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Home Politica

LETTERE PROVINCIALI n° 36 20 aprile 2015

Redazione by Redazione
21 Aprile 2015
in Politica, LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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LETTERE PROVINCIALI n° 36 20 aprile 2015

APPELLO AI MODERATI

Caro Leoni,

nei giorni scorsi su un sito web si poteva leggere questo “appello ai moderati” di un tizio che si firma Ciuenlai: “Il “tesoretto” non c’è, è una invenzione contabile. Parola di Sole 24 ore che demolisce il “bonus” classificandolo come “un’arma di distrazione di massa”. La pesante accusa è accompagnata da altre durissime critiche quotidiane al Governo sui numeri dell’economia, sulla scuola e sulla gestione complessiva della macchina pubblica. Insomma anche i “padroni” cominciano ad essere spaventati da tanta incapacità e dall’unica attività alla quale Renzi e compagnia dedicano quotidianamente gran parte del loro tempo: la propaganda. Appello ai conservatori. E’ troppo chiedere di darci un moderato che si occupi, con competenza, del Governo del paese?”. Lei, da moderato, condivide questo appello?

Italo P.

 Caro Italo, lo schema che ha in mente Matteo Renzi è chiaro: l’Italia ha bisogno di una scossa riformatrice per uscire da una pesante crisi recessiva. O la va o la spacca, questo è il motto sottinteso ad ogni sua presa di posizione. Ovviamente, le complicazioni della natura umana agiscono anche in politica e contro Renzi si vanno coalizzando coloro che, a sinistra e destra, hanno paura che abbia successo. I moderati sono allo sbando perché hanno perso la loro occasione storica quando Francesco Cossiga li avvertì che la Costituzione era invecchiata e che bisognava convocare una nuova assemblea costituente. Lo fecero passare per matto e preferirono andare appresso a un avventuriero che li faceva sognare e che li convinse perfino a votare in parlamento che Ruby era la nipote di Mubarak: una umiliazione che peserà ancora a lungo sui moderati italiani. Quanto al tesoretto, mi sembra un espediente abbastanza abile per far andare fuori di testa gli avversari. Molto meno impegnativo degli ottanta euro in busta paga che fecero vincere a Renzi le elezioni europee.

MA DI CHE DISCUTIAMO?

Caro Leoni,

ho visto che in consiglio comunale e sulla stampa si dibattono con accanimento temi stressanti: i consiglieri delegati sono pagati o no? Orvieto merita o no l’appellativo di area interna intesa come area marginale-emarginata? Non le pare che solo per questo varrebbe la pena di emigrare?

Antonio S.

 Caro Antonio, nutro il più profondo rispetto per i concittadini che dedicano una parte del loro tempo a governare la nostra città. Essi devono combattere ogni giorno contro la carenza di risorse per rimediare alla carenze che sono sotto gli occhi di tutti. Come si fa a pretendere che partoriscano idee importanti e innovative?

UN REGOLAMENTO FATTO MALINO MALINO

Caro Barbabella,

la consigliera grillina Lucia Vergaglia spara a zero sul nuovo regolamento comunale per le manifestazioni pubbliche in piazza del Duomo, che “rappresenta un pessimo segnale su come sta lavorando la confusa Giunta Germani”. Secondo me ha pienamente ragione, perché il regolamento è addirittura illeggibile. Ma un regolamento comunale, per gli aspetti tecnici, scaturisce da un attento lavoro dei più alti livelli della burocrazia comunale. Secondo lei, la burocrazia comunale è ridotta tanto male oppure viene bypassata?

Arturo G.

Caro Arturo, concordo, la lettura del regolamento provoca un qualche disagio per la scrittura e per aspetti non secondari del contenuto. Viene anzitutto da chiedersi se era proprio necessario fare un regolamento i cui obiettivi principali, che sembrano essere la limitazione del traffico e l’eliminazione di iniziative di cattivo gusto, potevano essere perseguiti anche per via ordinaria. Inoltre si stenta a capire perché si continua ad intervenire sulla città in modo parziale (oggi qui, domani là), senza una visione complessiva. Non so se in tutto ciò c’entrino qualcosa i livelli alti della burocrazia comunale, ma so che c’entra un modo di ragionare diffuso in città, di cui il livello politico evidentemente si fa interprete e di cui comunque è, consapevolmente o no, un riflesso.

LE DIMISSIONI DI TARPARELLI DENUNCIANO LA MIOPIA DELLA POLITICA

Caro Barbabella,

il sindaco di Parrano si è dimesso. Dice Orvietosì che “aveva rinunciato all’indennità, era finito anche davanti alle telecamere di Report proprio perché la sua macchina amministrativa aveva un solo dipendente. Stritolato dalle pratiche e dai problemi, senza nessun sostegno né dalla politica né dalle istituzioni, ha detto basta. E, a quanto pare, non rinnoverà neanche la tessera del Partito democratico. La decisione pare sia lungamente meditata e pertanto irrevocabile.” La motivazione delle dimissioni somiglia a quella di un mio amico che si dimise da consigliere dell’Azienda di Turismo “per motivi di salute, nel senso che sto bene e non me la voglio rovinare”. Se molti altri sindaci facessero così, il parlamento si deciderebbe a varare la legge di salvaguardia dei piccoli comuni.

Mario S.

Solidarizzo incondizionatamente con Vittorio Tarparelli, valente sindaco e caro amico. Le sue dimissioni sono frutto di una condizione di difficoltà dell’amministrare, che soprattutto nei piccoli comuni con il passare degli anni è diventata insostenibile. Vittorio l’ha vissuta con l’intensità di chi fa politica in modo autentico, l’ha denunciata a lungo senza ottenere una risposta accettabile e alla fine ha deciso di andarsene come atto estremo di responsabilità nei confronti sia dell’istituzione che della comunità che lo ha eletto. Un atto giusto e coraggioso. Personalmente trovo delittuosa una politica che genera queste situazioni. Ho visto che, oltre all’assemblea dei sindaci, anche il PD provinciale esprime solidarietà a Tarparelli e critica duramente il Governo per come è ridotta la finanza locale. Bene, anzi, benissimo! Ma la solidarietà e le invocazioni non bastano più. Ormai è tempo che la politica batta un colpo e dica come si esce da questa pericolosissima situazione. Tarparelli ha messo a nudo ciò che tutti comunque sapevano. Ora è venuto il momento delle soluzioni

leoniping200 L’elzeviro della settimana

La rivolta dei Comuni

di Pier Luigi Leoni

Il rapporto tra lo Stato e i Comuni è caratterizzato in Italia da elementi che diversificano il sistema pubblico da quello degli altri Stati occidentali evoluti. Il fatto che l’Italia detiene oltre la metà del patrimonio culturale mondiale non è dovuto al caso, ma alla lunga storia della penisola che, per la posizione geografica, il clima e altri fattori meno ponderabili è stata interessata da varie grandi civilizzazioni: l’etrusca, la greca, la romana, la medievale e la rinascimentale. La decadenza dell’impero romano, soprattutto a causa delle scorrerie e delle invasioni dei popoli barbari, non ha estinto la mentalità imperiale che aveva caratterizzato la grande spinta civilizzatrice di Roma. Oggi siamo abituati a invidiare l’organizzazione dei grandi Stati nazionali dell’Occidente (soprattutto Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania) e ad essa ci rapportiamo nel giudicare le nostre inefficienze. Eppure quegli Stati nazionali non rappresentano che l’evoluzione dei regni romano-barbarici. Una trasformazione insanguinata da violente rivalità che sono ancora latenti, a giudicare dalla incapacità dell’Europa di raggiungere l’unità politica e dalla remissione al protettorato imperialistico americano. Ne deriva che il nostro Stato è debole, come dimostra la incapacità di neutralizzare la criminalità organizzata regalataci dalla resistenza a secoli di pressione dell’Islam, e la difficoltà nell’adeguare l’assetto costituzionale. In questo quadro i Comuni rappresentano un elemento di riequilibrio della debolezza dello Stato. Un fatto misconosciuto o sottovalutato dal conformismo della cultura politico-giuridico-economica. Vale a dire che lo Stato sta distruggendo i Comuni e le loro autonomie, sottomettendo le realtà maggiori alla esigenze di una politica economica nazionale succube del capitalismo spinto continentale e distruggendo i piccoli Comuni. C’è poco da sperare da giuristi, economisti e politologi che hanno perso, nel bailamme della cultura egemone d’impronta anglosassone e nel culto del capitalismo barbarico, il polso della cultura e della sensibilità italiane. O l’Italia dei Comuni si sveglia, in un soprassalto di orgoglio supernazionale e supercontinentale, e mette in riga lo Stato, oppure l’Italia sarà nuovamente conquistata dai popoli barbarici, quelli ricchi che scendono a comprare aziende e a farsi lustrare le scarpe negli alberghi e quelli miserabili che hanno passato i secoli a distruggere, invece che a creare, civi

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