il 3% di differenza genetica e che se un extraterrestre ci vedesse dal suo pianeta ci classificherebbe subito come una scimmia spelacchiata e tecnologica. Ma questa e la realtà!
Quel signore inglese, quel tale Darwin, ce l’ha detto più di centocinquanta anni fa che sulla terra siamo più o meno tutti collegati se non addirittura parenti e che soggiaciamo alle regole della natura, ma noi non lo vogliamo capire, come gli altri animali viviamo il presente, ci piace non pensare verso dove stiamo andando, continuiamo a giocare, ad illuderci ed a fingere di essere Dio.