MA QUESTE BENEDETTE PROVINCE LE CANCELLANO O NO?
Caro Leoni,
venerdì scorso, il Presidente della Provincia di Terni nonché sindaco di Terni Leopoldo Di Girolamo, commentando a caldo la riconferma da parte del Governo del taglio di 5 miliardi di euro per le Province nel biennio 2016-2017, è uscito con una durissima dichiarazione, che si conclude così: “Mentre a livello locale si sta lavorando con scrupolo e attenzione su un tema delicatissimo come quello dell’attuazione della legge Delrio per riformare le Province italiane, il governo si sottrae alle proprie responsabilità e non rispetta gli impegni”. Ma le Province non dovevano essere chiuse, cancellate, cassate? Di che cosa si lamenta Di Girolamo? O era tutta una bufala?
Leonarda T.
Cara Leonarda, la riforma Delrio non prevede la eliminazione delle Province e tantomeno delle funzioni che esse svolgono. Prevede la loro trasformazione in enti di secondo grado, e la redistribuzione delle competenze tra Regioni, Province e Comuni. La riforma è stata pensata guardando al modello tedesco. Purtroppo la trasformazione avviene nell’ignoranza dei relativi costi economici, umani e sociali, a causa della slealtà degli enti locali nel fornire i dati alla burocrazia ministeriale e della slealtà di questa nell’informare il governo. Se il signor Di Girolamo fosse veramente convinto di ciò che dice si dimetterebbe e lascerebbe i poteri a un commissario. È ciò che il governo e gli stessi cittadini si aspettano.
PROGETTO DI CO-WORKING E START-UP DEI GD DI O PER CONDIVIDERE KNOW-HOW, FARE NETWORKING, BEST PRACTICES, OTTIMIZZAZIONE DELLE RISORSE E SOSTENIBILITÀ DELL’INNOVAZIONE
Caro Leoni,
i GD di O (Giovani Democratici di Orvieto) sostengono la mozione del consigliere PD Talanti “Orvieto Coworking Project: Realizzazione di uno spazio pubblico per co-working e start-up” spiegando che “la caratteristica fondamentale degli spazi di co-working è la possibilità di condivisione di know-how … l’opportunità di fare networking e di mettere in circolo best practices per l’ottimizzazione delle risorse e della sostenibilità dell’innovazione”. Guardi, io ammiro tutti i giovani che si danno da fare, e quindi anche i GD di O del PD. Ma se i giovani si vogliono mettere insieme per fare cose diverse risparmiando su affitti e macchinari e servizi, che aspettano a farlo senza che lo spazio glielo crei il Comune? E poi non le pare che il loro bel progetto potrebbe fallire prima di nascere per aver concentrato in poche righe tutte le espressioni di moda che fornisce il mercato?
Angelo S.
Caro Angelo, questa ubriacatura di barbarismi, a parte il cattivo gusto e la mancanza di rispetto per la propria bella lingua, denuncia la smania dei giovani di sentirsi parte di un mondo cosmopolita. Ma questo affollarsi sotto l’ombrello dell’amministrazione pubblica è molto provinciale e in contraddizione con l’aspirazione cosmopolita. Ho l’impressione che questi giovani stiano invecchiando senza voler rinunciare a chi rimbocchi loro le coperte.
L’UMANISMO NON HA NECESSARIAMENTE BISOGNO DI UN PRINCIPIO DI AUTORITÀ
Caro Barbabella,
Lucia Annunziata, qualche giorno fa, nel rimproverare la Sinistra (con la S maiuscola) perché lascia solo Papa Francesco nella difesa dei cristiani massacrati, tiene a precisare: «No, non sono cattolica, e nemmeno una neoconvertita. Sono atea e intendo rimanere tale.» Una tale affermazione equivale a sostenere che Gesù Cristo era un visionario disarmato e Papa Francesco un suo degno erede. Solo la Sinistra (con la S maiuscola) è in grado di fare giustizia; e, se la Sinistra non fa il suo dovere, ci pensa Lucia Annunziata a sturarle le orecchie. Lei che è un cultore della storia, della filosofia e anche della psicologia, non trova un po’ arrogante questo atteggiamento?
Irene D.
Cara Irene, la sua è una interpretazione del modo di pensare di Lucia Annunziata che per essere estrema non credo possa essere considerata ingiusta. Anzi, lei fa emergere il lato forse più oscuro di certa sinistra italiana (sottolineo: certa sinistra): la propensione ad avvalersi e, se del caso, a servirsi di un principio di autorità o proprio di un’autorità superiore. Com’è noto, gli orientamenti intellettuali e morali autenticamente umanistici (nel senso che hanno l’uomo come oggetto della preoccupazione delle azioni) emergono quando si ipotizza l’esistenza non di una fonte esterna come origine e garanzia del bene, ma una fonte interna frutto o di tradizione o di elaborazione intellettuale ed esperienziale o di entrambe. Nel caso di certa sinistra, non da oggi è presente la tendenza ad avvalersi di autorità esterne, e il papa è normalmente la figura che meglio si presta ad essere utilizzata allo scopo. Ricordiamo tutti ad esempio il frequente accodarsi di Fausto Bertinotti alle posizioni di Papa Giovanni Paolo II, e constatiamo oggi le frequenti riprese delle affermazioni innovative di Papa Francesco da parte di esponenti appartenenti allo stesso filone ideologico. Presunzione e debolezza insieme. Presunzione, per voler essere ad ogni costo i veri interpreti della storia, che non si possono distrarre un attimo perché non devono consentire ad altri di pensare e dire per primi e meglio; anche debolezza però, perché questo atteggiamento è di fatto un’autodenuncia di carenza strutturale di esercizio del libero pensiero, il quale richiede sempre una presenza congiunta di intelligenza e di coraggio, la capacità di esporsi e di agire senza avere le spalle coperte. Cara Irene, la sua sollecitazione e le mie considerazioni, lasceranno di sicuro il tempo che trovano, ma almeno ci permettono di testimoniare che quel modo di ragionare e di essere non è l’unico che abbia diritto di cittadinanza, non solo a sinistra, ma nel panorama generale culturale e politico.
TURISMO, CI RISIAMO CON L’ILLUSIONE DELLE SOLUZIONI FACILI?
Caro Barbabella,
il giovane assessore orvietano alla mobilità ha esultato per l’eccezionale afflusso turistico pasquale. Commercianti e albergatori sostengono che si è trattato di tanto fumo e poco arrosto. I comuni cittadini leggono che il Comune di Bagnoregio ha incassato a Pasqua quasi 10.000 biglietti per la visita di Civita e sognano un ticket per salire sulla Rupe. Gli Ovietani riusciranno mai a levarsi dalla testa che, per vivere agiatamente, bisogna anche produrre e che non si può campare solo di rendita?
Francesco M.
Già, già, caro Francesco, verrebbe da dire che non va bene mai niente: se il flusso turistico è carente ci si lamenta della scarsa promozione e di tanto altro, se invece è consistente ci si lamenta del fatto che comunque è momentaneo e di tanto altro che comunque non va. Ci si lamenta, e si spera in qualche azione miracolistica, che se possibile non richieda nel contempo troppi sforzi a chi ne è coinvolto. In questo senso un ticket per salire sulla Rupe sarebbe certamente il massimo: ne godrebbero un po’ tutti, dal nostro Massimo all’Amministrazione, dagli esercenti ai generici cittadini. E non sarebbe troppo difficile farlo, giacché oggi esistono, oltre ai tradizionali varchi, anche sofisticati sistemi elettronici che consentono di leggere le targhe, risalire in tempo reale ai proprietari e così permettere l’applicazione e la riscossione del tichet. Chissà, qualche fantasioso amministratore da qualche parte ci starà già pensando? Non mi meraviglierebbe, vista la tendenza di oggi alle chiusure, alla creazione di gabbie e gabbiette nell’illusione che così si guadagna in certezza di risultato. Non è certo il caso dell’assessore alla mobilità Andrea Vincenti, un bravo giovane che affronta i problemi in modo non banale e che ha fatto bene a valorizzare i risultati del periodo pasquale sia per l’afflusso turistico che per il successo dello sforzo organizzativo. Io però mi permetto di suggerire all’assessore di non fermarsi a queste notazioni e ad affrontare finalmente come Amministrazione i nodi che non rendono turistica la nostra città, per il che abbiamo prevalentemente flussi a singhiozzo e mordi e fuggi. Di nodi ce ne sono tanti, e sono sia strutturali e pratici che culturali e di mentalità. Ma il primo è come sempre di visione, di capacità prospettica. E conviene sbrigarsi, perché mai è successo e men che meno succede oggi che il mondo ci aspetta.
UN PAESE DA CAMBIARE, CON INTELLIGENZA E VOLONTÀ, CONTINUITÀ E COERENZA DI LAVORO
di Franco Raimondo Barbabella
Da qualunque angolo lo si guardi, il nostro amato Paese appare in una situazione disperante, nonostante il Presidente del Consiglio faccia e tenti di farci fare ogni giorno professione di ottimismo. Gli scandali (di vario tipo, non solo ruberie) si susseguono a ritmo serrato, e nessuno dei settori vitali della nazione sfugge alla certezza di esservi in qualche modo più o meno implicato. L’informazione si è da tempo trasformata in propaganda, per cui è difficile farsi un’opinione sensata su ciò che accade e sulle responsabilità reali dei protagonisti. E così il clima generale è diventato talmente sfilacciato che ognuno pensa di poter fare quello che gli pare.
A Milano un imprenditore plurifallito si mette in testa che lo hanno rovinato gli altri (in questo caso il suo ex socio, il suo ex avvocato e il suo giudice fallimentare), entra senza controllo in tribunale, ammazza tre persone, e che succede? In un Paese normale ci si sarebbe preoccupati di capire perché i magistrati responsabili della sicurezza del tribunale non si sono adoperati per far funzionare il sistema dei controlli; nel nostro no, è scattato subito il meccanismo castale, ed ecco il gran movimento per far intendere che la strage non è detto che non sia frutto del clima di discredito creato intorno alla magistratura, per cui basta con gli attacchi e le critiche. Messaggio: non vi azzardate a toccare i nostri privilegi. E naturalmente nessuno li tocca.
Invece si toccano non i privilegi, ma i diritti sacrosanti dei cittadini, dai servizi essenziali alla tassazione (80% delle entrate a carico dei ceti a reddito fisso) e anche pesantemente i diritti democratici. Si pensi a questo (ieri Eugenio Scalfari ha parlato di “fine della democrazia parlamentare”): se vanno avanti congiuntamente come sono oggi impostate sia la riforma costituzionale che quella elettorale, avremo come risultato che i 100 senatori del nuovo Senato saranno non più eletti ma nominati e su 630 deputati ben 400 saranno anch’essi di fatto nominati (con il sistema dei capilista bloccati, l’inclusione in lista e le preferenze). Nominati da chi? Ma dai partiti, naturalmente; più esattamente da quei 4 o 5 che nei partiti decidono davvero. In teoria, stando alla carta costituzionale, non ci dovrebbero essere problemi: i partiti sono lo strumento principe della democrazia. Certo che sì, ma se facessero quello che carta comanda, se la loro vita interna fosse normata per legge, se fossero organi trasparenti di selezione della classe dirigente e di organizzazione del consenso su basi ideali e programmatiche, insomma se se se …
Però nella realtà che cosa sono oggi i partiti? Leggete questa descrizione: “I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’.”
Scritto oggi? No, ben 34 anni fa: è l’intervista che Enrico Berlinguer rilasciò a Eugenio Scalfari nel 1981. Allora Berlinguer ovviamente teneva fuori da questo pesante giudizio il suo PCI, che si riteneva superiore per moralità e strutturalmente tetragono a tutte le tentazioni. Cosa rivelatasi del tutto arbitraria. Ma comunque, oggi? Quel giudizio, oltre che agli altri, sembra attagliarsi, con gli altri, piuttosto bene proprio al partito erede della tradizione comunista: dalle varie rimborsopoli all’Expo, dal Mose a Mafia Capitale fino ad arrivare al caso di Ischia, non c’è inchiesta importante che non veda implicati esponenti Pd. L’altro ieri nel mirino c’erano i partiti della cosiddetta Prima Repubblica; ieri ci sono entrati poi quelli della cosiddetta Seconda Repubblica; oggi, con una Terza Repubblica ancora nella fase dei primi vagiti, tocca ai nuovi potenti presentatisi solo poco tempo fa come i sicuri rinnovatori del sistema.
Risultato: la politica si è svalutata da sola e la magistratura, che a più riprese ha tentato di prenderne il posto, ha commesso errori, esagerazioni e cadute di credibilità; una lotta tra poteri più che una maturazione di coscienza dei doveri civici; un sistema di comunicazione preoccupato solo di garantire se stesso ad ogni costo; l’etica professionale quasi dappertutto sotto i piedi; la sensazione di ingiustizia, crescente e diffusa; la sensazione che per ottenere giustizia e affermare diritti elementari o conosci qualcuno o devi fare prove di forza; insomma, un clima sociale teso, quasi nevrotico, cresciuto sulle difficoltà della crisi economica, ma anche frutto di altro, forse di una lunga sedimentazione di cose non fatte o fatte male, forse oggi fondate anche sulla diffusa percezione che l’epoca di Bengodi è finita e che sui tradizionali vizi dell’Italietta bisognerà più prima che poi calare finalmente la mannaia. Con una certezza, però: nulla può giustificare l’illegalità, le ruberie, la prepotenza e soprattutto la violenza.
Domanda fatidica: ne usciremo? La ragione mi dice di no, la volontà mi dice di sì. Devo dar retta alla ragione o alla volontà guidata dall’istinto di sopravvivenza? Credo di non poter fare a meno di dar retta alla volontà. Però credo anche che sia necessario avvalersi dell’intelligenza, per capire e agire con responsabilità. Capire significa non bere come vero ciò che ci viene comunicato per farcelo credere. Ad esempio, se ci dicono che la lotta all’evasione fiscale si fa limitando la circolazione del denaro liquido, capiamo immediatamente che ci stanno prendendo in giro, perché i veri evasori non comprano ville, barche e auto di lusso, in contanti, ma con bonifici e carte di credito, cioè con operazioni perfettamente tracciabili avvalendosi dei loro depositi nei paradisi fiscali tramite le loro società fantasma. E, ancora ad esempio, se ci dicono che la corruzione è monopolio della classe politica o dei ceti imprenditoriali, capiamo che anche in questo caso ci stanno prendendo in giro, perché è vero che tra i politici e gli imprenditori ci sono i corrotti, ma non sono solo lì, anzi, spesso fa comodo individuare il male in una sola parte per nascondere meglio quello che c’è anche in altre.
Claudio Martelli, a proposito di corruzione ha scritto recentemente così: “Per prevenirla, per contrastarla, per eliminarla o ridurla servono certamente buone leggi, ma servono soprattutto stampa e tv libere, comunità attive, partecipi, vigilanti e costumi individuali educati a cercare la prosperità attraverso il merito. Soprattutto servono una vera democrazia politica fondata sul rapporto e sul controllo degli elettori sugli eletti e non parlamenti composti da nominati e serve un libero mercato concorrenziale e trasparente e non cordate di imprenditori che si spartiscono appalti senza gare.” Una via difficile, ma l’unica vera. La via delle riforme diffuse: del costume, delle istituzioni, della vita pubblica, delle classi dirigenti, della qualità e dello stile di governo. E servono appunto intelligenza e volontà, continuità e coerenza di lavoro, non sparate e chiacchiere.
La foto in home “Il bello e il brutto, la luce e il buio” è di PieroPiscini