di Mario Tiberi
Da quando me ne sono uscito, per nausea e disgusto, da un partito oligarchico e inaffidabile, qual è il PD, non è però trascorso giorno che non mi sia chiesto il perché di quanto a me accaduto. Cinque anni sono corsi in fretta e, ancor oggi, poco o punto riesco a capacitarmi di come una allettante intuizione iniziale sia poi naufragata per imperizia dei piloti della nave. Checché se ne dica, a mio parere nemmeno il dr Renzi alla lunga riuscirà nell’impresa poiché non esistono, almeno in politica, gli uomini della Provvidenza e tanto meno coloro che pretenderebbero di comandare in solitaria compagnia di solo se stessi. Ma non è degli esiti politici nazionali che intendo, al momento, occuparmi.
A fine Maggio si andrà al rinnovo del Consiglio Regionale dell’Umbria e, aldilà di ogni altra considerazione, mi sento di affermare che il potere ultraquarantennale della cosiddetta “sinistra umbra” abbia finito per sfiancarla e logorarla fin nelle sue viscere, tanto che l’appiattimento ideativo e il grigiore programmatico stanno investendo tutti i comparti dell’azione pubblica, dalla sanità ai trasporti, dall’agricoltura all’industria, dalla formazione scolastica alla cultura, e chi più ne ha più ne metta.
Di ben altro, invece, vi è urgente necessità: dotare la Regione dell’Umbria di una dirigenza politica, autorevole e illuminata, che sia in grado di risollevare con tempestivi interventi le pessime sorti in cui la medesima è stata fatta precipitare. Tutto ruota attorno al partito egemone, appunto il PD.
Ci si chiede, sin dalla sua nascita, se è o meno realistico che all’interno di detto partito esistano davvero due o più anime e, se sì, come mai non si sia ancora riusciti a renderle conciliabili, complementari e compatibili in ragione di una coesistenza pacifica e generatrice di una soddisfacente politica per il governo della “cosa pubblica”.
Per parte mia, in questi giorni, sto congetturando su dove sia e come sia plasmata l’anima del PD la quale, senza inganno di apparenza, da qualche parte dovrebbe pur esserci e, anche se non potrò essere del tutto esauriente, mi proverò comunque a descrivere le brevi tappe delle mie riflessioni.
Il nucleo centrale dell’identità ideale di un partito che tende a proporsi come forza di progresso non può prescindere dal praticare, nella concretezza della realtà, una strategia programmatica fondata su princìpi sussidiari e solidali nel comparto sociale, pluralisti e popolari a baluardo e difesa della democrazia, riformisti e/o riformatori nella stesura legislativa di norme, regolamenti e discipline.
Tutto quanto precede in virtù di meri ed astratti intendimenti poiché, spesso e volentieri, vengono proclamati e diffusi tali concetti mentre, paradossalmente, non se ne conosce né la sostanza e né la loro pratica applicazione.
Ci si riempie la bocca, ad esempio, del termine solidarietà e non si ha piena la percezione del valore ecumenico della “Pietas”, non dico solo di quella cristiana, ma anche di quella greco-latina che, pur pagana, era abbondantemente ricolma di raffinata sensibilità umana. Basti pensare al pio Enea, descritto da Virgilio, nell’immagine di lui che si carica sulle spalle l’anziano padre Anchise, malato e sofferente, come a voler simbolicamente prendere su di sé il dolore e il bisogno dei deboli, dei reietti e degli sconfitti.
Anche del pluralismo non si hanno ben definiti i contorni in quanto, “ictu oculi”, si avverte la sensazione di un suo uso limitativo e limitato al “plurimum civitatis”, che porta con sé un’idea riduttiva e riservata alle sole maggioranze di passaggio, mentre invece ci si dovrebbe riferire alla “pluritas civitatis maiestatis” (Quintiliano, De eloquentia) per afferrare appieno il senso della partecipazione di tutti, e di tutti indistintamente, alle vicende economiche, politiche e sociali della comunità di appartenenza senza substrati di discriminazione per ragioni di diversità di pensiero o di azione.
Cosa poi ci sia dietro e dentro l’espressione “realizzare una politica riformista”, non è affatto chiaro se non si coglie il significato proprio della parola “reformé”, usata nel periodo meno violento e più costruttivo della Rivoluzione Francese. Con “reformé”, che ha le sue origini semantiche nella greca “diamorfé”, deve intendersi il processo di metamorfosi da una forma arcaica di organizzazione societaria verso un’altra più evoluta ed elevata, tale da garantire migliori e più moderne strutture amministrative.
Le sintetiche valutazioni sopra riportate sono offerte all’attenzione di ogni cittadina/o e, in particolare, alla introspezione del PD umbro se non vuol che di lui si dica di essere stato, non tanto il promotore di una coerente politica progressista, quanto piuttosto il suo necroforo.
Dubito, però, che il PD sia in grado di guardare dentro se stesso e, per cui, altra via non vedo se non quella di volgere lo sguardo, noi corpo elettorale, verso altri lidi mutando radicalmente rotta.