di Stefano Cimicchi
Dal terrazzo di casa, a Monterubiaglio sopra la Monrubio, vedo, nell’ordine: il capannone di Wang (il cinese come lo chiamano qui!), la ferrovia direttissima e l’autostrada (rumorose entrambe) mentre la ferrovia “lenta” si sente ma non si vede per l’effetto schiacciamento che si ha guardando la valle del Paglia.
Poco più giù si vedono i capannoni dell’area industriale di Ponte Giulio e di Orvieto (purtroppo) si vede solo la torre della Caserma Piave.
Alzando gli occhi dal fiume Paglia (un fosso diventato immenso, nella realtà) guardando a destra del Castello della Sala un certo giorno, dopo che hanno tagliato un bosco, è venuto alla luce un paese nuovo dove una volta c’erano i ruderi di un convento che nel tempo veniva chiamato, appunto, il “conventaccio”.
Chi è abituato a guardare l’orizzonte, soprattutto di notte, nota subito le differenze e quel villaggio nuovo ci incuriosì al punto che un giorno partimmo apposta per andarlo a vedere.
Sul Peglia le antenne delle televisioni e dei telefonini spiccano gagliarde e oramai fanno parte del paesaggio.
Allerona Scalo di notte sembra una colomba che ogni tanto viene trafitta da una freccia che non è altro che il treno superveloce che la attraversa da parte a parte!!
Quando ci sono le feste al centro polivalente di Allerona Scalo e il treno passa proprio lì sopra, il macchinista suona.
Un tempo, quando le feste erano politiche e garrivano le “rosse bandiere”, qualche macchinista suonava con un certo vigore facendo capire con molto entusiasmo le proprie preferenze politiche.
In fondo a destra si vede la discarica (ma solo per chi sa che c’è) e un poco più in giù si vede l’ospedale che fa grande sfoggio di sé con uno sfrigolio di luci che lo fa sembrare un luogo rassicurante.
Ho tentato più volte di immaginare lo stesso paesaggio con la presenza delle pale eoliche e non sono riuscito a farmene una idea.
Non conosco né gli sviluppatori e né i finanziatori ma non ho mai avuto una posizione ideologica su questo sistema di produzione di energia.
Due storie me le riportano alla mente spesso. La prima risale a quando sono andato ad Atene con Stefano Talamoni, Marco Cristofori e il Professore Adriano Mantovani a ritirare la iscrizione alla OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per il Centro Ricerche sulla Sicurezza Alimentare, mi assentai un giorno per andare a vedere un parco eolico a Karatea, dal quale veniva prodotto il “vettore idrogeno”.
In sostanza, alla base di una torre era stato collocato un idrolizzatore che usando delle speciali membrane produceva, appunto senza costi energetici, l’idrogeno.
Il secondo episodio riguardava una “sviluppatrice’ di progetti nel campo delle energie da fonte rinnovabili che alla mia proposta di fare impianti di produzione del biometano mi disse che preferiva l’eolico così non doveva litigare con i fornitori visto che il vento spirava gratuitamente e per altre logiche (sic!).
Leggendo e cercando di informarmi sulle varie cose che capitano sul nostro territorio mi sono domandato come mai i proponenti del progetto di sviluppo della geotermia non hanno mai contrapposto ai loro oppositori che l’altopiano dell’Alfina è costituito da un “banco” di pietra e non da una immensa piana “alluvionale” come quella della pianura padana.
Tale stato “fisico” cambia notevolmente il ragionamento sulle possibilità di sfruttamento delle risorse del sottosuolo oltre alle innovazioni tecnologiche che rendono determinate tecnologie più sicure e più controllabili.
Insomma vorrei capirci meglio e di più su queste cose e non lasciarmi trasportare dagli stati emozionali e dai “pifferai” che da sempre abbondano nelle nostre lande abitate da vippettari e falsi maestri.
Certo, noi classe politica (della quale oramai faccio parte solo nell’accezione più ampia e per non fare l’ipocrita!) non abbiamo fatto abbastanza per rafforzare le alternative progettuali alle filiere tradizionali e oggi non essendoci un asse forte della programmazione territoriale (Progetto Orvieto e la Città Sistema) siamo come foglie al vento.
Forse è venuto il momento di riaprire la riflessione, magari facendo perno sulla opportunità rappresentata dalla progettualità stimolata dalle Aree Interne (Area 2: SUD OVEST ORVIETANO (Città della Pieve, Monteleone di Orvieto, Montegabbione, Parrano, San Venanzo, Ficulle, Fabro, Allerona, Castel Viscardo, Castel Giorgio, Orvieto, Porano, Baschi, Montecchio, Guardea, Alviano, Lugnano in Teverina, Attigliano, Giove, Penna in Teverina) che coinvolgendo un’area sufficientemente ampia permette di ripartire, con oggettività e scientificità, da una analisi delle risorse materiali e immateriali del nostro territorio.
Se ci fosse questo livello di maturità nel dibattito non ci sarebbe stato bisogno di leggi semplificatorie che hanno avuto lo scopo (spesso senza riuscirci!) di togliere a questo o a quello il potere di veto.
La sfida sta dunque nella capacità di sviluppare un processo informativo-educativo-partecipativo che sia dinamico e non statico, che sia rispettoso e non violento.
Fuggire dalla realtà corrisponderebbe solamente a nascondere la testa sotto la sabbia e non permetterebbe di cogliere le opportunità che invece il nostro tempo ci propone.
Potrei fare dei riferimenti storici ma li voglio lasciare a un’altra occasione quando sarà possibile una riflessione più pacata.
Voglio invece avviarmi alla conclusione con una riflessione più orientata a una valutazione sugli sbandamenti della classe politico/amministrativa e sulla capacità di leadership che siamo in grado di mettere in campo in questo frangente storico.
Mi sembra assodato che una vera e propria classe intellettuale non esista e comunque se esiste non è in grado di dar vita a un dibattito a più voci vero e proprio.
Una volta nell’epoca dei “buoni maestri” assistevamo a dibattiti che partivano da un approccio scientifico (olistico) e prima di ogni altra cosa ti ammonivano a parlare in primo luogo di “metodo” e poi di andare dal generale al “particulare”.
Adesso è, a mio avviso, il tempo delle “invettive” e delle “passioni tristi”.
I partiti sono solo dei leader (quando ci sono!) e il resto è tutto un accapigliarsi senza regole e senza l’orizzonte di un progetto oppure di un programma. Non esistono luoghi del dibattito e i “social” sono il terreno dell’anarchia e dell’anonimato vigliacco.
Allora l’energia, la sfiducia e la insoddisfazione che esce dalla società compressa, complicata e in crisi profonda trova un unico sbocco in battaglie a-scientifiche condotte, spesso in buona fede, al seguito di pseudo leader che sfogano le loro passioni sperando di rivivere fasti movimentisti che guardandosi un pochino in dietro hanno lasciato più macerie fumanti che altro.
E la classe politico-amministrativa che fa di fronte a questo fenomeno? si squaglia e si divide, lascia soli i suoi uomini migliori e mena il can per l’aia rinviando sempre a una prossima occasione salvifica.
Questo correre dietro alle “passioni tristi” non ci migliora ma anzi ci fa precipitare tutti alla ricerca dell’elmetto giusto e spinge i cittadini alla radicalizzazione dei propri atteggiamenti nei confronti del pubblico e perciò di se stessi.
Un passo del documento preparatorio delle “Aree Interne” dice esplicitamente che nell’area compresa tra i venti comuni dell’Umbria che vengono ricompresi nella zona che va da Città della Pieve e Alviano non si individua una leadership marcata. (Area 2: SUD OVEST ORVIETANO Non è emersa una leadership territoriale chiara, in grado di garantire e sostenere la costruzione di una strategia unitaria di area. Occorre tra l’altro prevedere il coinvolgimento non solo dei soggetti rappresentativi ma anche rilevanti del territorio, dando atto comunque che indubbiamente un ruolo centrale sia dal punto di vista amministrativo che politico lo riveste la città di Orvieto.)
E’ una affermazione grave ma veritiera. Infatti una leadership è tale se possiede una idea di futuro, una programma con una sua personalità, leggibile e condivisibile.
Insomma non voglio dire che risolta al 90% la questione materiale con le leggi speciali e individuata la vocazione nella seconda parte del Progetto Orvieto con la gestione della “Città Sistema” orientata verso l’economia della cultura, avessimo risolto tutti i problemi però ancora stiamo aspettando la “riflessione serena” su quel periodo vagheggiata da più parti per vedere se nella fase che si aprirà subito dopo le elezioni regionali ci sarà spazio per una ridefinizione del ruolo della città antica e del territorio circostante.
La questione di come si finanziava la Città dell’Economia della Conoscenza è ora più aperta che mai e i più avveduti hanno capito bene che se non si affrontano certi nodi sarà impossibile finanziare un cambio di marcia nella nostra città. Altri si attardano su battaglie finte per non affrontare i problemi veri ( si può discutere infatti di quanto costa lo smaltimento dei rifiuti e la raccolta differenziata senza porsi il problema della proprietà dell’impianto?).
Tarparelli, Sindaco di Parrano (speriamo che ritorni sui suoi passi), coglie il punto essenziale della questione ma, trovandosi solo e abbandonato, rischia di trarre le conclusioni sbagliate alla sua stessa riflessione.
La domanda che gli rivolgo esplicitamente è questa: “perché al movimento, antistorico e suicida, contro la unificazione non si è saputo contrapporre un dibattito culturale che si incaricasse di dimostrare che la unificazione funzionale non rappresentava una soppressione delle individualità ma anzi di una sua esaltazione mediante la razionalizzazione dell’impiego delle risorse e dello sfruttamento delle capacità progettuali?”
Ora, che cosa ve ne fate di questi comitati neo-leghisti che come dimostrato per il centro-destra ad Orvieto, arrivati dopo sessanta anni al governo della città non hanno saputo che farsene?
Qui sta il punto messo in luce dal documento preparatorio sulla progettazione delle “Aree Interne”. Saprete, sapremo, ricostruire una leadership capace di scrivere un nuovo progetto per l’area orvietana? si riuscirà a guardare oltre i confini nazionali ed europei come propone il livello imposto dalle importanti aziende innovative che operano sul nostro territorio?
Dopo le elezioni regionali bisognerà correre e se il Governo nazionale supererà lo scoglio dell’Italicum bisognerà prendere atto che a politiche espansive come quelle rappresentate dal Jobs Act, DEF e da Green Act, non si potrà rispondere nascondendo la testa sotto la sabbia.