CONSIGLIO COMUNALE DI ORVIETO: LAVORA POCO, LAVORA MALE O È L’ETERNO INCOMPRESO?
Caro Leoni,
il 21 aprile scorso Stefania Tomba titolava così un suo pezzo su OrvietoSi “Maggioranza e Giunta decimate, manca il numero legale in Consiglio”. Si poteva leggere anche una vibrata protesta della consigliera di M5s per il fatto che mozioni, interpellanze e interrogazioni delle minoranze giacciono lì per mesi in attesa di esame. Insomma, tensione alta, schermaglie, scontri verbali. Lei che ha una certa esperienza di Consigli comunali sa che questa è una veccia storia. Le chiedo: ma perché questa storia si ripete? È veramente impossibile condurre in modo ordinato un Consiglio comunale, rispettando sia il diritto della maggioranza di governare che quello della minoranza di controllare e di mettere in discussione ciò che non ritiene fatto bene?
Attilio T.
Sarà per una mia deformazione professionale, ma penso che quel avviene nel consiglio comunale di Orvieto a proposito di interrogazioni, interpellanze e mozioni dipenda da ragioni tecniche. Infatti il regolamento del consiglio non consente alla giunta di scegliere di rispondere per iscritto, senza farne oggetto di discussione in consiglio, a interrogazioni e interpellanze. Quanto alle mozioni dei consiglieri, basterebbe prevedere col regolamento che esse abbiano la precedenza, nell’ordine del giorno, sulle proposte del sindaco e della giunta; restando comunque nella facoltà del consiglio di votare la posposizione della loro discussione. Insomma si tratta di aggiustare il regolamento per razionalizzare le sedute del consiglio. E poi c’è un vizio dei consiglieri orvietani, che è quello di parlare troppo, spesso ripetendosi e divagando. Anche su questo il regolamento dovrebbe essere più severo.
MA OGGI CHI GOVERNA IN AMBITO LOCALE? E CHE COSA VUOL DIRE GOVERNARE?
Caro Leoni,
allora qualche volta il popolo ha ragione? A Fabro è stata annullata l’autorizzazione per la costruzione di una centrale a biomasse da 200 Kw e il comitato del No esplode in un grido di gioia attribuendo il risultato alla mobilitazione popolare. Ma lei che dice, è giusto così? Questo è veramente un successo? O non si sa più che cosa vuol dire governare?
Ada F.
Disse Ciriaco De Mita che in politica non vi sono soluzioni ottimali, ma soltanto soluzioni possibili: quelle che ottengono il “conzenzo”. Chi voleva fare la centrale a biomasse a Fabro non ha saputo adottare una strategia idonea ad avere il consenso popolare, cosa non difficile dalle nostre parti, se si guarda a chi ci ha governato negli ultimi decenni con tanto di consenso elettorale.
L’ASTENSIONE DAL VOTO È PREOCCUPANTE, MA ANCORA DI PIÙ È CHE QUESTO NON INTERESSI A CHI COMANDA
Caro Barbabella,
non so quanti elettori si recheranno ai seggi il 31 maggio. Ma tutto lascia prevedere un forte aumento dell’astensione. Tra le cause di questo fenomeno lei ritiene prevalente la scarsa qualità dei politici o il basso livello del corpo elettorale, che quando affollava i seggi lo faceva più per una specie di tifo sportivo che per senso del bene comune?
Sergio C.
Caro Sergio, temo che il bene comune faccia ormai parte di quelle espressioni che somigliano molto ai flatus vocis di cui parlavano i logici medievali, puri suoni verbali. D’altronde, quando nel “gioco” pubblico prevalgono gli interessi del momento e le lotte per le vittorie mediatiche di un giorno, quando l’apparenza è l’unica cosa che conta, che posto potrebbe mai avere una roba complicata e tosta come è il bene comune? Ammesso naturalmente che questo sia un concetto precisamente definibile, che qualcuno voglia definirlo e ne sia capace e che poi esso abbia di per sé un potere attrattivo più della noncuranza e sia in grado di convincere più di quanto non lo sia l’interesse personale. Certo, non so in quale misura, ma anche io sono convinto che l’astensione sarà consistente. Frutto di tante ragioni, tra cui penso possiamo includere anche le due che dice lei. Ma vede, se l’astensione dal voto è preoccupante perché denuncia una disaffezione per uno dei fondamenti della democrazia – la scelta libera dei propri rappresentanti per il governo delle istituzioni – è ancora più preoccupante il fatto che di questo si discuterà al massimo per un giorno a cose fatte. Per il resto, vedi Emilia Romagna, si andrà avanti come se non fosse successo niente. Anzi, si ha l’impressione che chi occupa le posizioni di potere vincente sia del tutto soddisfatto che le cose si siano messe in questo modo, tanto quello che conta è il momento. E se nel momento ci sono io, va comunque bene; il mondo si arrangi! Allora, chi vuole si svegli!
LA CRISI DEI CONSUMI INDICE DI SPERANZA? SAREBBE BEN STRANA COSA
Caro Barbabella,
che sia in crisi il mercato dell’edilizia è comprensibile perché di case in Italia ne sono state costruite troppe. Ma la crisi del mercato dei beni di consumo in misura più pesante della diminuzione dei redditi vuole semplicemente dire che la gente risparmia. E si sa che il risparmio è indice di prudenza e di fiducia nel futuro. Quindi la gente si lagna, ma spera nel futuro; e, sperando nel futuro, compromette il presente e conseguentemente anche il futuro. Come se ne esce? La via d’uscita degli 80 euro mensili si è rilevata fallimentare.
Giovanna B.
Cara Giovanna,
non ho una cura esprimibile in sei righe, e ovviamente non l’avrei nemmeno se di righe ne avessi venti. Comunque non ho la sua stessa impressione: io non credo che la crisi dei beni di consumo dipenda dal fatto che la gente risparmia e che quindi coltiva la speranza nel futuro. Credo invece che la gran parte del popolo abbia subito una forte riduzione della capacità di acquisto e che in particolare vi sia stato un significativo impoverimento dei ceti medi. Credo dunque che l’abitudine a lagnarsi oggi non sia affatto la veste sdrucita che nasconde i gioielli; forse sarebbe più adeguata l’espressione “sotto il vestito niente”. In ogni caso le condizioni della vita reale sono tali che non se ne uscirà con le manovrette e le mance. E io credo nemmeno con il bombardamento quotidiano di un bolso ottimismo mediatico. Ci vuole un disegno di ricostruzione del tessuto del Paese. Non solo istituzionale ed economico. Anche culturale e morale.
L’elzeviro della settimana
La ragione critica contro superficialità e pregiudizio
di Franco Raimondo Barbabella
Voglio dedicare la riflessione di questa settimana ad una questione di cui tutti abbiamo esperienza e che però lasciamo quasi sempre correre via come se fosse cosa ovvia. Ma nella vita niente è ovvio e anche ciò di cui parlerò non lo è. La questione è la seguente: perché delle persone si dice bene solo quando sono scomparse (o per morte, o per essere ai margini)? Si tratta di questione particolarmente attuale oggi. La introduco perciò con un articolo di Antonio Padellaro pubblicato sabato scorso sul il Fatto Quotidiano.
“Giovedi sera, a Servizio Pubblico, vedendo e ascoltando Emma Bonino abbiamo provato nostalgia per un’epoca, non lontanissima, quando la politica estera italiana era affidata a mani solide e competenti, guidata da personaggi magari controversi e criticabili per certe posizioni, ma in possesso di una rete di contatti internazionali, anche di tipo personale. Di Giulio Andreotti, per esempio, si può pensare tutto il male possibile (e noi lo pensiamo), ma difficilmente il presidente degli Stati Uniti avrebbe potuto prenderlo per il naso, come è avvenuto con Matteo Renzi nel recente viaggio a Washington … Forse anche la presenza della Bonino al vertice di Bruxelles non avrebbe reso meno desolante il bilancio di un’Italia che conta poco … Sicuramente però l’esponente radicale, attraverso le sue relazioni con i leader africani e arabi (è vissuta a lungo in Egitto) una qualche soluzione l’avrebbe trovata per farci sentire meno isolati e impotenti davanti alla catastrofe umanitaria nel Mediterraneo. E invece tutto resta affidato all’improvvisazione di questi “nuovi” politici cresciuti nei talk show come polli d’allevamento, esperti nell’uso di Twitter, ma digiuni sull’uso di tutto ciò che serve. Forza Emma.”
Chi non ricorda i giudizi feroci di Padellaro e Travaglio su Andreotti e quelli cattivi al limite della denigrazione che gli stessi davano su Emma Bonino quando era ministro degli affari esteri del Governo Letta, non può meravigliarsi di quanto Padellaro scrive ora, ma chi lo ricorda non può non provare almeno un certo disgusto. Sappiamo bene che la coerenza è stata sempre merce rara e che oggi sta diventando parola dal significato ignoto soprattutto per i protagonisti del dibattito pubblico, al punto che ognuno di questi dà l’impressione di dimenticare ciò che ha detto e fatto non dieci anni prima ma il giorno prima o addirittura qualche ora prima. Però far finta di niente mi pare proprio troppo.
Potremmo dire che stiamo assistendo alla progressiva scomparsa della memoria e al trionfo del presente come unica dimensione dell’esistenza: il passato non c’è mai stato e al massimo si può ricordare in una bella trasmissione tv sulla Liberazione (Fabio Fazio sabato sera), tanto domani è un altro giorno; per il futuro si vedrà. Che dice il sondaggio del giorno? Ah sì?, è favorevole? Allora quello faremo, mica possiamo andare contro l’opinione pubblica (anche se commissionata)! Ora l’opinione è cambiata? Ad esempio il sondaggio di Pagnoncelli di ieri sull’Italicum: i sì dal 58% a sotto il 40%. Bene, andremo avanti lo stesso, tanto poi tutti si adegueranno. È evidente che questo è un impoverimento culturale e morale pericolosissimo.
Il pezzo di Padellaro, che lo si condivida o meno, è dunque indice di un costume della classe dirigente (dimenticarsi – e far dimenticare – di ciò che si è detto e fatto, soprattutto nel caso che si sia cambiata opinione) talmente diffuso che nemmeno ci si fa più caso. Ma è un costume solo della classe dirigente? Certamente no, perché troppo e troppo spesso preferiamo buttare là i giudizi per seguire i pregiudizi che ci fanno comodo nell’immediato. Solo che la classe dirigente ha compiti diversi e non è tale se segue solo le pulsioni e gli interessi del momento; se non ha visione e non adotta comportamenti con essa coerenti.
Il presente schiaccia il passato e lo cambia in ragione di ciò che conviene al momento. Ma il presente è mutevole, come lo sono gli interessi e le opinioni. Di qui anche un’insicurezza diffusa, timori inconfessati e tendenza a chiudersi in se stessi o in gruppi esclusivi o in situazioni protettive. Inevitabilmente la società diventa più povera. Ci possiamo difendere? Si, perché abbiamo a disposizione un’arma micidiale, la ragione. Essa diventa potente quando assume una veste critica: la nostra arma di difesa, e però anche di avanzamento, è la ragione critica. Che è strumento costruttivo e ricostruttivo. Ma su questo magari tornerò in un’altra occasione.